No Time To Die non è un film impeccabile ma è bellissimo

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Con l’avventura numero 25 dell’agente segreto più famoso al mondo e la quinta da 007 si chiude l’era Craig.

Bond non è più al Servizio Segreto di Sua Maestà e finalmente può godersi l’amore della sua Madeleine in quel di Matera. Vuole chiudere col suo passato, tutto il film è una meravigliosa chiusura di parentesi, fa visita alla tomba di Vesper. Un’improvvisa esplosione attenta alla sua vita. Riemergono prepotenti i dubbi e le paure soprattutto quella di potersi fidare, anche della sua Madeleine. Le loro strade adesso si dividono.

Cinque anni dopo l’agente Leiter, l’amico di sempre, raggiunge Bond nel suo esilio giamaicano per chiedergli supporto. Una nuova nuova minaccia, un nuovo nemico incombono. Lo chiamano Progetto Heracles un’arma biologica contenente dei nanobot che si diffondono con la stessa logica dei virus ma al tatto.

I primi trenta minuti di No Time To Die che corrispondono approssimativamente al soggiorno italiano di Bond e di Madeleine sono un’esperienza visiva e sensoriale quasi senza precedenti. C’è spazio per l’amore. Il protagonista depone le armi è un consapevole stanco combattente che vuole vivere normalmente e prendersi il suo tempo.  

“Non c’è bisogno di andare più veloce. Abbiamo tutto il tempo del mondo”

NO TIME TO DIE | Final US Trailer

La gentilezza e l’attenzione per la sua compagnia ci parlano di un eroe solo a tratti imperturbabile. C’è molto cuore,  c’è sempre stato molto cuore in questo Bond.

Lo stesso cuore e umanità con i quali il nostro 007 si reca al cimitero dalla sua Vesper per salutarla.

Secondo una tradizione locale si scrive su un biglietto  qualcosa di vecchio o doloroso e poi lo si brucia. Il senso è più o meno chiudere un capitolo e accogliere nuove cose che arrivano.  Lo fa Madeleine, la seduttiva e inquieta Lèa Seydoux, scrivendo un elemento fondamentale nella sua vita e nella narrazione del film e ci prova anche Bond a suo modo, salutando Vesper.

Contestualmente ai sentimenti, in questi primi minuti c’è largo spazio all’azione. L’esplosione al cimitero riporta 007 alla realtà che purtroppo ha ancora l’ombra della Spectre.

Per come è strutturata tutta la prima parte, No Time To Die riporta prepotentemente lo spettatore ai fasti di Casino Royale, film nel quale ogni componente concorreva ad una risultante perfetta.

Anche qui il ritmo è serratissimo e assolutamente piacevole e continua per interi minuti senza perdere intelligenza e potenza descrittiva. Dalla deflagrazione alla tomba di Vesper con una cura dell’audio assolutamente magistrale fino alla sequenza sul ponte e ai vari stunt in moto, praticamente non ci sono difetti. Torna il Bond iper freddo e sfacciato. Capacità di improvvisare di uno 007 navigato, le scene di lotta sempre esteticamente perfette ma anche  produttive e funzionali.  Durante la visione ammirando tutta la messa in scena viene naturale pensare al Cary Fukunaga capace di creare il capolavoro di piano sequenza di True Detective, si proprio quello della prima stagione, la migliore con McConaughey superbo.

Durante la fuga in auto la cui resa è impeccabile, si alternano i dubbi e  le sensazioni di risentimento del protagonista  verso Madeleine che crede in qualche modo legata all’attentato. Verso quest’ultima i bondiani fantasmi di grandi amori ma di grandi difficoltà nel potersi concedere totalmente. 

Il momento più alto e intenso di questa mescolanza di azione e risentimento avviene quando 007 arresta l’iconica DB5 al centro di una piazza. Dopo pochi istanti la coppia viene circondata e l’auto raggiunta dalle centiaia di proiettili della squadra nemica.

Bond si guarda attorno, l’auto continua ad essere crivellata, Madeleine si dispera. Si avvicina “Primo” il capo del commando, un mercenario ,con un occhio bionico, che inizia a sparare avvicinandosi gradualmente alla DB5.

Gli anni passano caro Bond e tu eri cosi vicino a quella serenità tanto cercata e desiderata che quasi non ti sembrava vero. Una donna perfetta e tutto il tempo del mondo. Invece no, queste sono le favole che ti racconti. Ora sei accanto a una donna che forse non conosci come credevi, nuovamente in trincea. Devi metterti nuovamente in gioco anche se è doloroso e serve quell’eroe imperturbabile che al telefono con M liquida Vesper tuonando: “Il lavoro è finito, la puttana è morta“.

Forse già qui c’è tutto No Time To Die, il primo grande snodo, un gigantesco carosello emozionale nel quale la malinconia abbraccia una scrittura ineccepibile, il passato è potente e vivido e convive magnificamente con le grandi scene d’azione.

