La filosofia della traduzione spiegata da Eco e Cavagnoli

Che significa davvero tradurre?

Si tratta semplicemente della trasposizione di un testo scritto da una lingua ad un’altra? Forse è un po’ più di questo. Forse è molto, molto di più.

E allora perché non si può rispondere a questa domanda semplicemente dando una definizione? Ci ha provato persino Umberto Eco, nel suo libro Dire quasi la stessa cosa, perché in effetti tradurre è dire la stessa cosa ma in un’altra lingua… o quasi.

In vero, pare che non sia poi così semplice definire la traduzione:

“Sul Vocabolario della lingua italiana edito da Treccani trovo ‘l’azione, l’operazione o l’attività di tradurre da una lingua a un’altra un testo scritto o anche orale’, definizione alquanto tutologica che non si rivela più perspicua se passo al lemma tradurre: ‘volgere in un’altra lingua, diversa da quella originaria, un testo scritto o orale’”.

Si tratta quindi di un’attività complessa e dagli innumerevoli volti, che Eco ha tentato di sviscerare in questo volume, valido da moltissimi punti di vista non solo per gli “addetti ai lavori” ma anche per quei lettori che semplicemente amano dilettarsi con gli affascinanti intrecci della lingua.
Il grande pregio di questo testo è sicuramente il suo approccio pratico: prendere spunto dalle proprie esperienze personali, in quanto traduttore e autore a propria volta tradotto da altri e partire da esempi concreti per sollevare consequenziali questioni teoriche, non a caso riporta come sottotitolo “esperienze di traduzione”, dal momento che il processo traduttivo, per il traduttore stesso, finisce sempre per essere un’esperienza diversa dalla precedente.

Un approccio questo neanche troppo insolito, sulla stessa scia infatti, si registrano altri saggi simili, come La voce del testo di Franca Cavagnoli, una delle più grandi traduttrici italiane che prova a condividere tramite, questo piccolissimo testo, i segreti del mestiere tramite un viaggio all’interno del lessico letterario. Suddiviso in tre parti (Leggere, Tradurre e Rivedere), il libro propone una sorta di scaletta esemplificativa dei passi essenziali per l’approccio alla traduzione, proprio per sottolineare quanto tradurre un’opera letteraria non si possa ritenere iniziata e finita con la semplice traduzione fine a se stessa, e poi diciamolo pure: “buona la prima” in traduzione è un concetto utopico.

Lavorare su un testo letterario è anche frutto non solo della conoscenza dell’autore in questione, della sua bibliografia e delle tematiche che tratta nei propri libri, ma è anche frutto di un lavoro costante di lettura, ricerca e studio nella lingua di partenza e chiaramente nella lingua di arrivo.

Bisogna anche tenere conto del tipo di testo che si ha di fronte, del lettore-tipo, dello scopo, insomma, della nostra traduzione. Cavagnoli mostra come tutti questi aspetti si intrecciano tramite esempi tratti da classici, romanzi di evasione, libri per l’infanzia.

Spesso i “non addetti ai lavori” non si rendono quasi conto di quanto lavoro possa nascondersi dietro ad una sola frase, per questo libri come La voce del testo possono aiutare a far luce su una figura tanto misteriosa quanto spesso poco considerata o data per scontata nel panorama letterario.

Tornando a Eco, ad essere di fatto sorprendente, visto che di giocare con la lingua si parla, non è solo il metodo usato dall’autore, ma anche lo stile adottato per la stesura del saggio: l’andamento è al tempo stesso scorrevole, ironico e leggero, pur non mancando di tecnicismi, di espressioni opache e di un periodare subordinato e aulico. Ne viene fuori una lingua mista, dunque, capace di divertire e di istruire insieme, e chi l’ha detto che i libri sulla traduzione non possano essere godibili per ogni tipologia di lettore?

L’aspetto tecnico è vero, può spaventare chi non bazzica per queste vie, ma occorre andare un po’ oltre al concetto di semplice condivisione della cultura di partenza e di arrivo. Tradurre significa anche rispettare determinati suoni e ritmi e, specialmente, riuscire a suscitare nei lettori di diverse aree geografiche le medesime reazioni.

Detto così sembrerebbe quasi che la traduzione sia un atto di estrema libertà e che il traduttore raramente sia soggetto a delle sfide con sè stesso, eppure sono tantissime le volte in cui è lui il primo a sentirsi perso nella grande “Torre di Babele”: giochi di parole, fraseologismi e metafore, talvolta forse sottovalutati, possono mettere in crisi un traduttore che deve operare delle scelte: tradurre in un liguaggio virtuoso o tradurre efficacemente?

Il caso de Les Belles Infidèles

L’espressione deriva dal francese e nel Settecento descriveva quelle traduzioni che si allontanavano dall’originale per rendere il testo più vicino alla cultura ricevente, modificando e stravolgendo persino gli autori classici in favore di una maggior eleganza e scorrevolezza.

Non c’è più distinzione quindi tra una traduzione che produce un effetto simile al testo straniero e una che produce l’illusione dell’originalità. Le belles infidèles cancellano questa distinzione e rispondono ai desideri della cultura francese: la comprensibilità del testo tradotto le rendeva fruibili da tutti, facendole passare per l’originale. Un pregio dunque per i fruitori dell’opera d’arrivo, ma che fine fa il virtuosismo dell’opera di partenza? Il traduttore non è l’autore…

Così, sebbene il libro di Eco non fornisca delle risposte definitive e univoche, quanto piuttosto degli spunti e delle occasioni di confronto, rimane di certo una fonte di aneddoti d’autore preziosa e affascinante.

Al termine della lettura si ha quasi l’impressione di avere poche risposte certe sull’argomento e tante nuove domande su cui in precedenza non ci si era forse soffermati. Non a caso, occuparsi di traduzione non equivale a svolgere operazioni meccaniche e sempre uguali a sé stesse, anzi, al contrario, chi ha la fortuna di lavorare in quest’ambito, o chi ha la pura e semplice curiosità di saperne di più, realizzerà che più si prova a tradurre, più difficile è tentare di dire (quasi) la stessa cosa.

“La traduzione è, in quanto esperienza, riflessione. È prima di tutto un fare esperienza dell’opera da tradurre e nello stesso tempo della lingua in cui quell’opera è scritta e della cultura in cui è germinata.E subito dopo è un fare esperienza della limgua madre e della propria cultura, che deve accogliere, vincendo ogni possibile resistenza, la diversità linguistica e culturale del romanzo o del racconto da tradurre.”

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