La storia editoriale di Suite Francese di Iréne Nemirovsky

Nel giugno del 1940 i soldati del terzo Reich entrarono a Parigi e provocarono un esodo di massa verso le periferie. Pochi mesi dopo, in Francia, furono emanate le prime leggi razziali che ponevano gli ebrei sul livello più basso della piramide sociale e nel 1941 fu approvato il decreto che permetteva di deportare questi ultimi.

Fu in questo clima che Iréne Nemirovsky, figlia della borghesia semita e scrittrice ormai affermata, iniziò a ideare un’opera ambientata nella Francia di quei giorni disumani. Le leggi razziali avevano portato gli ebrei ad una condizione di solitudine e precarietà, tanto che l’11 giugno del 1942 l’autrice scrisse al direttore editoriale:

“Non mi dimentichi. Ho scritto molto. Saranno opere postume, temo, ma scrivere fa passare il tempo.”

Circa un mese dopo, la triste previsione si avverò: i poliziotti arrestano Irène e il 17 luglio fu deportata ad Auschwitz, da cui non fece mai più ritorno.

Nonostante le circostanze non le abbiano dato il tempo di concludere l’opera iniziata poco prima – nei suoi progetti, il romanzo avrebbe dovuto contenere circa 1000 pagine, divise in quattro capitoli -, quando fu pubblicata divenne subito una pietra miliare della letteratura.

Ma il modo in cui il manoscritto è sopravvissuto agli eventi e ai nazisti, sembra esso stesso il capitolo di un romanzo.

Manoscritto originale

Quando anche Michael Epstein – marito di Irène – fu arrestato, le figlie furono affidate alla bambinaia di famiglia. Per non farsi arrestare, le tre furono costrette a lunghi periodi di latitanza e fughe in lungo e in largo; l’unica cosa che si trascinavano dietro era una valigia con dentro fotografie, documenti e il manoscritto che mamma Iréne aveva iniziato prima di essere deportata.

Passarono un lungo periodo in un collegio, ma i nazisti, volendo a tutti i costi assicurare le due bambine alla giustizia, ne scovarono le tracce e furono costrette a fuggire di nuovo. Seguirono altri rifugi e altrettante fughe fortunose: si dice che la bambinaia, ad un posto di blocco, per far si che i tedeschi non riconoscessero le bambine, le strappò via la stella di David.

Intanto la guerra finì e i sopravvissuti dai campi di sterminio e di concentramento tornarono alle città; né Irène, né Michael furono tra questi.

Erano passati molti anni e le due sorelle, ormai adulte, non avevano il coraggio di aprire il manoscritto; le bastava poterlo osservare e toccare.

Nel frattempo, Elizabeth che era diventata la direttrice di una casa editrice, in accordo con la sorella, decise di affidare il quaderno all’Institut Mémoire de L’Edition contemporaine.

Ma prima di separarsene, Elizabeth decise di decifrare quelle frasi.

Dopo un lungo lavoro le due sorelle si accorsero che quel manoscritto non fosse un diario con annotazioni e idee scomposte, ma un romanzo al cui interno c’era la Francia collaborazionista: l’esodo all’arrivo dei tedeschi, il collaborazionismo e le relazioni.

Qualche anno dopo quel romanzo fu dato alle stampe, e nel 2004 fu pubblicato; il suo titolo era Suite Francese.

L’opera è composta da due parti: “I falò d’autunno” e “Dolce”.

La prima parte narra l’arrivo dei tedeschi e la conseguente psicosi del popolo parigino.

In “Dolce” troviamo una Francia già occupata, in cui francesi e tedeschi, dopo qualche remore, instaurano rapporti amichevoli e anche amori fugaci.

Soprattutto in questa seconda parte la Némirovsky racconta l’umanità dei rapporti tra occupanti e occupati e, probabilmente, la potenza di questo romanzo incompiuto sta in questo elemento.