Hansel e Gretel: trama, significato e simbologia della fiaba dei fratelli Grimm

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La fiaba di Hansel e Gretel, come è noto, appartiene alla tradizione mitteleuropea di matrice tedesca ed attribuita all’estro dei fratelli  Grimm che l’avrebbero divulgata nel 1812.

Come accade in tutti i racconti fantastici, essa è intrisa di una ricca simbologia che risente fortemente del contesto culturale in cui è maturata.

La trama

La vicenda si svolge in una delle foreste della Germania nel XVII secolo, in un periodo di tremenda carestia, probabilmente legata al dilagare di un’epidemia di peste.

I nomi dei protagonisti sono diminutivi/vezzeggiativi: Hans è la forma abbreviata di Johannes, mentre Gretel starebbe per il più aulico Margarethe, rispettivamente legati dallo stretto grado di parentela di fratello maggiore e di sorella minore.

I due bambini sono i figli di un misero taglialegna, rimasto vedevo e poi risposatosi, la cui nuova moglie riesce a convincerlo a disfarsi della prole derivata dalla precedente unione, visto che non riescono più a sfamarli.

Il debole taglialegna, con la scusa di farsi aiutare nell’attività lavorativa giornaliera, li porta con sé nel bosco e li abbandona. I bambini, tuttavia, avendo origliato la turpe conversazione della coppia avvenuta la sera prima, in maniera intelligente escogitano lo stratagemma di tracciare il percorso con dei sassolini bianchi, riuscendo a trovare la via del ritorno verso casa. La matrigna non si arrende ed ordina allo stupido marito di riportare i due poveri bimbi in una zona del bosco ancora più profonda, in modo da rendere impossibile il loro rientro. Il taglialegna esegue la crudele disposizione, lasciando i due figli molto lontano da casa. Questa volta i bambini non riescono a riempirsi le tasche di sassi e devono ricorrere soltanto alle briciole di pane date loro dalla matrigna come pranzo, che però vengono mangiate dagli uccellini e si rivelano inutili per tracciare il percorso. I due fanciulli terrorizzati vagano nel bosco, senza una meta precisa, raggiungendo una radura dove scorgono una piccola casa che, in maniera sorprendente, risulta essere di marzapane, in pratica costruita interamente con leccornie. Spinti da una terribile fame, ne staccano due pezzi per sfamarsi, quando da una delle finestrelle fa capolino l’anziana proprietaria della casa che li invita gentilmente ad entrare. I due sventurati credono di aver trovato un sicuro riparo, perchè la signora si mostra cortese ed affabile, preparando loro una lauta cena e facendoli sistemare su due comodi letti per passare la notte.

Al risveglio, Hans e Gretel scoprono la vera natura della donna, cioè quella di terribile strega che sfrutta la casa di dolciumi per attirare i bambini, per poi catturarli e divorarli. La strega costringe Gretel a farle da serva, mentre rinchiude suo fratello in una gabbia, mettendolo all’ingrasso, prima di considerarlo pronto come pasto prelibato. La vecchia malvagia, tuttavia, ha gravi problemi di vista e non si accorge dell’inganno dell’astuto bambino che, giorno dopo giorno, al posto dell’indice, le porge un osso di pollo, in modo che la strega possa credere che sia ancora troppo magro e non abbastanza appetitoso. Gretel, intanto, oggetto dell’ira della strega, riesce a spingerla nel forno e a liberare il fratello, scoprendo anche una notevole quantità di oro accumulata dalla strega.

I due bimbi si mettono subito in marcia e con l’aiuto di un’anatra bianca attraversano un lago, ritrovando la strada verso casa.

Come nelle migliori tradizioni fiabesche, vi è un lieto fine: tornati nella loro dimora scoprono che la matrigna è morta e con i tesori della strega iniziano a condurre una vita agiata insieme all’imperdonabile padre, rimasto vedovo per la seconda volta.

L’origine della storia

A prescindere dagli interessanti spunti simbolici offerti dalla fiaba di Hans e Gretel, di cui parleremo in seguito, alle origini del racconto si attribuiscono diverse fonti storiche, nessuna delle quali per la verità può essere provata in maniera incontrovertibile. Probabilmente si tratta di una tipologia di racconto tramandato oralmente fin dall’epoca medioevale, quando la miseria dilagante tra la maggior parte della popolazione, costringeva le famiglie ad adottare scelte tragiche per la sopravvivenza. L’infanticidio era considerato quasi una pratica normale e giustificato dallo stato di necessità. Storie simili sono molto diffuse nell’intero territorio europeo: basti pensare alla ballata Babes in the wood, riguardante le roccambolesche peripezie di due bambini abbandonati dai genitori nella foresta.

