Il Signore delle Formiche: la storia vera dietro al film

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Il Signore delle formiche, dal titolo così evocativo, è una pellicola cinematografica uscita nell’anno in corso e presentata alla 79^ Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Il film narra la drammatica vicenda che riguardò il professore Aldo Braibanti, verso la metà degli anni Sessanta del secolo scorso.

La storia vera

In primo luogo, è necessario premettere che la vicenda giudiziaria di Aldo Braibanti, originale mirmecologo ( da qui la denominazione di “signore delle formiche”) e filosofo, nonché poeta ed autore teatrale, non viene presentata nella sua esatta sequenza temporale, ma plasmata secondo la logica iconografica del film affidato alla regia di Gianni Amelio ed interpretato, nel ruolo di protagonista, da un ottimo Luigi Lo Cascio. La narrazione si apre con il ritorno del Braibanti, ex partigiano ancora affiliato al Partito Comunista, nel suo paesello d’origine nei pressi di Piacenza. Qui il professore formerà una sorta di “cenacolo culturale”, radunando un gruppo di giovani e suscitando il sospetto degli abitanti del luogo, a causa della modernità di pensiero che lo stesso Braibanti evidenzia nella rielaborazione di tante tematiche sociali, come la famiglia, il rapporto di coppia e l’idea di amore. I paesani temono che i loro figli possano essere traviati dagli insegnamenti dello stravagante docente.

Tra i frequentatori del “cenacolo”  vi è un certo Riccardo Tagliaferri che è ammaliato dalla personalità del Braibanti, ma instaura con lo stesso un rapporto conflittuale, in quanto non riesce a liberarsi dalla propria educazione bigotta e borghese. Sulla natura della fascinazione subìta da Riccardo, la narrazione cinematografica è volutamente ambigua, lasciando libera l’immaginazione dello spettatore a cui non sfuggirà, nel prosieguo della vicenda, come il giovane accumuli rancore nei confronti del professore, forse per la delusione della mancata occasione di emancipazione e ne diventi uno dei più accaniti avversari. Allo stesso modo, invece, non si comporta Ettore, il fratello minore di Riccardo che, conosciuto per caso il Braibanti, comincia a frequentare assiduamente il circolo, diventando il “discepolo prediletto” del mirmecologo, in un “clichè” letterario di antica memoria, come le stesse citazioni classiche che i due amici si scambiano nel film, dimostrano in maniera inequivocabile. Il rapporto discente-docente si trasforma con il tempo in un’amicizia intima, sfociando in una vera e propria relazione omosessuale, che porterà i due protagonisti a trasferirsi a Roma, dopo che Ettore avrà lasciato gli studi di medicina, per i quali non aveva mai mostrato entusiasmo, coltivando la passione per la pittura, incoraggiato dallo stesso Braibanti.

La scelta del giovane scatena le ire della madre, fomentata dalla gelosia del primogenito Riccardo, che il mirmecologo aveva allontanato dal circolo, dopo aver conosciuto suo fratello minore. La vita nella capitale della “dolce vita” non scorre con un andamento del tutto roseo per i due uomini. Per motivi economici, si stabiliscono in una modesta pensione ed Ettore deve fare i conti con il modo di vivere della grande città, molto diverso dall’impostazione del suo paese natale. Inoltre, il giovane, introdotto dal Braibanti negli ambienti culturali o pseudo tali di Roma, così alternativi ed eccentrici, si sente disorientato come un pesce fuor d’acqua. La scena si sposta, poi, nel 1965, quando la madre ed il fratello di Ettore riescono a trovare il giovane e lo conducono via con la forza e con l’inganno.

A questo punto si apre la fase più drammatica della storia: il ragazzo viene portato in ospedale e sottoposto al barbaro, retrogrado ed altamente nocivo trattamento dell’elettroshock, nel tentativo inutile quanto pericoloso di condurlo verso l’eterosessualità. Al giorno d’oggi la madre ed il fratello di Ettore sarebbero stati processati per “sequestro di persona” e per “lesioni personali gravissime” in concorso con i medici e gli infermieri che praticavano l’elettroshock. In quell’epoca, tuttavia, negli ambienti accademici bigotti, l’omosessualità era considerata ancora una “devianza” e, soltanto nel 1990, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la cancellerà ufficialmente dall’elenco delle “malattie” comportamentali. Quasi contemporaneamente al trattamento medico subìto dal giovane, che lo porterà in uno stato di prostrazione psichica, il mirmecologo viene arrestato con l’accusa di “plagio”, un reato introdotto in epoca fascista, mai applicato in precedenza.

