Giovanna d’Arco: la storia, la leggenda e i simbolismi

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Cercare di delineare la figura di Giovanna D’Arco, è un compito abbastanza complesso ed irto di difficoltà, che ci porta a dover ripercorrere alcune vicende storiche della Francia e dell’intera Europa nell’ultimo scorcio dell’età medioevale, durante il sanguinoso conflitto conosciutto come “guerra dei Cent’anni”.

La storia

Jeanne d’Arc è una delle più importanti eroine francesi, conosciuta anche come la pulzella d’Orleans e attualmente venerata come santa dalla Chiesa Cattolica.

L’infanzia e la giovinezza di Giovanna sono avvolte dalla leggenda, come spesso accade per le figure dei santi, ai quali si tende ad attribuire caratteristiche mistiche quasi in maniera retroattiva, al fine di legittimare le gesta che dovranno compiere nell’età adulta. Nata in una famiglia di modesti contadini della Lorena nel 1412, si racconta che Giovanna fosse già molto devota fin da bambina, nonché molto caritatevole verso i poveri ed i viandanti che non avevano un posto dove dormire, ai quali cedeva volentieri il proprio giaciglio. Nell’agiografia di Giovanna d’Arco non potevano mancare presunte apparizioni celesti. Si narra, infatti, che all’età di tredici anni, durante lo sviluppo adolescenziale, la ragazza udisse voci ed avesse visioni di esseri soprannaturali, come l’arcangelo Michele, o di sante che l’avevano preceduta, come Caterina e Margherita. Sarà la stessa Giovanna che racconterà queste esperienze mistiche, anche in momenti cruciali come il processo di eresia che subì a Rouen nel 1431, spiegando come il timore e lo stupore per le “voci” udite non la avessero allontanata da Dio ma che, invece, avessero rafforzato il proposito di consacrarsi totalmente a Lui, con il voto di castità.

I genitori cercarono, comunque, di prometterla in sposa ad un giovane della città di Toul, ma Giovanna rifiutò la promessa di matrimonio, scatenando l’ira del pretendente che la citò in giudizio. Il tribunale episcopale, tuttavia, in tale circostanza, si dimostrò equo e ragionevole, dando ragione a Giovanna, in quanto il fidanzamento era stato stipulato senza il suo assenso.

La particolarità di Giovanna d’Arco consistette soprattutto nella natura della sua missione “guerriera” che la porterà a capo dell’esercito francese. La ragazza attribuì questa sua particolare vocazione alle già citate esperienze mistiche che erano apparse nella sua vita fin dalla fanciullezza. Non fu facile convincere i genitori che i suoi propositi fossero ispirati da Dio e che non soffrisse, invece, di qualche forma di turba psichica, ma alla fine riuscì a superare le loro resistenze e ad unirsi ai militari francesi. Nella prima tappa del suo viaggio raggiunse la località di Vaucouleurs, dove si incontrò con il capitano della piazzaforte, grazie anche all’intelligente intermediazione di un parente. Il capitano rimase sbalordito dall’ardire di quella giovinetta e, considerandola completamente pazza, la insultò e la rimandò da dove era venuta. Ma Giovanna non si perse d’animo e ritornò altre due volte dall’irascibile capitano. Questi, influenzato dal consenso che in maniera carismatica la ragazza riusciva a raccogliere fra il popolo e, dopo averla sottoposta ad una specie di “esorcismo”, allo scopo di allontanare da lei eventuali “spiriti maligni”, iniziò gradualmente a cambiare opinione sul suo conto. La sua fama divenne così rinomata che il capitano addirittura le concesse una scorta per accompagnarla al cospetto del delfino di Francia, come lei stessa implorava da tempo.

L’incontro con il “nobilissimo signor Delfino”, per usare le stesse parole pronunciate da Giovanna, avvenne dopo ben due giorni di attesa nella immensa sala del castello, nel corso di un’assemblea composta da numerosi dignitari e da ben trecento nobili.

