Pogo il Clown: la vera storia del serial killer John Wayne Gacy

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L’eco delle sue gesta ha contribuito ad imprimere nell’immaginario collettivo la figura del pagliaccio assassino, eppure il primo mito da sfatare su John Wayne Gacy è che egli non uccideva le proprie vittime vestito da clown. Quella di clown alle feste era soltanto una delle tante attività sociali che l’uomo praticava, ma tanto è bastato per renderlo famoso in tutto il mondo come Killer Clown.

Se c’è una lezione che possiamo apprendere dalla terribile storia di questo serial killer è che il male si può nascondere anche dietro il volto più rispettabile. Gacy infatti non appariva affatto come uno squilibrato à la Ed Gein, anzi: era un membro attivo della propria comunità, un manager, un imprenditore di successo, un buon padre di famiglia, nonché un rispettato attivista del Partito Democratico che posava addirittura in fotografia con la First Lady degli Stati Uniti, Rosalynn Carter. Chi potrebbe mai sospettare di un uomo del genere?

Eppure quest’uomo uccideva: tra il 1972 ed il 1978 adescò nei modi più disparati trentatré ragazzi tra i quattordici e ventitré anni, per poi violentarli ed ucciderli a coltellate o strangolandoli, nascondendo successivamente i cadaveri nella cantina di casa sua. Si è parlato a lungo dell’omosessualità repressa di Gacy come possibile causa della sua voglia di uccidere, ma la realtà è più semplice e spaventosa: Gacy uccideva perché per lui “la morte era l’emozione più grande”.

Uno dei dipinti creati da Gacy in carcere

La vita di Gacy è stata segnata dalle molestie fin dall’infanzia a Chicago: suo padre, alcolizzato, lo vessava materialmente e moralmente, prendendolo di mira in quanto bambino sovrappeso ed effeminato. All’età di undici anni John venne abusato sessualmente da un amico del padre, senza avere mai la forza di confessare il fatto e portando dentro di sé il trauma. Dopo il matrimonio con la prima moglie, avvenuto nel 1964, il ventiduenne John Gacy aveva, in teoria, tutto l’occorrente per una vita felice dopo il trasferimento in Iowa: il suocero gli aveva affidato la gestione di tre ristoranti della catena Kentucky Fried Chicken e John aveva accettato con entusiasmo la possibilità, rivelandosi un ottimo manager e un ottimo cittadino, attivissimo nella beneficienza. Qualcosa però non andava in Gacy: nel 1967 l’uomo cominciò regolarmente ad adescare e molestare sessualmente numerosi adolescenti. Il primo di essi, Donald Voorhees, confessò tutto al padre, che riuscì a fare arrestare ed incriminare il maniaco. Nonostante un fallito tentativo di intimidazione (Gacy pagò un suo dipendente per aggredire Voorhees e convincerlo a non testimoniare) Gacy, condannato a dieci anni di carcere, si ritrovò libero sulla parola già nel 1970, decidendo di tornare a vivere nell’Illinois (dove nessuno sapeva delle sue gesta) e rifarsi una vita.

A Chicago Gacy si reinventò come titolare di un’impresa edile e di riparazione di buon successo, si sposò per la seconda volta, divenne un notissimo attivista locale del Partito Democratico, cominciò ad intrattenere i bambini alle feste nei panni di Pogo il Clown (personaggio da lui stesso ideato) e cominciò anche ad uccidere selvaggiamente ogni adolescente o giovane uomo con cui riusciva ad appartarsi.

Tutto cominciò nel 1972 con il quindicenne Timothy Jack McCoy, che viaggiava con l’autostop. Gacy lo prelevò, gli fece fare un giro della città, lo ospitò a casa sua per passare la notte e la mattina seguente lo uccise con numerose coltellate al petto, in seguito ad una violenta colluttazione. Non è chiara la dinamica del fatto: secondo Gacy nacque tutto da un malinteso, in quanto l’uomo si sarebbe alzato di soprassalto vedendo il giovane brandire un coltello in mano (in realtà il ragazzo stava soltanto preparando la colazione) e da lì sarebbe partita una rissa che avrebbe portato all’uccisione di McCoy. Al di là della dinamica quello che è certo è che, subito dopo aver ucciso il ragazzo, Gacy si rese conto di aver provato un orgasmo completo nel farlo.

Da lì in avanti le cose cominciarono a precipitare: il secondo omicidio avvenne nel 1974 (la vittima non è mai stata identificata) e il terzo nel 1975, approfittando del fatto che la moglie non era in casa per qualche giorno. Dopo il secondo divorzio, avvenuto nel 1976, Gacy cominciò a scatenare liberamente la propria furia omicida, ora che aveva la casa a completa disposizione: tra l’aprile del 1976 e il dicembre del 1978 furono ben trenta le vittime, tutti ragazzi. I cadaveri dei giovani (alcuni di essi venivano violentati anche dopo la morte) venivano accumulati in cantina e sotto le fondamenta della casa, che ormai somigliava sempre più ad un sinistro cimitero. La cosa più inquietante è che nonostante alcune delle sue vittime siano riuscite a liberarsi (e alcuni addirittura siano stati lasciati andare dallo stesso Gacy), la polizia non compì mai indagini abbastanza approfondite su quel così stimato membro della comunità, lasciando che la sua sete di sangue continuasse a mietere vittime per oltre diciotto mesi. L’arresto di Gacy avvenne subito dopo la sparizione della sua ultima vittima (avvenuta il 12 dicembre 1978): prima di cadere preda del suo aguzzino, il giovane Robert Piest aveva infatti avvisato la famiglia di avere in programma un colloquio di lavoro a casa di Gacy. A tradire l’assassino fu l’orribile tanfo dei cadaveri che proveniva dalle fondamenta: la polizia ci mise poco a fare una perquisizione e a scoprire l’orrore.

John Wayne Gacy fu processato e condannato a morte. Durante la detenzione l’uomo iniziò a dipingere, realizzando numerosi clown tristi, molti dei quali autoritratti. Gacy non smise mai di lottare contro la sentenza: provò a fingere di essere psicopatico e di addossare la responsabilità dell’accaduto a Jack, il suo presunto alter ego malvagio. L’uomo fu giustiziato alla mezzanotte del 10 maggio 1994. Le sue ultime parole prima dell’esecuzione furono “Baciatemi il culo!”.

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