Il Braibanti è accusato di aver plagiato non solo Ettore, ma anche un altro giovane, la cui testimonianza si mostra farraginosa ed indotta da altri, in alcuni tratti perfino ridicola e grottesca. Il professore avrebbe sottomesso alla propria volontà i due giovani, anche se maggiorenni, sia dal punto di vista fisico che mentale. Una parte dell’opinione pubblica intravede, però, dietro l’accusa di plagio l’intento della società bigotta di punire il Braibanti per le sue idee politiche e per la sua ostentata omosessualità. Soltanto un giornalista dell’Unità, Ennio Scribani, si interessa con grande trasporto emozionale alla vicenda processuale del Braibanti, accorgendosi del totale disinteresse e dell’imbarazzo del Partito Comunista davanti alla tragedia umana che investe un proprio esponente. Il messaggio del film è chiaro: davanti agli antichi pregiudizi non vi è orientamento politico che regga.

Durante il processo, nella fase iniziale, il Braibanti sceglie la strada del silenzio, lasciando campo aperto all’accusa, che arriva a chiedere una pena di 14 anni di reclusione, approfittando della scarsa empatia che suscita l’imputato con la sua arroganza e con il suo brutto carattere. Stimolato dalle visite del giornalista Scribani, il professore inizia a scuotersi e, nelle ultime sedute, proclama la propria innocenza, utilizzando dotti riferimenti come a proposito di Socrate, che preferì la morte, pur di rispettare “leggi giuste ed ipocrite”. Nel frattempo, alcuni articoli di Scribani radunano intorno al “Palazzaccio” romano uno sparuto gruppo di giovani che chiede la liberazione di Aldo. Di seguito, in aula appare finalmente Ettore che afferma di non essere stato mai costretto a nulla dal suo mentore e di aver instaurato la relazione omosessuale di sua spontanea volontà. Ma non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire. La Corte ha già preconfezionato il suo giudizio ed accoglie la tesi dell’accusa che sostiene che la testimonianza del ragazzo sia una prova ulteriore del plagio subìto da parte del professore. Aldo Braibanti, dunque, viene condannato a nove anni di reclusione. Prima di essere riportato in carcere, il professore riesce ad incontrare il giornalista, affidandogli una lettera da consegnare al suo pupillo.

IL SIGNORE DELLE FORMICHE di Gianni Amelio (2022) | Trailer Ufficiale

In attesa del giudizio di appello, Scribani continua ad interessarsi al caso, ma il direttore dell’Unità non ritiene che il giornale debba continuare a dare il proprio supporto ad un ex esponente ormai spacciato. Le proteste di Ennio sono inutili ed hanno come unico effetto il suo licenziamento. In un dialogo con la cugina Graziella, il giornalista fa intendere ciò che l’attento spettatore aveva già compreso: egli stesso è omosessuale e vedeva nell’eventuale assoluzione del Braibanti una prospettiva di esistenza più veritiera e libera. Nel 1968 la madre del professore, la Signora Susanna, muore, dopo aver appoggiato le scelte del figlio a testa alta e con grande tenacia.

Ad Aldo viene data la possibilità di partecipare alle esequie, scortato dai carabinieri fino al suo paese natale, dove incontra Carla, una ragazza del luogo, che aveva fatto parte del suo circolo culturale e che era stata sempre affezionata ad Ettore. Carla gli confida che il ragazzo era stato abbandonato dalla sua famiglia e che non si era mai ripreso del tutto dalle cure ricevute durante il ricovero ospedaliero. Ora viveva di espedienti, coltivando i campi ma, nello stesso tempo, si sentiva libero di seguire il proprio istinto artistico, come mostrerà al Braibanti durante il loro ultimo commosso addio.  Il professore sconterà, poi, soltanto due anni di prigione, per i riconosciuti meriti di partigiano, ma senza ricevere alcuna riabilitazione in vita, che terminerà nel 2014.

L’analisi del film

Procedendo ad un’analisi sintetica del contenuto del film, vi è da premettere che alcuni elementi sono presentati in maniera del tutto diversa rispetto al dato storico. In particolare, è stato sottolineato come, nella realtà, il giornale ufficiale del Partito Comunista Italiano, l’Unità,  abbia preso posizioni palesemente favorevoli ad Aldo Braibanti. Ciò è dimostrato dal fatto che, all’indomani della sentenza, il direttore del quotidiano, l’ex-partigiano Maurizio Ferrara, pubblicò un articolo corposo, in cui evidenziava senza mezzi termini l’atmosfera bigotta ed ipocrita che aveva contraddistinto il processo, applicando per la prima volta il reato di “plagio” in circostanze a dir poco dubbie. 