Il Delfino di Francia, per saggiare le capacità soprannaturali di Giovanna, le presentò il conte di Clermont a cui erano stati dati abiti regali, proprio per confondere la povera contadina. Ma questa, per nulla intimidita, continuò a rivolgersi a Carlo, rivolgendogli le famose parole: il re di Francia è il re dei Cieli. Ancora non convinto del tutto delle straordinarie doti della ragazza, il Delfino l’affidò al proprio confessore, il vescovo di Castres, perchè ne potesse esaminare la fede.

Superato il primo vaglio, l’indomita Giovanna fu inviata a Poitiers, dove dovette sostenere controlli molto più approfonditi da parte di un gruppo di teologi.

Soltanto dopo questa prova, Carlo si decise ad affidarle un vero e proprio “intendente”, Jean d’Aulon, che avrebbe dovuto accompagnare Giovanna nell’impresa di riscattare la gloriosa città di Orleans assediata dagli Inglesi. A questo punto la ragazza diventò il vero e proprio condottiero della spedizione militare, un evento molto raro tra i casi accertati dalla storia. Giovanna, in più, non si limitò a fungere da intermediaria tra le forze soprannaturali ed i soldati impegnati nella battaglia, ma impresse il proprio segno indelebile sulle abitudini di vita della truppa. I soldati, infatti, non potevano bestemmiare, frequentare prostitute o abbandonarsi a violenze e saccheggi che non fossero strettamente necessari ai risultati bellici da ottenere.

Inoltre dovevano confessarsi e riunirsi in preghiera intorno al loro stendardo almeno due volte al giorno.

Era curioso vedere questa giovane, alla quale non era stato dato ufficialmente alcun incarico militare, alla testa dello schieramento, abbigliata come un soldato, con la spada in pugno ed un bianco vessillo, sul quale era disegnato Dio che benediceva il fiordaliso francese, con ai lati gli arcangeli Michele e Gabriele.

Se Orleans fosse caduta in mano agli Inglesi, questi avrebbero avuto accesso all’intero territorio meridionale della Loira, potendo minacciare finanche la città di Chinon, dove risiedeva la corte del re Carlo. I guerrieri di Oltremanica avevano completamente accerchiato la città con le loro guarnigioni, bloccando ogni comunicazione fluviale con l’esterno. La città era stremata e si valutò un’intermediazione di Filippo il buono, Duca di Borgogna, alleato degli Inglesi, affinchè li convincesse a terminare l’assedio. Ciò avrebbe significato che Orleans sarebbe passata sotto il controllo dei Borgognoni, ma gli Inglesi rifiutarono l’offerta, considerando Orleans un punto troppo strategico nelle loro ambizioni di conquista.

L’unica porta lasciata aperta della città era proprio la “porta di Borgogna”, dove Giovanna entrò in sella ad un destriero, cantando il Veni creator, su invito dello stesso disperato Jean d’Orleans. L’incontro fra i due non fu idilliaco, perchè più volte Giovanna rimproverò al signore della città assediata alcune scelte infelici ed azzardate.

La giovane contadina, però, a dispetto di tutto e di tutti, seppe tenere il polso della situazione, forse spronata affettivamente anche dall’arrivo dei suoi due fratelli che si unirono ai soldati. Giovanna, per evitare un inutile spargimento di sangue, urlò agli Inglesi di rinunciare all’attacco, ma questi risposero con ingiurie ed oscenità, invitandola a ritornare a guardare le vacche e promettendole di bruciarla, se l’avessero presa prigioniera. Dopo fasi alterne nelle sorti della battaglia ed avendo riportato ferite la stessa Giovanna, gli Inglesi furono sconfitti e decisero di ritirarsi.

Giovanna obbligò i Francesi a non inseguirli ed organizzò, unitamente al popolo, una messa a cielo aperto, essendo quel giorno anche domenica.

La pulzella d’Orleans si distinse anche in successive gesta belliche, come nella cosiddetta “campagna della Loira”. In tale contesto i suggerimenti strategici di Giovanna furono risolutivi per dirimere i contrasti di opinioni tra i vari nobili che si contendevano prestigio e potere. Molto coraggiosa fu, poi, nella battaglia di Patay, dove mostrò compassione per i caduti di entrambe le parti (si racconta che abbracciò un soldato inglese morente, colpito a morte da uno dei suoi).