Due cannoni a rotaia escono dai rispettivi fari della DB5 che sparando inizia un testacoda. Questa è la risposta di Craig, la risposta di Bond, pura azione.

I suoni, i rumori ambientali, il sentimento, la colonna sonora che segue ogni istante diretta da tale Hans Zimmer, ci suggeriscono che questa è una direzione magistrale. 

La trama si sviluppa con la stessa intensità e cura nei dettagli per quasi tutta la durata del film.

Perché il quasi? Perché probabilmente la Splendida Paloma, una bravissima Ana De Armas nel passaggio cubano avrebbe meritato più spazio anche se la sua presenza risulta comunque di grande impatto. E adesso entriamo un po’ nelle cose che ci hanno convinto meno. Lyutsifer Safin è un antagonista la cui presenza si delinea come pallida invece che impattante e questo nonostante Rami Malek faccia il suo dovere in maniera egregia. La descrizione del suo personaggio inizia in modo esaustivo emozionante e quasi horror, insomma bellissimo ma anche qui nella sezione iniziale. Nelle battute conclusive nonostante  sia uno dei personaggi cardine esce di scena quasi impercettibilmente.  Sempre nella seconda parte proprio i conflitti a fuoco diventano meno incisivi seppur sempre dal gran ritmo. Ma vi sono delle scene nelle quali oggettivamente sono troppi i soldati e troppi sono gli angoli dai quali escono per poter essere neutralizzati da una sola persona anche se è il nostro amatissimo Bond. Palesi sono le sparatorie nella base missilistica.  Inoltre vi è un nuovo agente doppio 0, chiamato da M a sostituire Bond. L’agente in questione è Nomi una donna ed è nera. L’attrice è Lashana Lynch e oltre ad essere bravissima nel suo personaggio è assolutamente calzante e credibile. Inizialmente severa con Bond nel corso dello svolgersi della trama aumenta in empatia col protagonista smettendo di punzecchiarlo chiamandolo “comandante Bond” e anzi lasciandogli effettivamente la gestione della missione chiave, chiedendo proprio a M di metterlo a capo della squadra. Il punto non è questo, bensì la scelta che appare una forzatura, in nome del politicamente corretto, sostituendo l’uomo bianco eliminandone la “ mascolinità tossica “.  

La questione quindi non è chiaramente relativa al sesso o al colore della pelle bensì forse ad una ruffiana tendenza da parte delle produzioni  e più in generale del pensiero comune ad allinearsi alle correnti.

Potremmo affrontare il macro blocco conclusivo cosi come l’analisi critica di tutto il film.  Tra emozione e analisi oggettiva.

La chiusura del quinto capitolo del Bond di Daniel Craig poteva essere più grande più complessa e più approfondita. Del minutaggio della pellicola, la più lunga con Craig, molto di più poteva essere dedicato al finale. Malek come già anticipato esce di scena con troppa fretta.

Lo stesso epilogo avviene con tempi probabilmente non troppo in linea con la portata del personaggio e l’importanza che ha dato Craig a questo Bond.

Ma tutto questo probabilmente ha un’importanza relativa se paragonato al risultato, soprattutto emozionale. La classe e l’intelligenza con la quale Fukunaga dirige No Time To Die risolve tutto.  In una scena a Londra Bond parla con M, li raggiunge Tanner. L’intera sequenza è permeata dal tema principale di un classico bondiano; 007 – Al servizio segreto di sua Maestà. Non è una scelta entrante e  il risultato è enorme.  Ricorre inoltre in due momenti molto importanti un altro tema cardine;  “We have all the time in the World“ di Louis Armstrong sempre dal Bond dell’era Lazenby.

Dall’inizio del film e per tutta la durata è percepibile un aura di malinconia intorno a questa storia. Le espressioni di Bond raccontano di un eroe coriaceo ma stanco che vuole guardare ad un presente fatto di normalità e di azioni comuni. Il colore dei tramonti è magnifico, la V8 Vantage Volante di Daltoniana memoria è magnifica. La sensazione continua di essere ad un epilogo chiudendo sotto il profilo narrativo molte parentesi alcune anche dolorose è a sua volta un risultato e una sensazione straordinari.

Dall’adrenalinica missione al Casino Royale di Montenegro con combattimenti da manuale avvelenamenti e tradimenti alla migliore apertura dell’era Bond in Quantum of Solace con una carrellata avanti a pelo d’acqua e un incredibile inseguimento. Dalla riscoperta delle proprie radici nel forse più completo tra tutti Skyfall fino a Spectre dove aleggia una cupa e grande minaccia che fa da prologo per No Time To Die.

Il film che chiude l’era Craig è un contenitore di emozioni seppur con alcuni limiti. Divide come ha sempre diviso lo stesso Craig ma forse tutto si può dire ma non che non sia epocale,  raffinato e dunque bellissimo.