Così vicini, così lontani: Promises, l’album di Pharoah Sanders e Floating Points

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Pharoah Sanders e Floating Points provengono da mondi apparentemente lontanissimi, ma fortunatamente le loro anime si sono incontrate per dare vita a questo capolavoro da ascoltare e riascoltare.

Il primo ha 80 anni, è un sassofonista americano che non ha bisogno di presentazioni, per lui parlano il suo curriculum ed i suoi occhi pieni di vita ed entusiasmo. A fianco di Coltrane nel finale della sua carriera, dopo la sua morte, Pharoah Sanders ha continuato a portare avanti lo stile di John denominato “Sheets of Sound”. Cascate di note rapidissime dai registri alti a quelli bassi e viceversa, come la sua vita. Quando la sua strada incrociò quella di San Ra, Pharaoh era un giovane sassofonista squattrinato che non si faceva problemi a dormire al primo giaciglio metropolitano utile. Da lì, una carriera in ascesa, la collaborazione con John Coltrane e il consolidamento di un lungo percorso artistico. Non faceva un disco da molto tempo, sennonché, un giorno…

Sam Shepherd, invece è un producer inglese, un disc Jockey, la cui carriera è caratterizzata dalla continua ricerca, iniziata da ragazzo con lo studio del pianoforte alla Chetam’s School of Music. Il jazz, la classica, Stockhausen, e il digging più compulsivo e sfrenato nei negozi di dischi mancuniani, sono stati per lui le basi della sua formazione musicale.

Una sera, al Berghain, il locale di Sven, storico buttafuori pronto a rimbalzarti, Sam Shepherd mise un brano di Sanders dalla durata di oltre venti minuti. Lo fece per celebrare l’inclusività della musica, che non vieta nulla, neanche suonare una musica “diversa” da quella che abitualmente si sente nei club.
Era nel destino che i due si incontrassero, manifestato dalla volontà di Sanders di collaborare con quel giovane producer che lo aveva stregato.

Durante un viaggio in macchina il suo assistente gli fece ascoltare Elaenia di Floating Points e Sanders se ne innamorò all’istante. Pensava che da quell’unione di suoni partoriti dai circuiti stampati delle macchine, ed i suoni frutto del sudore della fronte di un jazzista che soffia finché ne ha, si potesse generare un album speciale. Non si sbagliava. Però mancava qualcosa, un terzo elemento che abbracciasse i due mondi sonori per amalgamarli alla perfezione: la London Session Orchestra, la “classica” ciliegina sulla torta.

Floating Points, Pharoah Sanders & The London Symphony Orchestra – Promises: Prologue

Promises è un album difficile da recensire, 46 minuti in cui non c’è spazio per le parole, ma solo per per l’espressione di Floating Points e Pharoah Sanders. Un unico brano diviso in nove movimenti, e quelle note iniziali che come un mantra ritornano in tutte le nove tracce del disco.

Più dei suoni, l’aspetto fondamentale del disco è il non detto, il silenzio, ed in questo senso Promises è ambient. L’ascoltatore ci si può specchiare e trovare davanti a sè, molti stati d’animo, soprattutto l’estasi di fronte a cotanta bellezza. I due musicisti si rincorrono, giocano tra di loro, senza mai prevaricarsi, si sentono liberi di presentare un’ampia palette di emozioni sonore.

C’è il gioco di un anziano sassofonista che nel quarto movimento si diverte ad improvvisare con lo scat, a suonare la sua voce, salendo e scendendo di registro. C’è l’atmosfera struggente del sesto movimento, con un climax raggiunto grazie agli archi che sembrano sfilacciarci il cuore.

C’è la bellezza dell’ottavo movimento, grazie ad un suono imperioso, ma anche placido che lentamente, fino all’ultimo sussulto vitale, ci porta fino al silenzio.

Nel primo movimento c’è la vita, con l’attacco di Sanders che ci lascia tramortiti, senza fiato. Con il suo strumento fraseggia, scherza, a volte sembra che ci fischi dentro. Nel mentre, con le sue macchine Floating Points disegna un universo sonoro assolutamente umano ed empatico, a dispetto dell’antico assioma che associa la musica elettronica alla freddezza.

Molto spesso si dice che un musicista sia l’estensione del proprio stumento, beh, Sam Shepherd è riuscito a mostrare la sua anima, nonostante i suoni provengano da circuiti stampati.

Lo stesso Pharoah, con il suo strumento caldo, vitale.

Ecco, la ragione per cui questo disco è imprescindibile per gli amanti della musica, è l’ascolto, totale, senza nessun pregiudizio di sorta. I due artisti sono riusciti ad esprimere un big bang primordiale di emozioni, facendo incontrare e scontrare i loro mondi, apparentemente così lontani, eppure così vicini.

Fatevi un regalo, ascoltatelo e vi assicuro che sarete grati ancora di più alla vita e alla musica, che poi, sono la stessa cosa.

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