Giovanna dovette fare i conti con la tragica realtà della guerra, anche perchè i Francesi, galvanizzati dal vantaggio, si abbandonarono ad ogni tipo di brutalità, dimenticando i suoi ammonimenti.

Dopo ulteriori fasi alterne, grazie all’aiuto della giovane, il delfino di Francia fece il suo ingresso nella cattedrale di Reims e fu incoronato re con il nome di Carlo VII.

Quel momento rappresentò l’apice della missione di Giovanna che sosteneva di essere stata guidata da Dio, affinchè la Francia avesse un legittimo sovrano.

La sua sorte cambiò, quando alla fine di maggio del 1430, conducendo un’altra campagna militare contro gli anglo-borgognoni, Giovanna fu catturata ed inizialmente trattata come prigioniera d’alto rango, prima presso il castello di Beaulieu-les-Fontaines e dopo presso quello di Beaurevoir. La pulzella si fece benvolere dalle tre dame del castello che, per una strana coincidenza, portavano il suo stesso nome Jean. Si tramanda che lei stessa le avrebbe ricordate con affetto fino alla morte.

Secondo l’usanza del tempo, Giovanna avrebbe potuto sperare di essere riscattata con un’ingente somma di denaro che serviva a rimpinguare le casse dei Regni finanziariamente dissestati dalle guerre. E così parve succedere in un primo momento.  Tuttavia, il vescovo di Beauvais, nella cui diocesi era avvenuta la cattura, si presentò con la cifra richiesta, 10.000 lire tornesi (una cifra colossale per l’epoca), a Jean de Luxembourg, a nome del re d’Inghilterra e rivendicando il proprio diritto a giudicarla secondo il diritto ecclesiastico. In pratica Giovanna veniva venduta agli Inglesi. Sul comportamento del re Carlo VII, gli storici sono abbastanza divisi.

Per una parte di essi, il sovrano abbandonò Giovanna al proprio destino, non essendovi tracce di passi ufficiali o di trattative per ottenere la liberazione della giovane. Del resto la ragazza era diventata troppo popolare ed il suo personaggio alquanto scomodo. Per altri storici, invece, il re avrebbe cercato segretamente di salvarla tramite alcuni suoi emissari.

La povera Giovanna fu rinchiusa nel castello di Rouen e questa volta trattata come uno dei peggiori criminali, perchè accusata di eresia. Era sorvegliata a vista da almeno quattro soldati inglesi ed era saldamente legata con ceppi di ferro, cosicchè non potesse godere di alcuna libertà di movimento.

Anche in quei tempi esistevano le questioni burocratiche e tra rimbalzi giudiziari di competenze, per questioni militari, politiche ed ecclesistiche, facenti capo al Generale dell’Inquisizione di Francia, il processo a Giovanna cominciò il 3 gennaio 1431, con l’accusa, che in un primo momento era stata formulata per “stregoneria”, trasformata in maniera definitiva in “eresia”. L’incarico di “procuratore” fu affidato a Jean d’Estivet, uomo di fiducia del vescovo di Beauvais.

La prima udienza di questo storico e controverso processo si tenne il 21 febbraio 1431 nella cappella del castello di Rouen. Si potrebbe pensare che Giovanna fosse stata fiaccata ed indebolita dai mesi di dura prigionia ed invece la pulzella conservò la sua indole indomita, tenendo testa agli accusatori anche nel campo della fede.

Sul tema del processo a Giovanna d’Arco, consiglio il testo di Teresa Cremisi, Il processo di condanna di Giovanna d’Arco, ediz. 2000.

Si narra che gli interrogatori a Giovanna si svolgessero in maniera disordinata, caotica e parziale, con i trascrittori inglesi che omettevano tutto ciò che potesse essere favorevole alla giovane, al punto  che il notaio incaricato di redigere il verbale minacciò di abbandonare la sala del tribunale. Nelle udienze successive Giovanna continuò ad essere presente a sé stessa, rivelando anche una certa vena umoristica, nonostante la gravità della sua situazione, mentre i giudici si accanivano nel richiederle il motivo per cui vestisse abiti maschili.

