Marielle Franco: la sopravvivenza della gentilezza

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Sembra quasi inutile parlare di chi è nata per fare la differenza; del tutto normale, invece, per chi tra le “differenze” c’è nata, passare una vita provando ad abbatterle sentendo addosso tutta l’ingiustizia di un mondo da combattere come fosse una condanna.

Marielle Franco era una politica attivista brasiliana laureata in Sociologia, lontana dalle stanze di un potere giustiziere.  

Il Brasile di Marielle Franco non gioca ai travestimenti di un alienato carnevale di Rio organizzato e gestito da chi si ciba di ostentate tradizioni e promiscuo turismo occidentale; il Brasile di Marielle è il sorriso affossato tra le rughe di una criminalità d’alto rango, ubriaco di un vino, pigiato e torchiato sulla pelle di deboli bottegai.

Marielle Franco viene assassinata il 14 marzo del 2018, uccisa da un governo imperativo che indossa divise, pretende rispetto e gode di diritti che hanno ben poco a vedere con quelli umani, vietati ai miseri, ai molti, ai tutti.

Una vita di soli 38 anni trafitta dai colpi di chi non ascolta e non vede la povertà, non vuole conoscere la miseria strabordante di un paese geograficamente immenso, storicamente massacrato da una destra colonizzatrice e tiranna, aggressiva e violenta.

La politica di Marielle Franco è una politica semplice, fatta di progetti di riscatto.

Fondamentale per lei l’avvicinamento alle idee politiche di Marcelo Freixo e del Partido Socialismo e Liberdade (PSOL). Una politica senza retorica ma concreta rivolta ad una sensibilità sofferente, che mette da parte i tecnicismi collaterali soliti nei discorsi politici; prevale una passionalità altruista sostenendo il diritto alla vita di tutti, soprattutto degli abitanti delle favelas, baraccopoli, dove regna il degrado, un alto tasso di criminalità e in cui nidificano centri di spaccio di droghe e narcotici.

La sicurezza delle favelas è il primo e maggiore problema affrontato nel percorso politico di Marielle Franco, “favelada” che vive il peso della discriminazione e della diseguaglianza. Nel 2006 promuove una campagna a favore dell’istruzione dei giovani abitanti degli slum, richiedendo uno spostamento di fondi pubblici dal settore della sicurezza a quello dell’educazione.

Marielle Franco: Killed for defending the people of Rio

Nel 2009 i due funzionari pubblici entrano a far parte della Commissione per i diritti umani dell’Assemblea Legislativa di Rio de Janeiro; a Marielle spetterà il coordinamento della Commissione stessa esordendo così nella sfera politica del Brasile. Un compito che indossa con passione e con la convinzione di poter, finalmente, essere utile alla sua gente.

Diviene fin da subito l’unica rappresentante di diversi gruppi: gli abitanti delle favelas, le donne, prime vittime di una diseguaglianza sociale, le minoranze etniche e le persone LGBTQ. Rivendica i diritti naturali attraverso una politica “gentile”. È una donna chiaramente uguale a qualsiasi altra: una giovane donna afroamericana, bisessuale ed originaria della più grande favela della città. Impegnata soprattutto a rivendicare i diritti delle donne, in un Paese in cui la figura femminile si deve far bastare una quotidianità domestica sfamata da un lavoro operaio maschile; donne esposte costantemente a situazioni di violenza letale, mortificate e sfruttate ma animate da un profondo istinto di sopravvivenza. Questo tra i suoi progetti più importanti ma troppo ambizioso (forse) in un Paese in cui le vette gerarchiche sono occupate da chi ringrazia Dio per essere nato con la pelle bianca!

Ripete “se è legale deve essere reale”, e denuncia l’assenza di aiuto e di assistenza nei confronti di chi rimane incinta non per amore ma per violenze, di chi rischia la propria vita per metterne al mondo un’altra e per tutte le malattie che potrebbero derivarne. Marielle si batte anche per il diritto allo studio, lei che preso il diploma, dovette rinunciare agli studi universitari, costretta ad arrendersi ad un destino programmato per chi cresce nelle dimenticanze del mondo (favelas). Lei con i suoi 18 anni e una gravidanza inaspettata, destinata a un futuro che non aveva niente a che fare con il futuro; solo nel 2002 riesce ad iscriversi all’Università pontificia.

Scomoda voce in un coro muto, Marielle Franco è stata messa a tacere da quattro sicari autorizzati a far tacere il suono stridulo e pericoloso di una donna, per giunta nera, che osa parlare e manifestare; che usa le parole come i chiavistelli di prigioni dentro le quali si consumano violenze e misfatti di ogni genere. Che parla di equità, libertà, uguaglianza, ricchezza sociale, lavoro: che chiede dignità! Parole ingenue, troppo, per chi esercita un potere di censure e privilegi e propone addirittura la cancellazione delle politiche di tutela del territorio facilitando lo sfruttamento di petrolio, gas e turismo, incoraggiando atti di violenza contro i leader delle comunità indigene. Parole perniciose come il ronzio di una mosca e per questo da sopprimere, eliminando “democraticamente” il fastidio. Marielle donna afroamericana, cresciuta nella rete insidiosa del malessere, in una vita non scelta; osa non rassegnarsi e lotta con le armi della speranza. La speranza di non vedere più le mani sporche dei bambini che poi verranno sporcate dalla crudeltà degli abusi, destinandoli ad incubi stremanti. Esclusi da ogni tipo di beneficio, perennemente rimossi e dimenticati.

L’attivismo di Marielle Franco si dedicherà a fare dell’inclusione consuetudine, ad inseguire il sogno di mondo che non debba per forza appartenere a qualcuno o che debba sempre escludere qualcuno; un percorso di grande ricchezza vitale in un paese talmente verde quanto arido di cuore.

Il 14 marzo del 2018 si interrompe un percorso di rivalsa, di sostenibilità, di progresso civile. Probabilmente predisposto da Bolsonaro, recentemente in stato di accusa “per omicidio di massa”, per avere lasciato intenzionalmente che il coronavirus dilagasse uccidendo centinaia di migliaia di persone; quasi a sperare che i più “deboli” si estinguessero.. Un presidente che ad oggi tiene il Paese nella falsa retorica di una pubblicità corrotta e di una politica di apparenza, legata a favoritismi e imposizione di ricatto. Un Paese dalle mille “bocche tappate” in una comunicazione con “filtri” che opprime la libertà di stampa e di parola.

Una esecuzione studiata quella di Marielle Franco, di cui si è voluto tacere, ovvia e scontata, in un Paese, tra i più grandi del mondo, dove il progresso contrappone scenari di povertà e dove la libertà è chiusa nella scatola di lontanissimi ricordi.

Marielle Franco continua a vivere; vive nella sua favelas, sui muri delle città europee, lei, leader del socialismo gentile, guerriera in prima linea: “non sappiamo quanti altri dovranno morire prima della fine di questa guerra” ma sappiamo ben scegliere chi condannare per aver attentato alla democrazia e alla libertà. Una democrazia che, oggi, respirando il vento della guerra, vediamo vacillare. Caino e Abele; la storia rilegge lo stesso copione, gli egoismi trionfano e l’umanità dimentica l’UOMO. Marielle, vittima, nel silenzio, come tante!