Tripping with Nils Frahm: riflessioni e filosofia del compositore tedesco

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Ad oggi esistono musicisti compositori che hanno frequentato – chi più, chi meno, chi per niente ma ne ha respirato il lontano sentore – aule di conservatorio ma che, anagraficamente, hanno avuto non solo la possibilità ma proprio il volenteroso pregio di crescere a suon di sperimentazioni elettroniche figlie di un’epoca in cui, da Briano Eno a Thomas Köner, dai Radiohead agli Autechre, si è potuto apprendere la lezione classica per coniugarla con sincere iniezioni di modernismo compositivo (almeno per quanto concerne la disponibilità di strumentazioni utilizzabili in tal senso).

Max Richter, Ólafur Arnalds o Chris Zabriskie sono solo alcuni degli esponenti più noti o apprezzati su scala internazionale. Ma soprattutto il compositore tedesco Nils Frahm rientra tra questi o giunge quasi a capitanarli, dedito com’è a una ricerca compositiva che parte proprio dalle fondamenta classiche per sfociare in oceani di sedimentazioni elettroniche prevalentemente vintage in quanto, probabilmente, meglio aderenti a intenzioni performative molto ben legate a un concetto di corporalità dell’esecuzione. Una corporalità che, però, non tarda affatto a farsi elevazione animistica laddove l’approccio, spesso, tiene debitamente in disparte complessità architettoniche (tanto da far sembrare il proprio artefice, secondo alcuni, uno dei maggiori esempi viventi di semplicismo fatto arte) per puntare una buona fetta di capitale umano su un sottile orientamento verso una ricerca di sensazioni, prima ancora che di innovazioni stilistiche (che comunque non mancano e che, in diversi frangenti, consolidano proprio attorno alla figura di Nils Frahm una sorta di culto individuale).

La realtà (e la sostanza) dei fatti, per l’appunto, parla chiaro: almeno da Spaces (2013) a questa parte, passando per una sorta di raro gioiello come All melody (2018) e grazie al beneficio di una realtà editoriale (la splendida Erased Tapes) dettagliatamente orientata verso questa ben precisa percezione delle cose, il sentore compositivo di Frahm invoca quell’ormai imprescindibile umanesimo fatto di qui e ora ma anche di altrove e chissà quando, in risposta a una realtà complessiva il cui ordine precostituito non accetta più deviazioni dal materialismo di sorta.

Da diversi anni a questa parte, dunque, Frahm lavora sia di sottrazione che di moltiplicazioni utopistiche nei confronti di una musica che riesca a trascendere l’esserci odierno per un esistere in eterno divenire in quanto immateriale ma, al contempo, facilmente tangibile con il prezioso dono della predisposizione sensoriale, più che intellettuale. Una moltiplicazione psico-sonica che non fa segreto dell’utilizzo di strumentazioni spesso anche sontuose (a tratti aleggia, di qua e di là, lo spettro di un Jarre in Cina, ma forse è una divagazione) o comunque facenti parte di un corpus strumentistico che predilige la manipolazione al posto dell’acquisto di nuovi prototipi, ma che si orienta sempre e comunque verso la ricerca di un universo psicosomatico perfettamente raggiungibile, a patto di un consenziente e predisposto abbandono dei sensi.

Quella che si instaura col compositore tedesco nelle vesti di esecutore dal vivo, dunque, è una relazione di dare e avere reciproca tra performer e astanti, nella quale l’imprescindibile punto d’incontro tra le due entità sta proprio nell’accettare e farsi accettare da una realtà esistente (la location, il palco, gli strumenti, colui che li suona o li programma) ma, al contempo, sospesa, fluttuante in un limbo di paradossi interiori e sinestesie prescritte, certo, ma senza più padroni metrici né leggi che ne regolamentano l’accesso.

Nils Frahm - Fundamental Values (Live from Tripping with Nils Frahm)

Ben testimonia tutto questo, dunque, Tripping with Nils Frahm, selezione di registrazioni prelevate da quattro performance tenute (nel corso del tour mondiale di All melody, la cui produzione ha avuto luogo proprio nello studio di Frahm racchiuso tra quelle mura) presso la mitica Funkhaus di Berlino nel gennaio 2018 e trasformate anche in un film concerto ad opera del fido Benoît Toulemonde ma meglio assimilabili, forse, cuffie alle orecchie e buio circostante. Già, perché la riflessione (questa sconosciuta) può, anzi deve essere ancora, ora e per sempre, il fulcro di ogni azione presente e futura, pena la totale assenza di senno tanto nelle scelte più importanti quanto nelle più minimali predisposizioni al vivere sia individuale che collettivo.

Quello che scorre tra i solchi di Tripping with Nils Frahm, dunque, non è solo una selezione delle migliori esecuzioni che hanno ricoperto le scalette di quei quattro concerti berlinesi, ma è anche e soprattutto un resoconto di una filosofia produttiva saldamente legata ad un costrutto esistenziale in perenne ricerca di empatia sensoriale per tramite di una fisicità sonora che si fa trasposizione di senso altro.

Non potrebbero avere sede migliore, dunque, gli approfonditi silenzi che immettono sulla scia delle riflessioni di Enters, così come gemme di raro splendore quali Sunson e la stessa All melody, entrambe incentrate su una apparente reiterazione di strutture che vogliono essere invece incentivo alla trasmigrazione dell’anima dal corpo, alle quali si aggiungono deliziose perle elettroacustiche dai sentori pseudo-jazz come Fundamental values (qui in versione liberamente – e meravigliosamente – estesa rispetto all’originale in studio) e My friend the forest, mentre il compito di salvaguardare le impostazioni classiche pianistiche è riservato a The dane, dal momento che Ode – Our own roof svolge un ruolo prevalentemente drone ambient meditativo lasciando indossare a #2 i pur fondamentali costumi Jarre adeguatamente riadattati alle caratteristiche del nostro e alle sue personalissime intenzioni propositive.

Un po’ di rimorso, in verità, lo suscita l’assenza (almeno nella versione discografica) di Says, tra le migliori composizioni di Frahm in senso assoluto (figurante anche come piccola parte della colonna sonora del bellissimo Ad astra di James Gray; il resto del corpus sonoro, guarda un po’, è per la maggior parte di Max Richter), ma la caratura di un simile documento dal vivo basta e avanza a tracciare con forza una strada ben illuminata nell’odierna ricerca di un sé che si trasforma in “noi” sulle basi di un passato da rinnovare in un continuo e fruttuoso metabolismo concettuale.

Articolo pubblicato originariamente su Motel Wazoo e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione.

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