Il mostro di Foligno: la vera storia di Luigi Chiatti

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Il caso del Mostro di Foligno ha segnato indelebilmente la storia della cronaca nera italiana. Una vicenda dolorosa, un orrore che ha preso forma nella maniera più inaspettata stravolgendo le vite degli abitanti di un tranquillo comune del Centro Italia, scossi dalla presenza di un assassino che colpisce giovani vittime.

Gli omicidi

4 Ottobre 1992. A Maceratola, frazione del Comune di Foligno, scatta l’allarme quando si diffonde la notizia della scomparsa di Simone Allegretti, un bambino di 4 anni figlio di un benzinaio e di una casalinga. Le ricerche si avviano subito, gli inquirenti perlustrano l’intera zona ma non trovano nessuna traccia di Simone.

6 Ottobre. Sono trascorsi due giorni quando al 113 giunge una telefonata anonima muta. Viene rintracciato il luogo di provenienza della chiamata : una cabina telefonica nei pressi della stazione di Foligno. Quando gli agenti arrivano sul posto notano che all’interno dell’abitacolo è presente una lettera, scritta con il normografo, su cui sono riportate le seguenti parole:

AIUTO!
AIUTATEMI PER FAVORE
IL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO.
SONO PENTITO ORA, ANCHE SE NON MI FERMERÒ’ QUI.
IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE (FRAZ. DI FOLIGNO) E SCOPOLI.
È NUDO E NON HA L’OROLOGIO COL CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO.
P.S. NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A QUESTO PUNTO.
HO USATO DEI GUANTI.
SALUTI AL PROSSIMO OMICIDIO.

IL MOSTRO

Gli addetti alle indagini si dirigono immediatamente sul luogo indicato. Una volta arrivati trovano quello che la missiva ha tragicamente annunciato: a fianco della strada, in mezzo a dei rifiuti, si trova il corpo senza vita di Simone. Il bambino è stato strangolato e colpito al collo con un’arma da taglio. Un omicidio scioccante che genera terrore tra gli abitanti della zona. La Polizia ha una sola certezza: quella di avere a che fare con un soggetto molto pericoloso e senza scrupoli che ha già annunciato di voler uccidere ancora.

Gli inquirenti attivano una linea telefonica per ricevere segnalazioni da chiunque possa avere informazioni utili ai fini dell’indagine. A un certo punto iniziano ad arrivare delle chiamate da parte di qualcuno che dice di essere l’assassino. Dopo 12 telefonate gli agenti riescono a rintracciare l’uomo in questione: si chiama Stefano Spilotros, 22 anni, residente in provincia di Milano. I poliziotti lo fermano. Durante gli interrogatori il sospettato rivela dei particolari a prima vista precisi e concordanti. È stato trovato il responsabile?

Dopo i primi momenti di ottimismo però le certezze cominciano a vacillare: con il passare del tempo i racconti di Spilotros si fanno più nebulosi, incerti e privi di fondamento. Indagando sulla sua figura gli inquirenti scoprono che Stefano soffre di mitomania ed è solito inventare delle storie per attirare su di sé l’attenzione. Alla fine Spilotros confessa di aver mentito dicendo che stava attraversando un periodo difficile della sua vita. Non è lui il Mostro di Foligno. Le indagini devono ripartire da zero.

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Nel frattempo giunge una seconda inquietante lettera, trovata in una cabina in prossimità dell’aeroporto

AIUTO!

NON RIESCO A FERMARMI.
L’OMICIDIO DI SIMONE È STATO UN OMICIDIO PERFETTO.
CERTO, È DURO AMMETTERE CHE SIA COSI’ DA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE, MA ANALIZZIAMO I FATTI.
1º IO SONO ANCORA LIBERO.
2º AVETE IN MANO UN RAGAZZO CHE NON HA NULLA A CHE FARE CON L’OMICIDIO.
3º NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA, PERCHÉ NON HO EFFETTUATO NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO VERDE SBAGLIA.
4º LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI SIMONE, PERCHÉ NON CI SONO ANDATO.
SIETE QUINDI FUORI STRADA;
VI CONSIGLIO SI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE.
NON POLTRITE.
MUOVETEVI.
CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI.
USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO DAL MANCATO USO.
N.B. PERCHÉ HO DETTO DI SBRIGARVI?
PERCHÉ HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA.
VOLETE SAPERNE DI PIÙ’? VI HO GIÀ’ DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI EVITARE CHE SUCCEDA.

IL MOSTRO

L’8 Aprile 1993 viene rubata la fotografia presente sulla lapide di Simone Allegretti. Alcuni ipotizzano che il furto sia stato commesso proprio dall’assassino, recatosi sulla tomba della vittima per appropriarsi di qualcosa che gli avrebbe ricordato le sue terribili gesta.

Dopo quasi quattro mesi il Comune di Foligno si troverà nuovamente immerso in un incubo.

