Lo sciamano: chi è e quali sono i suoi poteri

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Diventare sciamani non è il prodotto di un qualcosa di così naturale e soggettivo, poiché, come ci spiega Mircea Eliade, il ricoprire, all’interno di una collettività, tale ruolo è il prodotto di due aspetti: o diventare sciamani per via ereditaria oppure diventare sciamani per via di una vera e propria “chiamata” che si manifesta per mezzo di visioni, sogni annunciatori o stati di trance (Eliade: 1974). Inoltre lo sciamano deve anche essere riconosciuto dalla propria società di appartenenza, deve far parte di un procedimento rituale che attesti la sua superiorità e diversità in materia, rispetto alla collettività. Come spiega Eliade, dobbiamo focalizzarci sul fatto che lo sciamano per essere tale deve, prima, essere sottoposto ad una doppia istruzione: da una parte bisogna che vi sia, per l’appunto, un’esperienza di fatto di una dimensione onirica sotto forma di trance, come precedentemente facevamo presente all’interno della “chiamata”, che infatti definiremo come “estatica” e che sceglie l’individuo-sciamano come candidato al passaggio di stato, da un’altra parte bisogna che l’individuo scelto sia sottoposto ad un’istruzione tradizionale basata su una conoscenza di pratiche sciamaniche, di linguaggi particolareggiati e della struttura mitologia che identifica il clan di appartenza,  proprio perché nella particolarità di alcuni spiriti che sono protagonisti di specifiche credenze, che identificano la struttura sociale, è insito il punto di partenza di un iter che lo sciamano segue per finalizzare il suo operato. Tale doppia istruzione rappresenta una parte della pratica volta all’iniziazione sciamanica (Eliade: 1974), un vero e proprio “rito di passaggio”, per come lo definisce Arnold Van Gennep, che riporta il candidato a una dimensione di sacro, al quale accederà per l’unicità di alcuni aspetti insiti nella stessa ritualità di iniziazione, come per esempio la possessione degli spiriti, che – nel caso di una trasmissione ereditaria dei poteri sciamanici – sono rappresentati dagli antenati.

Soffermandoci su questa dimensione di “rito di passaggio”, dobbiamo far luce sul fatto che parliamo della specifica tipologia di rito di “iniziazione” che rappresenta lo stato di passaggio ad una condizione radicalmente mutata rispetto alla precedente. Il rito di iniziazione, al suo interno, implica tre aspetti rituali costitutivi o se vogliamo, per l’appunto, essere ancora più chiari, implica altre tre sotto riti di passaggio: il primo è il rito di “separazione”, che prevede che il candidato si separi e dunque lasci il proprio clan, per giungere in uno spazio sacro identificato con il bosco (o foresta) limitrofo al proprio territorio. All’interno di questa prima fase vi è l’aspetto della “morte rituale” che rappresenterà il passaggio alla seconda fase del rito di iniziazione, chiamare fase “liminale”, in cui il candidato sciamano risiederà in una condizione statica e in cui avverrà il passaggio, attraverso stati di trance e di viaggi onirici tra mondo terreno e ultraterreno. In seguito, concluso il viaggio, il sogno, la cosiddetta “via regia” di cui parla Freud, si giunge alla terza fase del rito di iniziazione, costituita dalla fase di “aggregazione” (o “ri-aggregazione”) al contesto sociale di cui il candidato fa parte, un’aggregazione che avverrà nei termini di una condizione mutata, il candidato – adesso – tornerà alla sua gente come un vero e proprio sciamano a tutti gli effetti.

Compresa la struttura di un rito di passaggio e del rito che riguarda la nostra trattazione, dobbiamo comunque far luce sul fatto che a seconda delle culture di appartenenza, lo sciamano, in seguito seguirà un iter dettato dalle norme sociali del sistema sociale in cui si trova e il rito di passaggio in questione potrebbe pure variare, ma il punto d’incontro tra le varie diversità di approccio al passaggio risiede nel fatto che vi sia ampiamente diffusa la presenza di questa entità ultraterrena che chiamerà a sé il suo discepolo sciamano.