Se le domande sui suoi giochi da bambina non portarono a nessuna conclusione dal punto di vista processuale, lo stesso non si può dire quando Giovanna si dilungò a descrivere le apparizioni con gli arcangeli e con i santi, che fornirono materiale per poter consolidare l’accusa di eresia nei suoi confronti.

L’atto formale redatto dai giudici, poi, si può considerare un compendio di incompetenza giuridica e di falsità etica. Infatti, i settanta articoli che componevano l’atto di accusa, così come formulato da Jean d’Estivet, non solo trascuravano ogni risposta fornita dall’imputata, ma non erano suffragati da alcuna testimonianza diretta, se non da voci e da supposizioni prive di riscontri fattuali. Tra le accuse rivolte alla pulzella d’Orleans ve ne erano alcune false in maniera assolutamente palese, come la bestemmia, l’utilizzo di oggetti magici o l’aver venerato spiriti maligni.

L’articolo numero 62 accusava addirittura Giovanna di voler entrare in contatto con il “divino” senza la mediazione della Chiesa, un’aspirazione che a quel tempo era considerata eretica e sacrilega.

In tale contesto fa quasi sorridere il fatto che la violazione ritenuta più grave dai giudici fosse quella che Giovanna indossasse abiti maschili.

Il 24 maggio 1431 sembrava che il destino della ragazza fosse ormai segnato, quando fu condotta nel cimitero della chiesa di Saint-Ouen dove era stata già allestita una piattaforma per l’esecuzione, in modo che il popolo potesse assistervi e trarne insegnamento, unitamente ai giudici, agli assessori ed al carnefice che l’attendeva in basso. Giovanna, invitata ad abiurare dal teologo Guillame Erard, rispose che si sarebbe affidata a Dio e al papa, lasciando intendere di proporre appello verso quest’ultimo, così come prevedevano le procedure inquisitoriali. Gli storici ritengono che tale risposta le fu suggerita dall’assessore Jean de La Fontaine che stava cercando un modo di prendere tempo e di salvarla. Erard, tuttavia, liquidò la richiesta affermando che il papa fosse troppo impegnato e lontano per poter intervenire nella questione, lasciando comprendere come la vicenda avesse una valenza soprattutto “politica” mascherata da motivazioni religiose.

La fase successiva del processo fu ancora più confusa e sfavorevole all’eroina francese. Giovanna accettò di firmare l’abiura nella quale, fra le varie promesse, si impegnava a non indossare più abiti maschili e a non portare capelli corti.

La contropartita prevista era, però, estremamente dura, in quanto si prevedeva una carcerazione a vita nelle prigioni ecclesistiche, accompagnata da una vita di stenti con  il pane di dolore e l’acqua di tristezza (per usare le stesse parole inserite dai giudici), ma con il conforto di essere assistita da altre donne e di non dover più subìre i tormenti degli interrogatori. Il vescovo Cauchon, invece, violò i patti facendola rinchiudere di nuovo nel carcere civile, forse per gettare la giovane nello sconforto.

E così avvenne: qualche detenuto tentò di violentare Giovanna e lei, per proteggersi, fu costretta ad indossare ancora una volta abiti maschili. Secondo alcune testimonianze, invece, i vestiti maschili furono gettati nella sua cella dagli Inglesi per poterla accusare nuovamente.

La pulzella, allora, per l’ennesima volta interrogata ritrattò l’abiura, di cui ammise di non aver capito alcunchè e, richiamando le visioni di Santa Caterina e di Santa Margherita, affermò di preferire il rogo a quella vita d’inferno in una prigione in mezzo agli uomini e non in un comprensorio ecclesiastico, accudita da donne, come prevedevano le norme inquisitoriali. Per la decisione finale, il tribunale si riunì di nuovo: 39 assessori su 42 votarono per comunicare a Giovanna ancora una volta l’abiura formale e la parola di Dio. Pietro Cauchon si oppose alla loro proposta che era solo consultiva e condannò la ragazza al rogo.

