Come è ben noto, il drago è una creatura che si è sviluppata nell’ambito mitico e leggendario, presente nell’immaginario collettivo di tutte le culture, con l’attribuzione di significati diversi e spesso contrastanti. Nel mondo occidentale, ad esempio, il drago è considerato un essere malefico, portatore di sventura e di distruzione, mentre secondo le credenze orientali esso è associato alla fortuna ed agli aspetti benefici in generale.
Seppure con molteplici varianti, il drago è rappresentato con marcate caratteristiche di rettile e, in particolare, di serpente, seppure non sempre in versione filiforme. Non a caso il termine deriva dal latino (draco, draconis), a sua volta riconducibile alla parola in greco antico (drakòn), traducibile in italiano anche con il sostantivo di serpente. L’etimologia è alquanto controversa, anche se la maggior parte degli esegeti la considera legata al verbo deponente greco derkesthai, che significa “guardare lontano”. E’ probabile che a tali creature si riconoscesse la qualità di una vista decisamente acuta. La radice indoeuropea “dragh”, tuttavia, riscontrabile nel verbo sanscrito dragh-ayami (allungare), esprime l’idea dell’espansione, della conquista e del dominio.
Sulla presunta esistenza reale del “drago”, in un lontano passato, negli ultimi decenni sono, comunque, fiorite varie teorie, a partire dalla diffusione delle fotografie del cosiddetto “drago di Komodo”, una sorta di grande lucertola con le sembianze molto simili a quelle della mitica creatura. Tale animale configura una particolare specie di sauro, chiamata “varano”, con una lunghezza consueta di non oltre due metri, a differenza di quelli presenti sull’isola indonesiana di Komodo che oltrepassa i tre metri. Le tradizioni riportate da quei popoli, nonché dagli Aborigeni australiani, raccontano della remota esistenza di un “varano gigante” ed alcuni reperti fossili sembrerebbero confermare questi racconti. Per questo, non si può escludere che l’interesse delle antiche culture per il drago sia stato originato proprio dalla trasmissione orale di narrazioni che contenevano una buona dose di verità, poi modificate ed adattate a secondo del contesto culturale di riferimento.
Pur trattandosi di una creatura partorita dall’immaginazione, anche se come abbiamo accennato, con probabili agganci nella realtà, sulle caratteristiche del drago si sono moltiplicate tantissime descrizioni. In linea generale, si può tentare una sintetica classificazione: i draghi con quattro zampe e due ali sono definiti “draghi occidentali”, mentre quelli con quattro zampe, ma senza ali, sono chiamati “draghi orientali”. Alcune varianti significative prendono nomi diversi, come l’anfittero che ha grandi ali, ma è privo di zampe (tra questi si ricorda il serpente piumato, adorato presso le antiche civiltà meso-americane); il lindorm o lindworm di origine norrenica, disegnato con due gambe, ma sprovvisto di ali, solitamente inciso sugli stemmi araldici; i draghi con più teste sono denominati “idre”, come nel mito di Ercole; il knucker è un drago d’acqua di modeste dimensioni, che cammina strisciando, impossibilitato a volare, a causa delle ali troppo corte; la roccatrice che discende dal basilisco, una sorta di orrendo gallo, ma somigliante ad un drago nato, secondo la leggenda, dalla testa di Medusa decapitata, con il terribile potere di trasformare i boschi in deserti, mediante il suo respiro velenoso; l’anfisbena, il drago/serpente provvisto di due teste, collocate ciascuna alle due estremità, legata anch’essa al mito di Medusa.