È molto importante comprendere come lo sciamano risulti come un individuo “sano”, per l’appunto Eliade – attraverso gli studi di Nadel sullo sciamanesimo in Australia – evidenzia come non vi siano sciamani che dallo stato di trance siano giunti ad una condizione psichica degenerata in un malessere serio della mente. Qui subentra l’idea che si ha del cosiddetto “medicine-man” che non si discosta molto dalla figura dello sciamano, anzi risulta aver la stessa tipologia ontologica. Non si può pensare agli sciamani, o medicine-man, come dei malati che millantano delle doti, poiché essi, attraverso un viaggio di “ritorno” dalla morte rituale, si presuppone che abbiano acquisito oltre ai poteri anche la capacità di domare la malattia, psichica o prettamente fisica che sia. Infatti, se dovessimo attuare un raffronto tra una concezione occidentalizzata ed una concezione “primitivizzata”, usando un neologismo, potremmo notare che la percezione di cui gode lo sciamano è la stessa di cui gode, nel nostro contesto culturale in Occidente, un medico o un sacerdote. Nello sciamano si sintetizzano gli aspetti salvifici per i quali, nel nostro sistema, esistono diverse figure specializzate e legittimate dai contesti disciplinari di appartenenza.

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Ritornando alla descrizione del rito di iniziazione dobbiamo capire come essa riporti alla luce l’unicità dello sciamano di fronte al contesto sociale in cui opera. Non si deve razionalizzare con facilità il possesso di queste speciali caratteristiche che titolano un individuo e lo rendono un plausibile candidato, poiché non si renderebbe giustizia al valore che tale processo di iniziazione rappresenta. Lo sciamano, che sia per eredità o per induzione onirica, ha comunque una capacità di leggere il sacro che si manifesta e che l’individuo comune della società in cui opera non può avere. Possiede delle inclinazione estatiche che gli permettono di essere al servizio del sacro e di interpretarlo per la collettività. Questi aspetti singolari nella lettura delle ierofanie (che attraverso il linguaggio specifico di Mircea Eliade definiamo come “manifestazioni del sacro”) rendono lo sciamano un individuo che rompe radicalmente con la cosmologia circostante, non soltanto al livello esistenziale, ma dal punto di vista propriamente delle capacità superiori possedute (Eliade: 1974).

Riguardo al sacro andrebbe condotta un’altra indagine per comprendere quale rapporto vi sia con esso e perché il sentimento del cosiddetto “numinoso” sia basato sul “tremor”, come direbbe Rufold Otto, ma non è questa la sede. Ci serve comprendere però che in quanto dal sacro scaturisce questo sentimento biblico di paura e timore di fronte al suo manifestarsi, lo sciamano – in quanto specialista del sacro – ha un rapporto con esso e ne diventa strumento per una comunicazione tra individuo e dimensione paranormale.

Ciò che va rammentato, per ricollegarsi in conclusione al discorso precedentemente affrontato riguardo all’unicità dell’individuo – sciamano di fronte alla società che lo riceve, risiede nel fatto che esso rappresenta quella figura che ha il potere di scacciare tutti i pericoli e le entità maligne, incorporando in sé le energie positive da usare per la salvezza del proprio contesto sociale. Uno dei più grandi antropologi del Novecento, il britannico Edward E. Evans-Pritchard, il quale nella sua monografia “Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande”(2002), parla della stregoneria e dello stregone come le figure che riportano il pericolo per la tribù, ma parla anche del cosiddetto “antistregone”, che si occupa invece di contrastare questo pericolo e dunque di proteggere gli individui della sua tribù. L’antistregone in Evans-Pritchard svolge il medesimo ruolo che svolge lo sciamano a cui stiamo facendo riferimento in questa sede.

Potremmo portare in chiara luce innumerevoli esempi che attestino l’esistenza di tali figure che, nella costruzione culturale delle società di appartenenza, riescono ad agire secondo dei codici pertinenti e legittimanti per il loro ruolo. Tra autori come Eliade, Jung, Levi-Strauss o lo stesso Evans-Pritchard, per citarne soltanto alcuni, possiamo comprendere come il complesso mondo dell’etnopsichiatria sia un campo interdisciplinare che racchiude in sé varie altre discipline. Tale interdisciplinarietà crea, per l’appunto, un vero e proprio ponte tra le scienze sociali e la psicologia, un ponte di inequivocabile importanza, che risulta un modo efficacie per mettere in evidenza come la dimensione umana, totale e globale, risulta basata su una convivenza di diversità specifiche che hanno il bisogno di essere razionalizzate e contestualizzate all’interno di un codice culturale con i propri valori.

È propriamente su questa concezione della realtà che si instaura il filone cosiddetto delle “visioni del mondo”, cioè della Weltanshaauung , che che identifica tutto il sistema del globo, poiché è su di essa che, oggi più che mai, va pensato il nostro sistema sociale.

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