L’esecuzione

L’esecuzione della condanna fu drammatica e ricca di particolari sorprendenti, se rapportata ad altri simili eventi voluti e decretati dall’Inquisizione.

Era la mattina del 30 maggio 1431, quando due frati domenicani entrarono nella cella di Giovanna per comunicarle il terribile verdetto che l’attendeva. Uno dei due frati ascoltò la sua ultima confessione. Il vescovo Cauchon non rinunciò ad un’estrema visita alla sfortunata che inveì contro di lui, in una della sue ultime lamentazioni:

“Vescovo, muoio per causa vostra”.  Di seguito avvenne un fatto davvero insolito.

Giovanna chiese ai frati domenicani di poter ricevere l’ultima volta il sacramento dell’eucaristia, pratica che era vietata ai condannati per eresia. I frati si consultarono con il vescovo Cauchon che, violando ancora una volta le norme ecclesiastiche, concesse ai sacerdoti di comunicarla.

Giovanna fu condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen, dove fu data lettura dell’atroce sentenza. Poi, vestita di un lungo abito bianco e controllata da una guarnigione di circa duecento soldati, la pulzella fu lasciata nella mani del boia, al cospetto di una folla numerosissima ansiosa di assistere a quell’insano spettacolo, per salire al palo dove sarebbe stata incatenata sopra un’ingente quantità di legna.

A causa di tutti questi accorgimenti, voluti dal crudele vescovo Cauchon, al boia non fu neanche concesso di soffocare la condannata, come ultimo gesto di pietà, in modo che il corpo bruciasse quando era già morta.

Giovanna, invece, caduta in ginocchio ed invocando i santi e gli arcangeli, arse viva, forse con l’ultimo conforto di un soldato inglese impietosito che, secondo alcuni racconti, le avrebbe offerto due piccoli rametti che la ragazza avrebbe intrecciato e stretto al petto formando una croce.

L’ultima parola che Giovanna avrebbe pronunciato fra le fiamme, secondo qualche narrazione, fu: “Gesù”.

Diciotto anni dopo, quando Carlo VII entrò trionfante nella città di Rouen, dopo la sconfitta degli Inglesi, ordinò che fosse condotta un’accurata inchiesta sul processo subìto da Giovanna. Anche l’inquisitore di Francia, Guillame d’Estouteville, aprì un’indagine ecclesiastica che portò ad un rescritto del pontefice Callisto III che ordinò la revisione del processo a carico di Giovanna. Tale procedimento di revisione durò dal 7 novembre 1455 al 7 luglio 1456, con l’audizione di ben 115 testimoni.

Alla fine il processo fu dichiarato nullo e la pulzella fu dichiarata innocente e riabilitata. Quasi commovente fu il gesto del suo vecchio commilitone, Jean d’Orleans, nel frattempo divenuto conte di Dunois, il quale fece innalzare nel bosco di Saint-German la Croix-Pulcelle (Croce Pulcella), attualmente meta turistica.

Quasi 400 anni dopo, il vescovo d’Orleans si fece promotore di una petizione per la canonizzazione di Giovanna e nel 1894 papa Leone XIII la proclamò venerabile, dando l’avvio al suo processo di beatificazione che si concluse nel 1909 con Pio X e culminò nel 1920 con Benedetto XV, quando la giovane fu proclamata santa.

Giovanna fu dichiarata patrona della nazione francese e la sua festa, nella liturgia cristiana, è ricordata il 30 maggio. Una particolare devozione le è rivolta dagli appartenenti alle forze armate ed alle forze di polizia, in ricordo ovviamente delle sue eroiche gesta militari.

Le leggende

Sulla figura di Giovanna d’Arco sono fiorite molteplici leggende, originate dalla singolarità del suo personaggio e dall’evidente simbolismo esoterico che ha accompagnato la sua esistenza. Un filone, in particolare, ha legato le sorti della pulzella d’Orleans ai Templari e soprattutto ad uno dei presunti Gran Maestri dell’ordine, Renato d’Angiò, conosciuto come Renè, attratto dall’antico mito dell’Arcadia. Lo stesso appellativo con cui veniva chiamata Giovanna, d’arc, richiamerebbe l’Arcadia, il mitico paesaggio dell’Ade, nonché l’arca dell’alleanza ebraica e l’arca del diluvio universale che protesse Noè, i suoi familiari e le specie animali dall’ira di Dio.

