La drammaturgia del corpo: come la danza è cambiata nel Novecento

Il Novecento è stato definito “il secolo della danza” a causa della rottura, avvenuta tra l’America e l’Europa, con la tradizione precedente ed il proliferare di ricerche, metodi ed estetiche del tutto nuovi. Quello che si è posto al centro è stato il corpo, assieme soggetto ed oggetto della danza stessa.

Un corpo, quello della danza, che fino ad allora era sempre stato legato a canoni estetici predefiniti, ma che dal Novecento in poi inizia a cercare una bellezza altra, non più rispondente ad un’armonia di forme e proporzioni, un corpo capace di farsi metacorpo e dire di se stesso e dell’uomo.

Il Novecento è stato anche il secolo della precarietà esistenziale e ciò che prima di tutto è precario e destinato a perire è proprio il corpo, ed è per questo che esso è divenuto centrale in un secolo travagliato come quello passato. È un corpo pensante quello della danza del Novecento, un corpo che racconta dell’uomo, che interroga se stesso e si fa portatore delle problematiche della contemporaneità in un periodo storico in cui gli strumenti tradizionali sembravano non rispondere più alle esigenze della modernità. Nel raccontare il corpo con il corpo ad altri corpi, la danza del secolo scorso si emancipa evidentemente dal concetto tradizionale di drammaturgia legata all’idea di un supporto di tipo testuale, l’intento delle produzioni di danza già nei primi anni del secolo passato non è più narrativo, ma è nella seconda metà del Novecento che emerge con più precisione il concetto di drammaturgia legato alla danza, frutto di un più ampio processo, inscritto in una generale revisione dei generi teatrali e tendente sempre più alla contaminazione, nella generale tendenza a superare quella rigida distinzione tra corpo e parola che per secoli li aveva legati a forme artistiche differenti. E’ nell’ambito di questo ripensamento radicale che emerge un concetto di drammaturgia del tutto nuovo: il corpo ha una sua scrittura, dunque una sua peculiare capacità drammaturgica, il corpo racconta e non più supportato dalla parola, ma facendosi esso stesso racconto, in un processo in cui la drammaturgia e la coreografia finiscono con il coimplicarsi e spesso col sovrapporsi, la scrittura scenica e quella verbale arrivano a coincidere dando vita ad un concetto di drammaturgia estremamente fluido ed onnicomprensivo, del quale diventa arduo circoscrivere i confini. Drammaturgico è lo stesso corpo che danza, il modo in cui riempie e ridisegna lo spazio, l’azione con la quale ridefinisce il tempo, drammaturgico è lo stesso processo creativo del corpo, è tutto ciò che ha a che fare con la messa in scena, con il “modo” che ha il corpo di prestarsi all’azione scenica, ed è un “modo” che cambia da corpo a corpo perché ogni corpo è diverso e racconta di sé, ma è anche accomunato a tutti gli altri corpi dalle medesime strutture, pertanto genera un processo di corrispondenza tra particolare ed universale.

Forse l’innovazione più grande del secolo passato e l’eredità che ha lasciato alla danza di oggi è questa: la danza va letta perché dice quel che dice e lo fa da sola, mediante lo strumento corpo, senza medium testuale, perché essa stessa, mediante il corpo, scrive la propria drammaturgia, in una sorta di autopoiesi in cui la coreografia in senso stretto non esiste più, diviene quasi drammaturgia pura, si apre a spazi non teatrali, a corpi non performativi, porta in scena persone comuni, porta la “scena” fuori dalla scena, tra gli altri corpi in un processo collettivo e condiviso.

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