Godersi il Wimbledon ripensando alla magia del 2001

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Ogni volta che inizia Wimbledon non posso non pensare alla finale del 2001, quando un atleta croato, dopo aver perso tre finali, centra finalmente la vittoria ai Champioships. Sarebbe una storia quasi ordinaria, se non fosse che l’atleta in questione, Goran Ivanisevic fu il primo atleta a vincere Wimbledon da wild card, cioè da invitato.

A quel tempo Goran aveva una posizione tale nel ranking atp che non avrebbe potuto partecipare al terzo slam della stagione, ma poi, quell’invito fu per lui motivo di provare nuovamente a vincere quel titolo a cui teneva più di qualsiasi cosa al mondo.

La sua vittoria, ben prima dell’uscita dell’autobiografia di Agassi, Open, dimostrò come una partita di tennis, oltre ad essere una sfida contro un avversario, è una sfida contro sé stessi.

Ad ogni vittoria Goran contribuì a far riaccendere i riflettori su di lui, un atleta considerato sul viale del tramonto, e Ivanisevic, conscio di questo rilasciava delle interviste in cui diceva che ad ogni match doveva tenere a bada gli “altri Goran”, altrimenti non avrebbe vinto.

Invece, a suon di ace e prestazioni impeccabili, Goran vinse quel torneo scalzando Roddick, il britannico Tim Henman che all’epoca, ben prima dell’avvento di Murray, era la speranza degli inglesi per rivedere un loro connazionale alzare la coppa più prestigiosa dei tornei del Grande Slam, ed infine Pat Rafter.

Quel quinto set infinito, la risposta dell’aussie sulla rete ed infine la vittoria di Goran che, esausto ed incredulo si abbandona sull’erba del centrale di Wimbledon per godersi la vittoria.

Sono passati ventun anni, ma ad oggi rimane una delle storie più belle che il tennis ci abbia mai donato.

Goran avrebbe potuto restare un finalista di lusso -mi riferisco a Wimbledon- come Ivan Lendl o Ken Rosewall, invece vinse contro tutti, ma soprattutto contro sé stesso.