Uno dei grandi misteri relativi a Giovanna d’Arco riguarda la veridicità delle sue presunte reliquie. Nei quartieri reali del castello di Chinon, chiuse in un piccolo vasetto di vetro, è possibile osservare quelli che si ritenevano i resti mortali dell’eroina di Francia. L’arcivescovo di Tours, a cui appartenevano, regalò le reliquie alla collezione privata della fortezza, aprendo la strada ai successivi studi per stabilirne l’autenticità. Dopo una prima perizia condotta nel 1979 senza che emergessero esiti risolutivi, nel 2007, con mezzi più sofisticati e, attraverso l’efficace esame al carbonio, una equipe di studiosi stabilì che si trattava dei resti di una mummia risalente ad un periodo compreso tra il VI secolo ed il III secolo a.C..

L’analisi dei pollini dimostrò che questi non esistevano in quel tempo in Normandia, ma si trovavano nel vasetto, perchè utilizzati per l’imbalsamazione della mummia.

La problematica dell’autenticità delle reliquie di Giovanna d’Arco si intreccia con altri misteri che riguarderebbero la sua effettiva identità ed il suo destino.

Alcuni studiosi ritengono che Giovanna non sia mai stata arsa sul rogo a Rouen e che, al suo posto, con il capo coperto, fu bruciata un’altra giovinetta. La pulzella d’Orleans sarebbe, pertanto, sopravvissuta ed avrebbe sposato il nobile cavaliere Robert des Armoises. Questa tesi si baserebbe su un documento, poi andato perduto.

Secondo i fautori di questa ipotesi, lo scambio di persone sarebbe avvenuto con l’aiuto di Carlo VII e questo spiegherebbe i motivi per cui il sovrano non avrebbe ufficialmente aiutato la sua più grande benefattrice, nonché sostenitrice della sua incoronazione sul trono di Francia. Ma alcuni interpreti si spingono oltre, sostenendo che le stesse origini della pulzella sarebbero nobili e non contadine, come creduto comunemente. Giovanna sarebbe stata la figlia illegittima di Louis d’Orleans e di Isabeau di Baviere, madre dello stesso Carlo VII. il futuro re di Francia.

La bimba sarebbe stata affidata ai contadini di Domremy, per evitare uno scandalo di altissimo lignaggio. Seguendo questo filone interpretativo, per il quale, tuttavia, non sussistono prove incontrovertibili, Giovanna avrebbe aiutato il suo fratellastro a diventare re.

Giovanna d’Arco nella produzione artistica

La figura di Giovanna d’Arco ha ispirato numerose opere letterarie, teatrali e cinematografiche, fin dall’epoca immediatamente successiva alla sua tragica esecuzione. Già con Giovanna vivente, Christine de Pizan compose il poema “Giovanna d’Arco”, lodandone le gesta considerate come avvolte in un’aura mistica e soprannaturale. Appena dopo la sua morte, Francois Villon la cantò nella Ballata delle dame del tempo andato, accostando il suo personaggio ad importanti donne della storia e della mitologia. Alla fine del sedicesimo secolo, nell’Enrico VI, William Shakespeare delinea Giovanna come una strega in contatto con i demoni, quasi legittimando la condanna da parte degli Inglesi e dei conniventi Borgognoni.

Ancora peggio fece il dissacratore Voltaire che, nell’opera La Pulcelle d’Orleans, composta nel 1730, descrisse la ragazza con parole burlesche, prendendosi gioco del suo presunto voto di castità ed attribuendole una relazione illecita con il Bastardo d’Orleans. Soltanto verso la metà del diciannovesimo secolo, grazie al lavoro di ricostruzione storica di Jules Quicherat che pubblicò Il processo di condanna e di riabilitazione di Giovanna d’Arco, la figura della giovane fu rivalutata ed apprezzata.