7 Agosto 1993. A Casale viene denunciata la scomparsa di un altro bambino. Lorenzo Paolucci, 13 anni. Le autorità e gli abitanti della zona si mettono subito in moto per tentare di rintracciarlo il prima possibile. Durante le ricerche, in un pendio a lato della strada, il nonno di Lorenzo fa una scoperta agghiacciante.

In quell’area è presente il corpo di Lorenzo, ucciso da una serie di fendenti perpetrati con un’arma da taglio. L’assassino si è accanito su di lui con estrema ferocia. Sulla scena del crimine sono presenti tracce di sangue che sembrano indicare l’origine della direzione da cui è stato trascinato il cadavere. I segni ematici portano dritti all’interno di un abitazione in cui vive un ragazzo di 25 anni. Si chiama Luigi Chiatti, geometra, disoccupato. Capelli neri corti, occhi azzurri, sguardo malinconico, atteggiamento dimesso. A prima vista sembra il classico tipo che non farebbe male neanche a una mosca.

Gli agenti fanno irruzione nella casa. Appare fin da subito evidente che la dimora è stata ripulita in modo approssimativo, tanto che sono ancora presenti molteplici macchie di sangue. Chiatti viene immediatamente arrestato. Nel frattempo la Polizia rinviene, a pochi chilometri da Casale, due sacchi dentro un cassonetto della spazzatura: all’interno sono presenti dei vestiti insanguinati e la fotografia della lapide di Simone Allegretti. Il giorno seguente Luigi confessa tutto agli inquirenti: è lui il Mostro di Foligno che ha ucciso Simone e Lorenzo.

Luigi Chiatti - Il Mostro di Foligno (tutta la storia)

Luigi Chiatti

Nato il 27 Febbraio 1968 a Narni, in provincia di Terni, con il nome di Antonio Rossi. Figlio di Marisa Rossi, una ragazza madre che lo lascia in orfanotrofio, luogo dove trascorre i primi anni della sua infanzia prima di essere adottato. All’età di sei anni viene preso in custodia da Ermanno Chiatti, medico, e Giacoma Ponti, ex insegnante. A questo punto Antonio cambia nome e diventa ufficialmente Luigi Chiatti. Il rapporto con i genitori adottivi finisce per essere piuttosto freddo e distaccato, Il padre non lo considera e la madre lo rimprovera continuamente. Luigi si chiude sempre di più in sé stesso, appare impenetrabile, come se per evitare di soffrire volesse sbarrare la porta a qualsiasi tipo di emozione.

Non di rado ha atteggiamenti aggressivi che preoccupano e per questo all’età di 10 anni viene mandato da una psicologa, tuttavia anche con lei il bambino farà fatica ad aprirsi. Alla fine della terapia la professionista lo descriverà così “Con un Io debole e anaffettivo, con scarso controllo degli impulsi”.

Passa tutti gli anni della scuola in solitudine, privo di rapporti di conoscenza e amicizia con i suoi coetanei, tantomeno di relazioni sentimentali. Nel 1987 si diploma come geometra. Durante il praticantato non socializza con gli altri colleghi, trascorre molto tempo da solo, chiuso in un isolamento dei sentimenti e delle emozioni e per questo motivo tagliato fuori dal mondo.

Nel 1989 parte per il servizio militare e in questo periodo inizia ad avere le prime esperienze omosessuali. Tuttavia in lui cominciano a maturare altri desideri, vuole avere accanto a se un bambino, è sessualmente attratto dai minori e desidera adottarne uno che possa soddisfare le sue intenzioni.

Luigi è ormai una bomba a orologeria, le sue fantasie perverse alimentate da anni di solitudine cominciano a prendere il sopravvento e diventano reali il 4 Ottobre 1992.

Il processo

Durante il processo Luigi Chiatti rivela la sua storia e le sue ossessioni:

“È da molto tempo ce non ho amici stabili e vivo prevalentemente in solitudine, non esco la sera, non ho ragazze, non vado a ballare, mi limito a guardare film in tv e talvolta a uscire da Foligno in automobile. Si era radicata in me la difficoltà di entrare in contatto con gli altri e trovare amici. Vivevo ormai da un pezzo da solo e questa solitudine aveva fatto crescere dentro, oltre alla necessità di una compagnia, anche il bisogno di un contatto fisico che a quella si unisse. Era qualcosa che mi montava dentro come una fame man mano che perdurava la mia solitudine. In questa fase avevo pensato a un qualche modo inconsueto, poco ortodosso, di trovare compagnia e mi ero dato alla ricerca di bambini con i quali potere stare. Con loro avevo un ottimo rapporto, riuscivo a riscuotere la loro fiducia e ad essere coinvolto nei loro giochi”.

“Già prima dell’omicidio di Simone avevo maturato l’idea di scappare di casa e di rapire due bambini molto piccoli, un anno o poco più. Li avrei tenuti con me per la durata di sette anni. A questo scopo, alla fine dell’estate del ’92, forse anche un po’ prima, avevo cominciato a fare provviste di abiti per bambini dai tre ai sette anni.”

