Quello che non avete mai saputo sul telefono cellulare

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Se è vero che gli oggetti vantano una fisica, non è azzardato ipotizzare che possiedano una loro logica. Se fosse vero, dovremmo mantenere un maggior rispetto nei confronti dei nostri cellulari. Quale idea si fanno dei nostri trasandati o irritanti sms, dei post con cui commentiamo le pagine dei social, dei selfie sempre più assurdi e grotteschi: ma sentite: non proviamo alcun imbarazzo di fronte al loro arrossire? Non ci vergogniamo per quel che dimostriamo di essere, superficiali, banali, aggressivi, sfrontati, maleducati, rozzi, in una sola parola, ignoranti, di fronte agli studi e alle ricerche che tanti ingegneri hanno profuso e riversato in quella piastra metallica sempre accostata all’orecchio, alla bocca, che s’intende di noi più che noi ci intendiamo d’essa?

Il telefono cellulare sa tutto di noi e noi non sappiamo nulla d’esso. Come ci permettiamo di mancargli di rispetto sovraccaricandolo delle nostre insulsaggini? Perché, prima di messaggiare e di sfruculiare i tasti usando i pollici come un ominide disarticolato, non cerchiamo di sostare a riflettere su quel che abbiamo da dire?

Nel frattempo, riposto nella tasca o nella borsetta, il cellulare langue: non riesce a stare lontano dal padrone. È sentimentale, e si è anche un po’ immedesimato in lui. Lo carezza, ne assorbe il calore, avverte il flusso del sangue. Sogna di diventare come lui, un corposo stupidario in carne e ossa, un cazzaro felice, un mentecatto protagonista d’indimenticabili apericene; immagina di condividere con lui l’intelligenza del mondo naturale che lo circonda. Il problema è che l’uomo non riesce a vedersi così com’è. Delegando gli oggetti a far questo, si è tolto un problema.   

Cover image: Anna Muzi Falconi, 50%, olio su tela 100×100, 2013