L’intreccio della trama di Hans e Gretel presenta numerosi punti in comune con la fiaba Pollicino di Perrault. L’utilizzo dei sassolini e delle molliche di pane, ad esempio, ricorre in maniera sorprendentemente simile in enrambe le narrazioni.

Per quanto riguarda l’elemento della casa di marzapane, che incarna una materializzazione troppo sontuosa e, per questo, inaffidabile dei desideri dei fanciulli, si può notare un’evidente analogia con il paese dei balocchi, dove Collodi inserisce il burattino Pinocchio prima della purificazione finale.

Tra le ricostruzioni storiche attribuite alla celebre fiaba dei fratelli Grimm, una delle più suggestive è la spiegazione fantasiosa contenuta nel romanzo di Hans Traxler, dal titolo La strega ed il panpepato-La vera storia di Hensel e Gretel, pubblicato nel 1981 dalla Emme edizioni, che vede come punto di partenza una presunta ricerca curata dal professor George Ossegg, nato a Praga nel 1919. Il docente, già personalmente convinto che ogni fiaba contenesse un nucleo reale, nella narrazione dei due bambini abbandonati nel bosco avrebbe notato come le descrizioni dei fatti e dei luoghi fossero troppo accurate e ricche di particolari per non avere un legame con un avvenimento effettivamente accaduto.

Dopo aver suscitato interesse a proseguire nelle ricerche, nella foresta individuata come plausibile scenario della storia raccontata dai fratelli Grimm, sarebbero stati rinvenuti i resti di quattro grandi forni e lo scheletro carbonizzato di una donna.

Entusiasmato dai risultati della ricerca, il professor Ossegg avrebbe rintracciato successivamente la documentazione riferita ad un episodio di cronaca nera avvenuta in Germania nel diciassettesimo secolo, durante la sanguinosa guerra dei Trent’anni.

Sarebbe emersa come protagonista una donna, più o meno trentenne, chiamata Katharina Shraderin, particolarmente versata nelle arti pasticciere e capace perfino di inventare un nuovo tipo di panpepato che riscosse molto successo tra i clienti di tutta la regione.

Il pasticciere della corte ducale l’avrebbe chiesta in moglie, solo per carpirne i segreti culinari, ma la lungimirante donna, comprendendo le sue reali motivazioni, si rifugiò in una casetta nel bosco, provvista di quattro grandi forni. Il mancato marito, per vendetta e per invidia dei suo guadagni, decise allora di denunciarla per stregoneria.

Il contenuto dell’interrogatorio della presunta strega sarebbe stato trascritto nel Manoscritto di Wernigerode, dove emersero dettagli sorprendentemente simili alla favola dei fratelli Grimm: la donna avrebbe incantato uomini e bambini nel bosco, grazie alla prelibatezza dei suoi dolciumi ed al tetto della casa costruito completamente in marzapane, elemento aggiunto con ogni probabilità per attribuire maggiore enfasi e credibilità all’accusa di stregoneria. La donna negò con veemenza tutti i fatti che le furono contestati, nonostante fosse stata sottoposta a tortura, come era malsano costume dell’epoca, ed i giudici diedero ordine di liberarla.

Tuttavia, il crudele pasticciere di nome Hans, non abbandonò i propri propositi e, con la complicità della sorella Greta, si recò nel bosco per giustiziare la donna.

Fu proprio Greta a spingerla nel forno e a provocarne la morte, in una variante motivazionale suggestiva rispetto a quella riportata nella fiaba tradizionale. L’omicidio non passò inosservato: fratello e sorella furono processati ed incriminati, ma poi inspiegabilmente messi in libertà.

Dopo la controversa vicissitudine, essi trascorsero l’esistenza tra agi e ricchezze, utilizzando ricette più vantaggiose e remunerative, forse carpite alla sventurata abitante del bosco.

I fratelli Grimm avrebbero convertito alcuni elementi della storia, adattandoli ai loro scopi, con la conseguenza che i probabili assassini furono trasformati in vittime e poi in eroi.

Come già precisato si tratta di una versione romanzata, ma non per questo del tutto inattendibile.

La simbologia e l’interpretazione

 All’inizio della trattazione abbiamo accennato a come la fiaba in parola sia ricca di elementi simbolici, a cominciare dalle significative implicazioni psicologiche.