“A un certo punto mi è venuta voglia di rinnovare la ricerca dei bambini. Ho sistemato casa, mi sono riordinato e sono uscito con la mia Y 10 amaranto, ho notato un bambino, scalzo, che se ne stava sotto un albero di noci al quale era appoggiata una piccola bicicletta. Non mi sono avvicinato al bambino, limitandomi a chiedergli se la strada proseguisse dove portasse. Lui mi ha risposto e allora gli ho chiesto, con calma e senza insistere troppo, di avvicinarsi. Dopo aver esitato un po’, mi è venuto vicino e allora l’ho invitato a sedersi al posto di guida. Il bambino ha aderito ai miei inviti spontaneamente. Mi ha chiesto dove lo stessi portando e io gli ho risposto che saremmo andati lì vicino. L’ho accompagnato in camera mia, tenendolo per mano. Arrivati nella stanza, che si trova al primo piano ho chiuso la porta, ma non a chiave. A questo punto Simone ha cominciato a dirmi di portarlo a casa, io ero incerto sul da farsi. Volevo solo essergli amico. Io l’ho invitato a togliersi i vestiti. Senza opporre resistenza, Simone si è tolto la maglietta e i pantaloni restando con le mutandine. L’ho fatto sedere sulla sponde del letto e l’ho invitato a togliersi anche quelle. L’ho aiutato senza usare alcun tipo di violenza. Io ero vestito. A quel punto quella fame di contatto fisico di cui ho parlato prima è cresciuta in me, tanto da non poterla dominare.”

Chiatti descrive gli omicidi con una freddezza agghiacciante, a tratti le sue labbra formano un sorriso maligno

“Soffrivo a vederlo piangere, in quel momento è scattato un impulso, quello di farlo smettere e sono andato senza neanche quasi rendermene conto sulla gola, stringendo il necessario per farlo smettere immediatamente di piangere. In quel momento però ho causato automaticamente più dolore in Simone e quindi a un certo punto ho stretto il collo con molta forza fino a che non è morto .”

Passa poi al racconto dell’omicidio di Lorenzo

“Lorenzo l’avevo conosciuto l’anno precedente. Quel Sabato mattina mi sono alzato e ho visto Lorenzo che era venuto a trovarmi. Mentre giocavamo a briscola mi è scattata come una scintilla: mi sono voltato, ruotando verso la mia destra e afferrando sul mobile una specie di forchettone infilato in un fodero di legno. Mi sono rivoltato mentre lui mi dava ancora le spalle, gli ho messo la mano sinistra sulla bocca e, con la destra, l’ho colpito da dietro, sul collo. Ho sentito che al primo colpo uno dei due denti del forchettone si è piegato proprio a 90 gradi, sicché l’altro dente non è riuscito a penetrare in modo proporzionale alle mie aspettative e alla forza che avevo impiegato. Lorenzo ha cacciato un urlo lungo e acuto, si è buttato a terra e ha cominciato a lottare, mentre io continuavo a tenergli la mano sinistra sulla bocca… cercavo di colpirlo ancora, in quel momento il mio bersaglio era il collo perché mi sembrava il punto più vitale. Non mi era facile perché Lorenzo si dibatteva e si difendeva, parando le braccia. Malgrado questo, sono riuscito a colpirlo. Dopo questo secondo colpo, in un momento in cui non aveva la mia mano sulla bocca, mi ha detto: Luigi, perché mi vuoi uccidere? In quel momento è come se mi fossi lasciato tornare all’azione: a quel punto ho preso un altro strumento a punta e ho colpito Lorenzo più volte.”

Il 28 Dicembre 1994 Luigi Chiatti viene condannato a due ergastoli. L’11 Aprile 1996, in Appello, la pena è ridotta a 30 anni di carcere dopo che l’imputato viene riconosciuto semi-infermo di mente. Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli Chiatti è affetto da disturbo narcisistico di personalità ed è mosso da impulsi sadici e pedofili. Il 4 Marzo 1997 la Cassazione conferma la condanna a 30 anni.

Il 3 Settembre 2015 Luigi Chiatti ha finito di scontare la sua pena ed è stato trasferito in una struttura sanitaria. Dal 2018 viene valutato periodicamente ogni due anni per determinare un suo eventuale reinserimento nella società. Finora il Tribunale ha sempre deciso di prorogare la sua permanenza all’interno dell’istituto, in quanto considerato socialmente pericoloso.

Luigi Chiatti resta ad oggi uno degli assassini seriali che ha maggiormente sconvolto l’opinione pubblica italiana. La sua storia rappresenta il male che si insidia in maniera impercettibile e silenziosa nella quotidianità fino ad arrivare a esplodere con effetti devastanti. Un seme che si nutre di perversioni e fantasie distruttive. Il percorso folle e crudele di un soggetto che senza nessuna pietà ha sottratto la vita a due bambini.

Fonti:

adir.unifi.it – Serial killer in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin, Donato Bilancia, Luigi Chiatti
serialkillers.it – Luigi Chiatti
www.igorvitale.org – Analisi Psicologica del Mostro di Foligno: pedofilo e killer di due bambini
queryonline.it – I segreti dei Serial Killer: Luigi Chiatti

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