Duecento parole per noi posson bastare, solo per noi!

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Caligola, quale rimpianto per lui! Aveva ripristinato la gara di eloquenza decretando che le opere partecipanti ritenute immeritevoli dovessero essere cancellate con la lingua dagli autori. Ai nostri giorni, per ancestrale quanto involontaria memoria di quell’antefatto, gli scrittori non osano utilizzare più di duecento vocaboli con i quali riempiono cento pagine di novellette pubblicate nelle collane di prosa di compiacenti editori. Purtroppo, l’esigua quantità e l’infima qualità di parole conosciute da questi penniminimi limitano le velleità del loro pensiero, e li spinge a considerare che solo quei duecento lemmi necessitino e siano degni e importanti. Tutto ciò, li autorizza perfino a pontificare affermando che i lettori debbano essere educati mediante restrizione in circoli di lettura o in scuole di scrittura, istituzioni nelle quali si ha da apprendere e condividere quei duecento termini: di qui il fanatismo. Guai a smentirli: il loro miserrimo argomentare -fatto di imperiti improperi, di calunnie adespoti- potrebbe colpirvi a salve, atrofizzandovi il lessico.

Da quei raccontini vengono tratti perfino dei banali film nei quali, per i motivi esposti, prevalgono i silenzi, e la mancanza di sceneggiatura viene perfino lodata, fraintesa come espressione di poeticità da critici dotati dello stesso patrimonio verbale.

Vito Bucciarelli, Mediterraneo, disegno digitale, stampa digitale su tela, lettore mp3, amplificatore,  185×130, 2001

L’italiano suolo è ormai un pauperificio di teste nelle quali deserto è il pensiero.

Se è vero che, come dice Savinio, “il fine della cultura è di far conoscere il maggiore numero di cose, e poiché conoscere significa distruggere una cosa, fine supremo della cultura è l’ignoranza”, gli scrittorucoli odierni hanno raggiunto da soli il fine supremo della cultura in modo trionfale senza mai essere passati per la porta scomoda della letteratura.

Alessandro D’Aquila, Tavola Ottometrica Poetica, Soldati, Lightbox, 30x70x10, 2021
Opera firmata e numerata sul retro.

In questo lavoro l’Artista cerca di spiegare che non siamo più in grado di leggere i grandi classici.