Hansel e Gretel sono presentati in una cornice di degrado e di miseria, vivendo costantemente con lo spettro della fame che assilla il loro intero nucleo familiare.

La madre, resa un tantino più accettabile nel ruolo di matrigna, che dovrebbe rappresentare la loro protezione e sostentamento spinge per farli abbandonare.

I bambini sono costretti a separarsi dalla madre, dalla quale non possono più dipendere, dovendo imparare a cavarsela da sola.

La prima volta, attraverso l’espediente dei sassolini bianchi, ritrovano il percorso giusto per tornare a casa, “regredendo” verso la loro fonte iniziale di sostentamento, mentre la seconda volta non riescono a tornare allo stato originario, rivelandosi vano il tentativo risolutivo della regressione. Ed ecco che davanti ai loro occhi si presenta una casetta di “marzapane”, simbolo dei piaceri materiali e del soddisfacimento primitivo dei bisogni dell’essere umano. I due fanciulli, infatti, non curandosi dei possibili pericoli provocati dall’apparenza illusoria, si abbandonano all’avida ingordigia del momento ed alla facile comodità di un falso riparo, senza valutare le conseguenze delle proprie azioni con la necessaria accortezza.

Se vogliamo dare un’interpretazione più di carattere gnostico ed iniziatico alla fiaba, ci accorgiamo che la casa del taglialegna non rappresenta altro che il mondo spirituale dal quale noi tutti proveniamo e a cui ciascuno, attraversando le proprie esperienze, è destinato a tornare. La matrigna, invece, indica l’esistenza materiale, irta di ostacoli e di difficoltà, in cui è imprigionata la scintilla divina dello spirito.

I due protagonisti giovanissimi e, pertanto, psicologicamente ancora alquanto indifferenziati, simboleggiano le nostre due componenti, quella maschile e quella femminile, in un processo ancora di trasformazione e di progressiva differenziazione, sul punto di intraprendere un difficile cammino di comprensione della realtà.

Le azioni descritte, come quella di entrare nella foresta, di essere abbandonati al proprio destino e trascorrerci la notte in preda al terrore ed allo smarrimento, sono lo specchio del nostro percorso interiore: un viaggio verso l’ignoto nella profondità della nostra anima. La prova da superare sembra insormontabile, ma i protagonisti troveranno il coraggio e le giuste motivazioni per raggiungere un’illuminazione che li possa condurre verso uno stato di coscienza più elevato.

Il percorso di Hensel e Gretel è una vera e propria iniziazione spirituale: la foresta raffigurata è un significativo labirinto, tanto caro alla sapienza ermetica, da cui si può uscire soltanto andando avanti e non a ritroso.

È da notare, poi, come i genitori, pur nella loro azione estremamente crudele, si preoccupino in qualche modo di lasciare qualche spiraglio di speranza ai figli sventurati: la matrigna consegna loro, comunque, un tozzo di pane ed il padre li abbandona in prossimità di un fuoco. Si tratta di elementi che vogliono simboleggiare la consapevolezza che si può reagire anche nelle situazioni più tragiche, come se la provvidenza divina per i credenti, o la saggezza cosmica per gli agnostici, continuasse a vegliare sulla nostra sorte.

Tra tutti i volatili incontrati nella foresta, dei quali la maggior parte si rivelano nocivi, in quanto divorano le briciole di pane disseminate dai fanciulli, spicca l’uccello bianco, che rappresenta il pensiero positivo e razionale che li conduce verso la prova successiva. E’ infatti l’uccello bianco a portarli verso l’abitazione di marzapane della strega. Nelle civiltà antiche questo tipo di animale è stato sempre associato alla purezza ed all’intervento divino nell’esistenza umana. Basti pensare alla “colomba bianca”, utilizzata nella liturgia cristiana per indicare lo Spirito Santo.

Quando raggiungono la casa della strega, i bambini sono affascinati dalle leccornie di cui è composta la dimora, mirando a soddisfare i loro bisogni primari.

Limitandosi alla venerazione dei beni materiali, finiscono con il diventare “schiavi” della strega e a rischiare di essere da lei “divorati”, come accade a coloro che perdono di vista il benessere spirituale per inseguire con avidità l’edonismo del corpo.

La miopia della strega indica la sua inferiorità morale. Ella crede di aver raggiunto il suo scopo, non riuscendo a comprendere gli inganni di Hans che le offre un ossicino di pollo al posto del dito e nemmeno l’astuto piano di Gretel che la spingerà nel forno.