Nella cultura occidentale e medio-orientale, il drago ha svolto importanti funzioni magico-sacrali, assumendo il ruolo di catalizzatore di numerose credenze e dottrine. Sulla porta di Isthar a Babilonia, era incisa la figura di Sirrush, il drago guardiano degli dei, sacro al dio Marduk, alto quanto un cavallo, con zampe anteriori da leone e posteriori da aquila. Nell’antica Grecia, il dragone era conosciuto come una bestia serpentiforme dalla lingua triforcuta, famoso per la sua proverbiale sapienza ed in grado di trasmettere oracoli attraverso prescelti iniziati. Nella fondazione della città di Tebe, compare il mitico dragone, i cui denti furono consegnati da Atena a Giasone per favorirlo nella sua impresa di ricerca del vello d’oro. Sempre in ambito ellenico si individua il drago di Giaffa, una specie di mostro marino somigliante ad una balena crestata e dall’imponente e distruttiva coda. Si tratta del mostro sconfitto da Perseo, prima che fosse divorata la principessa Andromeda, legata ad uno scoglio dal proprio padre. In questa zona, secondo una leggenda popolare, si troverebbe proprio la tomba di San Giorgio, santo patrono della città di Genova che avrebbe sconfitto un drago anfibio, salvando una ragazza dalla bramosia del mostro. E’ evidente come il racconto mitologico greco sia stato riesumato e riadattato nel contesto religioso cristiano, soprattutto per legittimare con più enfasi le sanguinose spedizioni delle Crociate. Tra i draghi multi-teste, il più impressionante è di certo il grande drago rosso raffigurato da Giovanni di Patmos nel libro dell’Apocalisse, con sette teste coronate e dieci corna, compendio di abominio e depravazione (Satana). Una creatura antesignana al drago satanico, è il Leviatano, un mostruoso serpente marino citato nell’Antico Testamento biblico, di sesso maschile e colpevole di causare tempeste ed altre calamità come i maremoti. Del Leviatano vi sono, altresì, descrizioni alternative che lo indicano come una balena dalle eccezionali dimensioni, oppure come un gigantesco cefalopode e, perfino, come un abnorme coccodrillo, al quale si attribuiscono parti del corpo anche di altri animali.
In Cina il drago, fin dall’antichità, è diventato il simbolo della famiglia imperiale insieme alla fenice, considerato come dispensatore di sapienza e di bontà. In area indiana, invece, la bestia naga ha un aspetto più serpentino, raffigurato spesso con un cappuccio simile ai cobra e con un diverso numero di teste, a seconda del rango che ricopre, solitamente immaginato senza gambe e senza braccia.
La cultura contemporanea è stata maggiormente influenzata dalla versione del cosiddetto “drago occidentale” che presenta le seguenti connotazioni principali: corna appuntite, ali ricoperte di membrane, quattro zampe con sembianze complessive da “grosso lucertolone” cosparso di squame e di scaglie sull’intero corpo. Le credenze popolari ritengono l’animale capace di sputare fuoco, grazie ad una specie di ghiandole presenti nella mascella inferiore che provvedono a produrre una sostanza più o meno simile al fosforo. Nel momento in cui il drago apre la bocca, il fosforo si incendierebbe entrando in combustione al contatto con l’aria esterna. In natura esiste davvero l’insetto bombardiere che è in grado di spruzzare aliti bollenti sui propri predatori, grazie ad un apparato più o meno uguale a quello immaginato per il drago.
Nel linguaggio simbolico, il drago è spesso associato ai quattro elementi fondamentali della filosofia greca. Il “drago di fuoco” indicherebbe la trasmutazione e l’energia cosmica che si compenetra nella psiche dell’individuo: si tratta di un vigoroso totem in grado di trasmettere coraggio ed entusiasmo nella realizzazione dei propri progetti; il “drago d’aria” porterebbe intuizione, ispirazione e benessere, essendo profondamente legato ai processi intellettivi e capace di sviluppare la consapevolezza delle proprie capacità; il “drago di terra” costituirebbe l’emblema della forza e della conquista dei beni materiali, favorendo la sintonia del soggetto con l’abbondanza della madre Terra; il “drago d’acqua”, infine, sarebbe il totem delle profondità del nostro subconscio, aiutandoci a far emergere emozioni, passioni e ricordi trascurati oppure caduti nell’oblìo. In generale, però, non è azzardato affermare che il drago sia concepito come animale “ctonio” (legato alla terra), in considerazione delle sue caratteristiche principali, come l’attitudine a strisciare, a vivere in grotte sotterranee e a preservare tesori di grande valore
Il drago è un importante simbolo esoterico e, come abbiamo già accennato, ha assunto significati diversi presso le diverse culture. Se in Oriente esso rappresenta il compendio delle forze benefiche e creative, in Occidente si pone come portatore di pericolo e di distruzione. Molte leggende si soffermano sulla lunga esistenza di questo mitico animale e ciò, già di per sé, implica una pregnante valenza emblematica. Alcuni racconti concordano sul fatto che un uovo di drago può impiegare almeno un secolo per schiudersi e che il corpo del cucciolo inizia ad assumere le sembianze del noto animale, soltanto dopo circa 500 anni. Lo sviluppo della creatura si completerebbe dopo un ulteriore ciclo di 500 anni. Grazie alla notevole durata della sua vita, il drago avrebbe la possibilità di accumulare una saggezza ed una conoscenza di inestimabile valore, venendo descritto in ambito esoterico con la caratteristica ulteriore di custode di tesori preziosissimi. In verità, l’immagine del drago come “custode di tesori” finì, nell’accezione negativa di tipo occidentale, ad identificare l’animale come simbolo di impareggiabile avarizia, a partire dalla favola didascalica “La volpe e il drago di Fedro”.
