Il vizio che ci rovina

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A me mi ha rovinato la guerra, diceva Petrolini. A me mi ha rovinato il gioco, sostiene il pokerista; a me mi han rovinato le donne, confessa il seduttore casanova, mentre un’amica scrittrice, Chiara Zaccardi, riflette con disappunto: “A me mi ha rovinato la letteratura”, e ne sono convinto, avendone anch’io pagato le conseguenze in termini di sogni, ancor desti in età avanzata, tanto da vedermi come un vecchio che possiede fantasie accesissime, alla stregua d’un bambino. Posso affermare di aver vissuto di sogni in un sol sogno, in dispregio della realtà.

Enrico Robusti, Natura mezza viva, mezza morta, 100×150, olio su tela,  2021

Lo racconta Javier Cercas, il vizio di leggere è proprio del lettore-vampiro, che non legge per passare il tempo o per evasione o per accrescere il proprio sapere, ma per sopravvivere, e non vuole leggere i libri, ma vuole essere i libri, vuole che i libri divengano della sua stessa sostanza, vizio che colpì lo scrittore in gioventù, quando, dopo aver letto tutti i libri di de Unamuno, si consegnò a uno stato di frenetica mancanza di controllo morale, abbandonandosi a tutte le dissolutezze possibili.

Il vizio, insomma, è una perversione eccessiva, una malattia socialmente sottaciuta che consiste in una predisposizione per l’esagerato e l’incontrollabile che non risulta facile né gratuita e neanche curabile con rimedi o medicinali. La sanità pubblica e privata ignorano il vizio da sempre.

Il vizio mi ha rovinato. Ce ne dogliamo, con un’espressione ironica, se non addirittura di vanto.

Vania Comoretti, Studio-Eyes, acquerello china e pastello su carta, 22×36, 2019, courtesy: © Vania Comoretti, Guidi&Schoen Arte Contemporanea, Genova

Ammettiamo, con quella asserzione, di aver orientato l’esistenza al raggiungimento del traguardo del piacere. Questa scelta condizionante la definiamo rovina? Se viviamo solo di sogni, se giochiamo fino a perdere ogni sostanza e pure la dignità, se per correre dietro alle gonne o a un pantalone smarriamo tutto, perfino l’amore, forse sì. Gli altri, che sono riusciti a fare dei loro vizi un mezzo e non un fine, si sono salvati. Noi dannate e dannati abbiamo creduto fino in fondo nella nostra passione e vocazione: ma quanta vita c’è, in chi vive per il vizio! Da non potersene liberare e da esserne sopraffatti, fino a coinvolgere nella propria caduta gli immacolati, quelli che il vizio non lo hanno mai frequentato.

Silvia Mei, The Adults, 130×100 cm, acrilico, tempera, spray, indelebili e tecnica mista su carta intelaiata, 2021. Foto Elski

In verità Petrolini era stato veramente rovinato dalla guerra, che aveva interrotto la sua carriera di musicista. La guerra non era un suo vizio, era uno sfondo orribile in cui il traviamento degli altri diventava una minaccia per tutti. Eppure anche la guerra è figlia d’una depravazione, ce l’ha suggerito Petrolini, viene da lontano, dalla barbarie dell’uomo contro l’uomo, dal vizio omicida che in ciascuno di noi alberga. È che l’abbiamo messo a dormire, è che l’abbiamo controllato, altrimenti quanti ne avremmo ammazzati nel corso della nostra esistenza? Non avremmo più parenti, amici, non vedremmo politici in giro. Saremmo soli e ormai privati del vizio assurdo – quello della morte, che sta lì a tentarci sempre, e che a volte rivolgiamo verso noi stessi, coraggiosamente, mettendo a tacere il nostro vizio più spassionato e veramente pericoloso, padre di tutti gli altri vizi, quello di vivere.  

Beati coloro che hanno il vizio di vivere, perché vivranno.

E saranno rovinati per sempre dalla vita.