Quando i bambini sconfiggono la strega, cioè la parte peggiore del loro inconscio, trovano oro e gemme preziose, che si possono identificare con i tesori dell’anima primigenia, quella legata alla scintilla divina.

Anche l’anatra che li traghetterà verso la salvezza è di colore bianco, ad indicare il pensiero puro e razionale capace di sconfiggere qualsiasi avversità.

Nella fiaba ricorrono in maniera frequente i quattro elementi della cosmologia classica, attraverso i quali i due piccoli protagonisti dovranno conquistare la quintessenza dello spirito. Dovranno navigare nel lago (l’acqua), seguire le indicazioni degli uccelli (aria), trovare un varco nella foresta selvaggia (terra), chiudere la strega nel forno (fuoco), fino ad arrivare all’emblema del pane che racchiude in sé tutti e quattro gli elementi: impasto di farina ed acqua, alito della lievitazione e fiamma della cottura. Ed il pane è sempre presente nella fiaba: dalla porzione di briciole lasciata nel bosco da Hans, alla magica struttura della casetta, per  arrivare alla cottura nel forno, dove rischia di finire il bambino messo all’ingrasso ed, invece, diventerà il luogo di purificazione dal male con la quasi rituale uccisione della strega.

In quest’ottica di interpretazione iniziatica ci appare più comprensibile il lieto fine, con il perdono nei confronti del padre, macchiatosi di una condotta a dir poco riprovevole. L’abbraccio del genitore, ormai rimasto solo, provvidenzialmente privato della perfida seconda moglie, che costituiva un ostacolo necessario al processo di formazione dei due bambini, si impone come una liturgia di accoglienza dei due iniziati ormai orientati alla conoscenza dei misteri della vita.

Hans e Gretel non condannano il loro padre per averli abbandonati nel bosco, ma condividono con lui la ricchezza acquisita, riscattando dalla miseria l’intero nucleo familiare. In tale saggio comportamento, per la verità non di immediata ed empatica comprensione, si può intravedere un messaggio di sapiente accettazione stoica per chi preferisce seguire una morale laica ed un chiaro riferimento allo spirito di sacrificio cristiano, da non identificarsi con un atteggiamento di passiva accettazione, per coloro che sono credenti.

Gli adattamenti

La fiaba di Hensel e Gretel ha avuto numerosi adattamenti teatrali e cinematografici, a partire dall’opera musicale prodotta in Germania nel 1893, su musica di Engelbert Humperdinick e libretto a cura di Adelheid Wette, la cui prima rappresentazione si svolse a Weimar, sotto la prestigiosissima direzione di Richard Strauss.

Nell’ambito cinematografico il primo corto muto fu creato sempre in Germania nel 1897 ed affidato al regista Oskar Messter, con il titolo di Hansel und Gretel.

Dagli anni Trenta dello scorso secolo si sono susseguite numerose versioni della fiaba sia “in animazione” che interpretate da attori ed attrici in carne ed ossa, fino ad arrivare alle recenti versioni dark/fantasy/horror che, in qualche modo, hanno voluto dare un significato alternativo al racconto tradizionale. Tra queste, in particolare, hanno riscosso un discreto successo di pubblico, sia il film del 2013, Hansel and Gretel, curato dalla regia di Anthony C. Ferrante, sia quello del 2020, curiosamente denominato al contrario, Gretel and Hansel, con la regia di Oz Perkins.

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Nel primo, la fiaba dei fratelli Grimm funge solo da prologo alla vita adulta dei due protagonisti che, a causa della traumatica esperienza vissuta nell’infanzia, decidono di diventare dei veri e propri “cacciatori di streghe”. Il secondo, invece, è piuttosto fedele alla narrazione originaria, presentandosi come una fiaba macabra e cupa che si ambienta in un Medioevo dall’aspetto metastorico e volutamente impreciso, dove i due fanciulli non solo scopriranno gli inganni del mondo esterno, personificati dalla strega, ma saranno spinti ad una progressiva conoscenza del proprio mondo interiore.

Come tutte le fiabe, solo in apparenza dedicate al mondo dei bambini, anche il racconto di Hans e Gretel ci deve far riflettere sull’importante significato morale che racchiude. Ogni tentativo di tornare indietro è destinato al fallimento: la regressione ad uno stato di coscienza precedente è pericolosa, non potendo apportare alcun tipo di miglioramento alla nostra personalità.

Quando Hans e Gretel ritroveranno la casa del taglialegna, giureranno di non tornare più in quella parte oscura del bosco, allontanandosi in questo modo dalla parte più buia del proprio inconscio.

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