Nella transizione sincretica dal paganesimo all’adozione della dottrina cristiana, nell’Europa settentrionale e centrale si diffusero le narrazioni paraboliche sul tema del“drachenkampf” (battaglia contro il drago). Al di là dei contesti specifici, il significato ermetico ed iniziatico dello scontro con la bestia deve essere letto in un’ottica interiore ed intimistica. Ciascuno di noi nasconde un lato oscuro e per eliminare le pulsioni più abiette e negative deve necessariamente sconfiggere il mostro che è racchiuso dentro di sé. Non a caso, Carl Gustav Jung, si riferirà alla “battaglia contro il drago”, come ad un vero e proprio “processo di individuazione” di un archetipo comune del nostro inconscio collettivo. Jung definiva il drago come “l’Ombra”, cioè come il complesso degli impulsi umani che, pur avendo le potenzialità per risultare consci, molto spesso vengono negati. Per questo motivo, il drago-ombra non è che il nostro alter ego, cioè l’antagonista, quello che nei racconti è raffigurato come il cattivo di turno. Nel poema norrenico Sigurdhsaga”, l’eroe ingerisce il sangue ed il cuore del potente drago Fafnir, allo scopo di intendere il linguaggio degli uccelli, capacità questa che sta ad indicare l’acquisito alto livello di saggezza e di conoscenza. Il drago è visto, pertanto, come mostro ma anche come maestro, che si sacrifica e rivela al suo assassino i misteri più celati della sua essenza. L’immagine rituale di mangiare il cuore del drago e di bere il suo sangue somiglia in maniera impressionante alla pratica antropofagica eucaristica, nella liturgia cristiana, di ingerire il corpo ed il sangue di Cristo, divenuti tali dopo una presunta “transustanziazione” del pane e del vino consacrati dal sacerdote officiante. Come nell’eucaristia, l’individuo si nutre della sapienza di Cristo, così nell’uccisione del drago, l’eroe elimina il suo “io” vecchio e risorge come nuova persona. Tra i draghi più famosi della letteratura norrena, di certo si può annoverare quello che compare nell’ultima parte del poema dedicato all’eroe Beowulf. La creatura descritta nel poema è una serpe alata che sputa fiamme e che custodisce un antico tesoro: Beowulf, ormai vecchio, affronta il drago nella battaglia finale, morendo insieme a lui, in uno struggente epilogo di altissimo valore didascalico.
Le raffigurazioni del drago raggiunsero la maggiore diffusione in epoca medioevale, pur conservando quasi tutte le caratteristiche iconografiche elaborate dalle civiltà classiche e da quelle orientali. Nelle chiese romaniche e gotiche dell’intera Europa sono disseminate tantissime incisioni dove questo nobile animale è rappresentato, a volte su lunette di maestosi portali o semplicemente su formelle di strutture interne. Tra i miti riguardanti il drago, quello della contrapposizione con San Giorgio, è senza dubbio uno dei più celebri in campo artistico e letterario. Esso deriva dalla Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varazze alla fine del tredicesimo secolo che, come abbiamo già visto, presenta molti punti in comune con il racconto di Perseo ed Andromeda. Il confronto tra San Giorgio e il drago può essere letto anche in chiave escatologica, come eterna lotta tra il bene ed il male, nonché come anticipazione della “parusìa”, ovvero la seconda venuta di Cristo sulla terra che, secondo la visione cristiana, porterà alla sconfitta di ogni male. In epoca medioevale andò sviluppandosi l’immagine del drago o serpente, come “Ouroboros”, che si morde la coda, motivo per il quale, nelle azioni alchemiche, si impose quale simbolo di trasmutazione della materia grezza.
