Come Cristiano Godano ci ha fatto ritrovare il cuore

Ci sono i rockers con i pantaloni attillati ed il giubbino di pelle estate e inverno, quelli caotici, che vivono a mille e sono sempre agitati e veloci. E poi c’è Cristiano Godano, sempre elegantissimo nei suoi completi, con la sua precisione quasi ossessiva, la sua scelta accuratissima delle parole, la sua serafica lentezza, quella di chi sa che il tempo della riflessione non è meno importante di quello del fare.

Ci sono i machi, i vincenti, quelli che non devono chiedere mai. E poi c’è Cristiano Godano, che non ha paura di mostrarsi in tutta la sua fragilità; l’ha anzi decantata, ci ha fatto un disco intero.

Ci sono gli istintivi, che agiscono d’impulso, spinti dallo slancio del momento. E poi c’è Cristiano Godano, riflessivo a tal punto da aver candidamente ammesso di essersi quasi perso il cuore a tutto vantaggio dell’intelletto.  Ma facciamo un passo indietro: era più o meno questo periodo, un anno fa, sul finire giugno, mentre tutti eravamo ancora incerti tra la fine del lockdown e il rintronamento psico-emotivo di una ripresa poco definitiva, Godano, solo soletto, se n’è uscito con Mi ero perso il cuore, suo primo album solista.

Cristiano Godano - Ti voglio dire

Intorno esplodeva l’estate, tutti pubblicavano potenziali hit, tutti erano retorici e rassicuranti, perché di quello credevano avessero bisogno le persone, di sentirsi ricordare ancora, per l’ennesima insopportabile volta, che sarebbe andato tutto bene, ma per fortuna, c’è Cristiano Godano che si è accollato il gravoso onere di guardarsi dentro e raccontare quello che c’è in fondo, sotto la patina. Lui no, non ha mai nascosto la sua paura, non ha mai celato la sua vulnerabilità, quella di tutti, perché basta un virus, un minuscolo virus e la vita ed il mondo che conosciamo perdono ogni punto fermo e non sanno in che direzione andare. Questo ci avevano mostrato i mesi chiusi in casa e chiunque dotato di buon senso si sentiva turbato. Godano, forse inconsapevolmente, ha saputo interpretare lo stato d’animo di quel momento e fuori da ogni logica commerciale, è uscito con questo disco che racconta di inquietudini, sgomenti e ferite e li trasforma in condivisione empatica. La sua peculiare anima intimista è nuda, senza graffi in un disco in cui la chitarra acustica fa da padrona, un disco evocativo e démodé, dove chiaramente essere fuori moda è la miglior cosa che ci si possa aspettare da un artista al giorno d’oggi.

Lontano dai suoi sodali Godano si rivela un songwriter diverso, ma nemmeno troppo, dal frontman veemente che conosciamo. La ricerca linguistica è la medesima cui Godano ci ha abituati negli ultimi 30 anni (personalmente in età preadolescente credo di aver imparato più di un paio di parole “difficili” dai testi di Godano), la qualità alta come sempre, quello che cambia forse è l’approccio, l’intenzione, credo voluta, di concedere molto più spazio alla sua anima poetica. I Marlene Kuntz, sono i Marlene Kuntz, una band che più di qualsiasi altra in Italia incarna il rock noise, alternative, post-grunge o come cavolo vi pare, ebbene appare chiaro che un disco del genere con i Marlene, Godano non avrebbe potuto farlo senza snaturali, ma è vero anche che in mezzo a tutto questo rumore, c’è sempre stata una forte vena cantautorale che era abbastanza chiaro sarebbe venuto il momento di liberare del tutto. E così, uno dei padri dell’underground anni ’90 ha lasciato libera la sua anima cantautorale, di un cantautorato però lontano anni luce da quello italiano tradizionale, qualcosa dalle parti di Cohen o giù di lì.

Il risultato è Mi ero perso il cuore, un disco dannatamente intenso, di una delicatezza rara, spudoratamente intimo senza paura di esserlo, dolente e sensuale, come il cantato di Godano, che sì, è un ottimo cantante; un disco da ascoltare di notte, con gli auricolari, perché è di un’intensità tale che sembra che Godano sia lì, a suonare nell’intimità serale di casa vostra. E’ un disco che sa commuovere, che racconta di vulnerabilità che non vanno nascoste, ma accolte, coccolate, tenute vive, un disco che a dispetto del titolo, il cuore ce lo fa ritrovare tutto ed anche sonoramente pulsante.

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