“Il Signore delle formiche” è un film che può essere considerato a metà strada tra il reale e la fiction, in cui si susseguono molteplici espedienti narrativi per intrecciare la relazione omosessuale, che lega il protagonista al suo giovane allievo, con la vicenda giudiziaria, foriera di riflessioni su numerose problematiche sociali. Il regista, Gianni Amelio, presenta un’Italia, negli anni Sessanta del secolo scorso, sospesa tra mentalità ottusa e libertinaggio sfrenato, come fa risaltare la stessa alternanza scenica tra la campagna piacentina e la città eterna. Ma le contraddizioni tra oscurantismo e progressismo sono presentate come appartenenti ad ogni luogo e ad ogni colore politico, tanto che la mondanità romana appare quasi sommersa e farsesca. La sceneggiatura è forse un po’ troppo frammentata e romanzata, anche se ha il notevole pregio di spingere lo spettatore a riflettere sulle dure battaglie per la conquista dei diritti civili condotte, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, da un numero sempre crescente di attivisti. A tale proposito, non mancano riferimenti che esulano dalla trama principale della pellicola, come la cura dei pazienti ritenuti psichicamente deviati, o il fotogramma simbolo di Emma Bonino, che rievoca le lotte combattute, come esponente di punta del Partito Radicale, per il riconoscimento delle libertà individuali.

Il reato di plagio

A questo punto, è opportuno spendere due parole sul reato di “plagio”. Nel codice penale “Rocco”, approvato in epoca fascista, l’art. 603 recitava così: “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da indurla in totale stato di soggezione, è punito con  la reclusione da cinque a quindici anni”. L’articolo in questione è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale e, pertanto, disapplicato a partire dal 1981, in un panorama nazionale di riforme sociali e di maggiore sensibilizzazione al riconoscimento dei diritti civili. Nel decennio precedente, infatti, vi erano state decisioni storiche come l’approvazione delle leggi sul divorzio e sull’aborto. Dopo la vicenda giudiziaria del Braibanti, unico condannato in Italia, per il reato di plagio, fu intrapreso un procedimento penale contro Emilio Grasso, sacerdote del Movimento carismatico che, secondo alcuni genitori, avrebbe soggiogato psicologicamente i propri figli minorenni.

Fu proprio il magistrato, chiamato a decidere su questa vertenza, che sollevò la questione di legittimità costituzionale, facendo scagionare di fatto il prete. La Suprema Corte di legittimità dichiarò l’incostituzionalità del reato di plagio, perché “contrastante con il principio di tassatività contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’articolo 25 della Costituzione”. In altre parole, secondo illustri commentatori giuridici, la Corte avrebbe cancellato il reato di plagio dal nostro ordinamento, per l’impossibilità di verificare il fatto contemplato dalla fattispecie con criteri logico-razionali, prestandosi a notevoli rischi di arbitrio ed a strumentalizzazioni ideologiche da parte degli organi giudicanti. Si tratta, a ben vedere, delle stesse critiche che furono mosse durante il processo a carico di Aldo Braibanti. A ciò si aggiungono i pareri di eminenti psichiatri che hanno considerato giustissima la decisione della Corte, in quanto sentimenti forti, come la passione amorosa, dal punto di vista strettamente “psicologico”, possono essere ritenuti un forma di “plagio”, così come, in alcuni casi, emerge nel rapporto tra lo psico-terapeuta ed il paziente. Seguendo tale chiave di lettura, si comprende come il “reato di plagio” tendesse a punire comportamenti leciti, ampiamente tutelati dai principi fondamentali della nostra carta costituzionale, concepita più che garantista in materia di libertà individuali e collettive.

E’ interessante sottolineare come il film di Amelio si soffermi di frequente sulla metafora delle formiche, come del resto lo stesso titolo suggerisce con immediata evidenza. Nell’esistenza delle formiche, di cui il professor Braibanti è acuto osservatore e studioso, il cosiddetto “stomaco sociale”, anteponendo il “noi” all’ “io”, cioè l’interesse collettivo a quello individuale, si pone come vera e propria regola sociale di solidarietà necessaria per la sopravvivenza della specie. In più, nei dialoghi tra il docente e l’allievo, emerge come le formiche condividano la straordinaria capacità di rientrare nelle proprie “tane”, anche dopo essersi allontanate per cercare le provviste, seguendo il percorso più breve e senza precisi punti di riferimento. Ciò appare come un’abilità “etica” piuttosto che “fisiologica”, rappresentando un monito rivolto alle disordinate ed egoiste organizzazioni umane, che spesso perdono qualsiasi orientamento morale e sono destinate all’autodistruzione.

La sequenza cinematografica de “Il Signore delle formiche” termina dove tutto è cominciato, nell’ambientazione bucolica della provincia piacentina, con la solenne e significativa melodia lirica dell’Aida a suggellare lo struggente e drammatico ultimo incontro tra Aldo ed Ettore. Lo scambio di letture poetiche fra i due giunge al capolinea: il professore rimane fedele all’intellettualismo socratico di perseguire il proprio ideale, a costo di mettere in gioco la propria vita, mentre il secondo riscopre l’intima vena artistica, provando a fare il pittore, devastato fisicamente e psicologicamente, ma ormai liberato da tutti…anche da sè stesso.