Di grande presa fu l’opera teatrale di Charles Peguy pubblicata nel 1910 con il titolo “Il mistero della carità di Giovanna d’Arco”, ancor oggi ampiamente rappresentata per il suo accento mistico. Alla fine del ventesimo secolo Mark Twain con uno  pseudonimo  pubblicò a puntate su Harper’s Magazine il romanzo storico Recollections of Joan d’Arc. In realtà l’autore si discostava molto dai fatti storici, per celebrare la purezza e l’altruismo di Giovanna, in contrapposizione al vescovo Cauchon che incarnava la parte più brutta e corrotta della Chiesa dell’epoca.

Tra i tanti autori contemporanei che si sono ispirati alla figura dell’eroina di Francia, ricordo Maria Luisa Spaziani che nel 1990 ha pubblicato il gradevole poemetto “Giovanna d’Arco. Romanzo popolare in sei canti in ottave e un epilogo.

Molti produttori cinematografici hanno coinvolto la mitica Giovanna nei loro progetti, a partire dal 1898 con l’Execution de Jeanne d’Arc, con la regia di George Hatot, per arrivare al cult, Joan d’Arc del 1948, diretto da Victor Fleming.

In Italia si cimentò sul tema anche il grande Roberto Rossellini con il film del 1954, Giovanna d’Arco al rogo. In epoca più recente di grande pregio è stata la pellicola “The messenger: The story of Joan d’Arc”, così come riadattata dal poliedrico Luc Besson.

Non vi è alcun dubbio che la figura di Giovanna d’Arco sia stata diversamente valutata a seconda del periodo storico e del contesto culturale di riferimento.

Da alcuni la pulzella è stata osannata come grande guerriera, al punto da diventare emblema dell’eroicità indipendentista francese; da altri indicata come simbolo di carità e di altruismo, fino ad essere canonizzata santa con tanto di pedigree in materia di miracoli; per altri ancora è stata il prototipo della donna all’avanguardia ed anticoformista, accusata di stregoneria, perchè capace di tenere testa alla società marcatamente patriarcale del tardo Medioevo; per alcuni, infine, Giovanna fu una psicotica visionaria, capace di affascinare le masse con la sua stravagante personalità.

Chi fu davvero Giovanna d’Arco? Forse non lo sapremo mai con certezza.

Resta il suo personaggio idealizzato, capace di superare le barriere del tempo e dello spazio, per entrare  a pieno merito nel novero dei grandi miti.

One comment

  1. This article is closer to the consensus among historians than most media articles; but it has a number of claims which have been refuted by historians.
    It claims Joan led the army while admitting she wasn’t given any official leadership.
    It gives a fairly balanced summary of the different opinions about Charles VII’s actions after Joan was captured, but should have mentioned that there were at least four military campaigns by Charles VII’s armies which attempted to rescue her.
    Direct contact with God was not considered heretical in that era since there were so many mystics who were accepted by the medieval Church and often consulted for advice by the upper clergy themselves – e.g. St. Catherine of Siena was consulted by Pope Urban VI.
    The article is correct in pointing out that Joan continued wearing soldier’s clothing (“men’s clothing”) in prison to deter rape, but the article should have pointed out the reason: i.e. this type of clothing had cords that were laced through eyelets in the tunic to tie the parts of the outfit together, which would make it difficult for a rapist to pull her clothing off.
    The article thankfully mentions the postwar appellate trial, but gets some details wrong (The inquisitor of France was Jehan Brehal, not Guillame d’Estouteville, who was a Cardinal).
    The bone fragments that were examined in 2007 belonged to a municipal museum, not the Archbishop of Tours; in fact both the Church and historians had refused to accept them from the beginning (only a previous panel of scientists in the early 20th century had previously concluded they might be authentic).
    The idea that Joan escaped execution and married Robert des Armoises has been thoroughly debunked by many historians as nonsense.
    Luc Besson’s “The Messenger” has been condemned by historians for distorting history almost beyond recognition.
    The idea that Joan opposed the patriarchy is ironic given that her stated mission was to place her king on his throne, and she also told one of the soldiers (Jehan de Metz) that she would have preferred to stay home with her mother and spin wool.

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