La civiltà nell’epoca della comunicazione individualizzante

La comunicazione nella nostra società è diventata quasi esclusivamente di massa e conseguentemente ha assunto caratteristiche totalizzanti.

I primi due decenni del secolo XXI hanno rappresentato un punto storico di mutamento estremo rispetto ai precedenti approcci di interazione e comunicazione. In pochi decenni, a partire dall’introduzione della televisione fino ad arrivare alla diffusione dei socialnetworks, le percezioni sociali circa comunicabilità, espressività e interazione sono state radicalmente e bruscamente stravolte. Un cambiamento epocale avvenuto in così poco tempo necessariamente ha comportato dei risvolti che hanno strutturato una nuova configurazione socioculturale di “iper-comunicabilità”. L’imponente macchina capitalistica che detta i ritmi delle nostre vite in modo incontrastato dal dopoguerra ad oggi, gettava già dai primi anni ’50 le basi della sua nuova conformazione inglobando ogni aspetto della sfera privata e quotidiana delle enormi masse di individui. Questo processo di uniformazione e inglobamento in larga scala non sfuggì alla lungimiranza di un intellettuale come Pasolini. Il 17 Maggio del 1973 esprimeva il suo disappunto riguardo questa, al tempo recente, mania e tendenza uniformizzante in un articolo per il “Corriere della Sera” col titolo “Il folle slogan dei jeans Jesus”. La critica di Pasolini si sofferma proprio sulla generale propensione capitalistica ad assimilare ogni aspetto della cultura e della società, oltre ovviamente alla sfera economica. Una assimilazione che non ha risparmiato il contesto della comunicazione e che diviene dunque veicolo di pubblicità e intrattenimento. “La sua espressività è mostruosa, perché diviene immediatamente stereotipa […]” scrive riferendosi all’immediatezza sconvolgente di un manifesto pubblicitario che recita “Non avrai altro jeans all’infuori di me”. La comunicazione votata all’immediatezza “[…] è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di un mondo inespressivo, senza particolarismi […]” continua Pasolini.

Il futuro è arrivato e l’interazione comunicativa odierna si esaurisce spesso davanti uno schermo.

La realtà che viviamo è stata nettamente divisa in due sfere di percezione ben distinguibili: ciò che è virtuale e ciò che non lo è (ma che potrebbe potenzialmente diventarlo). La comunicazione del XXI secolo assorbe quanti più utenti possibili stabilendo contatti immediati e a distanza, creando lobby e gruppi più o meno vasti di persone. La comunicazione è diventata, quindi, totalizzante e con connotati quasi coercitivi; appare infatti evidente l’impossibilità di astenersi dai violenti e continui flussi di informazioni/contatti a cui quotidianamente si è esposti. Informazioni che però rimangono in un alone di superficialità, informazioni che non diventano conoscenze acquisite, ma solo “input”. Contatti che non divengono reali, ma restano virtuali. La nostra comunicabilità sociale appare dunque come inglobante sul piano virtuale e individualizzante sul piano reale. L’attuale situazione di isolamento a cui ci ha costretti la pandemia è indicativa del processo sopra menzionato; isolati e connessi, ma pur sempre isolati. La nuova comunicazione privilegia l’uniformazione del “gruppo” e discrimina l’individuo che spesso reagisce esercitando ancora più veemente la sua facoltà di “connettersi”. La nuova interazione si fonda su un ossimorico concetto di includente-escludente e i socialnetworks amplificano la risonanza di questa antitesi.

La comunicazione assume sempre più peculiarità di “Intrattenimento”.

I social networks favoriscono sempre più una divulgazione immediata e un’informazione fatta di immagini. Un assiduo bombardamento di inserti pubblicitari in quasi ogni sito web o social network. Tutto ciò contribuisce ad un nuovo cambiamento della percezione che abbiamo della pubblicità e della comunicazione, che assumono sempre più le caratteristiche di un “Intrattenimento”. Input infiniti che di fatto snaturalizzano il concetto di comunicabilità e lo volgono al servizio di scopi commerciali. Siamo assuefatti dalla preminente presenza di comunicazioni immediate quanto instabili. L’intrattenimento a cui ci siamo abbandonati è tirannico ed è il braccio armato della nuova comunicazione.

Più che significativa si rivela essere l’immensa opera di David Foster Wallace, Infinite Jest (1996), in cui il contesto storico a-storicizzato e amorfe in cui si intreccia la trama del romanzo appare spaventosamente simile al nostro presente. Un mondo di impulsi immediati e molteplici che però lasciano delle tracce nella nostra percezione, e sviluppano dei bisogni inconsci che rispondono ai multipli input da cui veniamo “pizzicati”; scrive D.F. Wallace “Riusciva a fare quello che tutte le pubblicità dovrebbero fare: creare un’ansia che si allevia solo con l’acquisto” (pag. 497). Siamo ansiosi e nevrotici e la nostra interazione sociale è solo il riflesso di queste nuove anomalie interiori. Stiamo costruendo anche noi un presente sempre più amorfe e nebuloso? La comunicazione di cui ci serviamo potrebbe far supporre di sì.

“Il 50% dell’educazione pubblica viene disseminato attraverso impulsi accreditati e codificati, assorbibili dal divano di casa”

D. F. Wallace – Infinite Jest

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