Tre monologhi – Penna, Morante, Wilcock: il nuovo, particolare libro di Elio Pecora

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Elio Pecora è stato, ed è, uno dei maggiori protagonisti della poesia italiana, una figura tra le più poliedriche del nostro panorama letterario: poeta, critico, saggista. Ha collaborato per diversi programmi Rai, ha curato antologie di poesia, diretto riviste, realizzando anche sceneggiature teatrali e libri per l’infanzia, ed  è oggi direttore editoriale del quadrimestrale internazionale Poeti e Poesia.

La sua storia personale e letteraria l’ha posto in collaborazione e strettamente a contatto con tutti i protagonisti della cultura italiana del 900, da Pasolini, Elsa Morante, Rodolfo Wilcock, Sandro Penna e tanti altri poeti e scrittori.

In questo ultimo libro Tre monologhi. Penna, Morante, Wilcock, ci conduce alla riscoperta di tre grandi protagonisti della letteratura italiana, dal lui ben conosciuti anche personalmente: Sandro Penna, Rodolfo Wilcock ed Elsa Morante.

Il monologo è la forma letteraria scelta. È teatrale e poetica nello stesso tempo. Ha il vantaggio di tenere insieme la biografia, la visione del mondo, ma anche l’opera dei protagonisti. 

In generale, se si riconosce che ogni artista parte da una sua intuizione, un suo modo di osservare il mondo, da cui si estende un insieme di valori e la narrazione del proprio vissuto, è inevitabile che ognuno di essi debba necessariamente esprimersi in una sua specifica forma e contenuto artistico. Così che vita ed opera diventa un tutt’uno. E la loro narrazione della vita è vita vera e propria.

Elio Pecora in virtù della conoscenza personale e della profonda competenza letteraria  riesce a tratteggiare quell’intuito, quella visione artistica nei riverberi della loro vita. 

Ci mostra che contenuto, forma letteraria e vissuto sono coerenti in quanto proiezioni di un unico mistero, di una unica narrazione, intuizione, che diviene anche forma e contenuto delle opere.

Come un sapiente artista tratteggia queste tre figure, cogliendo con la sua sensibilità letteraria camaleontica, la personalità, il vissuto, lo stile, la loro arte. 

Allora  per descrivere le diverse personalità e gli stili letterari, prima Penna, poi Wilcock fino alla Morante cambia addirittura ogni volta il suo stile di scrittura.

Con Sandro Penna, il linguaggio è poetico, l’io narrante è in prima persona, e ci permette di entrare nella sua quotidianità, nelle sue stanze, i suoi orizzonti, ci mostra il suo vissuto, così legato alla sua poesia, al suo stile letterario.  

“Perché il desiderio e là, non si sa da dove affiora, nemmeno sappiamo dove pretende di andare. Essere coscienti di questo fa la diversità. Aver sentito che nella mente sta formandosi una stanza. In quella stanza di continuo tornare, approdarvi come nel solo porto in cui riconoscersi. Una stanza in cui il mondo scomposto si ricompone per un ordine promesso, in una segretezza che insieme e trovarsi e perdersi”

La figura di questo grande poeta ci appare schiva ma tenera, malinconica e solare, come le sue poesie, come la sua narrazione, la sua verità. 

Si passa poi a Wilcock, con una prosa poetica più diretta, forse più cupa, ma fervida di fantasia in cui Pecora riesce a mostrare la sua quintessenza fantasmagorica, isolata, più altera. Un autore che viveva alla periferia di Roma, ma diveniva per carattere anche periferia letteraria da cui lanciare le sue lucide analisi verso la società del tempo.

“La sua voce era ironica, tagliente, ma accadeva – a chi gli era poco amico, e riusciva a superare quel gelo che lo rendeva lontano inaccessibile – di sentirvi, come trattenuto, soltanto trattenuto, un bisogno di vicinanza, di affetto.”

Infine giunge il monologo di Elsa Morante. Qui Pecora ricalca il suo stile letterario, la sua dolcezza e malinconia. La sua prosa intima e sociale, i suoi luoghi, tra le isole e la sua vita nel centro storico di Roma, dal dopoguerra fino agli anni 80. Della grandissima scrittrice mostra la capacità di introspezione, di osservazione, di invenzione. Il fuoco sacro, quello dell’arte della scrittura. 

“… un destino questo della scrittura, e nel destino una scelta, insieme un premio e un castigo. Restituire le storie che premono dentro perché appartengono a tutti. Uscire allora dal minuscolo io, così spesso accecato dalla luce, così in fuga nelle nebbie dello sconforto. Perdersi per  trovarsi, ma dove ? Lasciare  l’io che vacilla, fatica a bastarsi, s’arroca nella difesa vana di suoi inutili processi”. 

Ma poi come lei stessa appuntò “L’arte contro la disintegrazione della coscienza”.

Questo breve libro ci lascia la triplice sensazione di aver letto le loro opere (talvolta citate), di aver inteso il loro stile, di averli conosciuti. Leggere questi monologhi  è una esperienza : letteraria, umana e storica, che solo l’abilità letteraria, la fantasia e la conoscenza personale della personalità artistica di Pecora poteva permettersi di regalarci. Un libro che è romanzo, saggio, poesia e sceneggiatura teatrale.

Ci si può porre una domanda: dove è Elio Pecora scrittore in questo libro? C’è il suo stile, la sua perizia, ma non appare con evidenza la sua mano che distrarrebbe il lettore.

I suoi soggetti, come accade a grandi pittori e scrittori, ci attraggono senza avvertire l’artificio dell’artista.  

Sono reali, conosciuti,  ma nel contempo frutti della fantasia, dell’invenzione, del ricordo. 

Offrendoci in questo modo anche lui la sua intuizione, la sua verità con la quale descrive magnificamente le altre.