Sotto il profilo alchemico, il drago è delineato come “nero sulfureo”, in opposizione alla “bianca principessa” che simboleggia il candore della coscienza e che deve essere liberata. E’ proprio questa opposizione di elementi ad essere cantata e celebrata nelle favole: l’impresa del coraggioso cavaliere che rischia tutto per liberare l’avvenente fanciulla/principessa tenuta prigioniera dal drago/mostro. Nei miti/favole/fiabe occidentali notiamo una marcata continuità tra l’epoca classica e quella cristiana: da Ercole a Longino, da Perseo a San Giorgio, ciascuno di questi eroi, provvisti di corazza e di spada, si accinge a compiere straordinarie imprese per uccidere il drago e salvare la bella principessa, dal punto di vista ermetico meglio definita “vergine bianca”. Nella maggior parte dei racconti, la bestia viene trafitta da una lancia con la punta di ferro, metallo nobilissimo per il mondo alchemico, in quanto formato da una notevole quantità di zolfo stabile e presente in numerosi meteoriti. Il ferro, inoltre, è un metallo associato ad Ares/Marte e, per questo, contiene un innegabile principio maschile ed una forza primordiale distruttiva. In tale contesto, l’uccisione del drago si pone come evento cosmico che trascende la semplice individualità, diventando il paradigma della rigenerazione della materia primaria nel caos iniziale, quale simbolo del fuoco segreto o dello spirito divino.
Nella cultura moderna e contemporanea i draghi sono stati adoperati come personaggi di romanzi, pellicole cinematografiche e giochi a carattere fantasy, in una sorta di rielaborazione sincretica delle caratteristiche riconosciute al mitico animale nel mondo occidentale ed in quello orientale. Anche se nelle attuali raffigurazioni si tende ad utilizzare l’iconografia classica del drago, diffusa in epoca medioevale, alcuni attributi sono ricavati dal modello cinese, come la dote innata della saggezza, la bontà d’animo e le capacità di modificare il destino individuale. In ambito letterario, numerosi scrittori di libri fantasy hanno ampiamente fatto riferimento ai draghi, a cominciare da Tolkien, soprattutto nelle opere “Silmarillion”e “Lo Hobbit”, nonchè Margaret Weis e Tracy Hickman nei libri Le Cronache di Dragonlance” ed il “Ciclo di Death Gate”. Segnalo, per originalità, anche il libro di Licia Troisi dal titolo singolare: “La ragazza drago”. La tematica mitologica del drago si è intrecciata con argomentazioni di tipo speculativo e a sfondo fantascientifico nel popolare ciclo di romanzi “Dragonieri di Pern”, in cui le creature sono descritte come originate da complessi ed avveniristici esperimenti.
La presenza del drago nelle piccole cinematografiche è davvero molto copiosa, dal Drago riluttante, prodotto da Walt Disney nel 1941 fino ad arrivare a Raya e l’ultimo drago, completato nel 2021. In linea generale, in tantissime fiabe/favole un principe od un cavaliere deve combattere contro un drago per liberare una magnifica fanciulla/principessa tenuta prigioniera da un’entità malvagia. Di grande suggestione è la battaglia finale tra il principe Filippo e la perfida strega Malefica, trasformatasi in un possente drago, dopo aver chiamato a raccolta tutte le forze del male, nella versione originaria di Sleeping beauty (La bella addormentata nel bosco) della Disney. Come abbiamo avuto modo di sottolineare in altri contesti, i racconti riadattati dalla Disney comprendono una simbologia esoterica ed iniziatica di particolare rilievo. Il drago, dunque, con tutte le sue articolate interpretazioni, è una creatura mitica che emerge dal nostro inconscio collettivo, quale archetipo di trasformazione e di rinascita spirituale. La demonizzazione occidentale del drago ed, al contrario, la sua positiva considerazione presso le civiltà orientali, sono in realtà due facce della stessa medaglia: il drago è il nostro microcosmo interiore, trasfigurato nel macrocosmo universale, che divora e distrugge per poi rinascere e ricostruire.