Il Coronavirus e la militarizzazione del sistema mediatico italiano

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Molto più sinistramente rispetto ad altri format -ma con lo stesso incedere- con Coronavirus il sistema mediatico si è rivelato essere ciò che è: gas nervino. 

Ciò che dal suo punto di vista si legittima in slogan auto-eroici quali “diritto di cronaca” o “libertà di espressione” si manifesta tuttavia in un vero e proprio assedio ai danni del popolo, costretto a subire un costante starnazzare pedagogico/pornografico, non richiesto e assiderante a tale livello di reiterazione di ritornelli bui. Giorno e notte. E non è affatto facile spegnerlo.

Si tratta di un meccanismo che l’Italia ha sempre conosciuto e dovuto accettare, ma che solo di recente ha intensificato la cresta, aggravando la propria ingerenza, ormai totale, nel passaggio epocale dal tubo catodico del piccolo schermo, alla linfa immaginifica del minuscolo schermo degli smartphone.  (Come ai tempi fu il grande schermo del cinema, con il piccolo della TV…)

Si sa che oggi il giornalismo -inteso come fonte di news o coraggio di realizzare inchieste- non esiste più. Non può più esistere, se non rarissimamente in qualche lontana cantina. Ciò che oggi persiste enormemente è invece una struttura meccanica antidemocratica che delira contenuti, internamente costituita da narrazioni mangiaclick ed algoritmi altamente tecnologici, deputati a stanare i privati cittadini, agganciandoli per le rètine e turbandoli con titoli/sentenza o risse in merito a torbide/spirituali notizie allarmanti, che non danno tregua, non mollano un attimo, e ribadiscono in ogni loro fibra espressiva la distanza tra il sopra: chi esercita il racconto, ed ha il diritto di farne “critica”; e il sotto: chi lo subisce e, se osa ribellarsi,-rigurgitando l’oggettività qualitativa di ciò che è stato dato in pasto: pedagogia/pornografia, è messo alla gogna, come pericoloso leone da tastiera, e soffocato. 

Si gonfia il fegato dell’oca perchè l’oca esploda e scendano i cardinali ad arrestare, a ricordare il bene contro gli ultimi. Questo è oggi mediaticamente l’inno d’Italia: un fuoco analfabeta che brucia ossigeno ad alta voce. E divide il Paese con il coltello, in sempre più pezzetti.

A tale evoluto spettacolo criminale/istituzionale, a tale convention aziendale, si deve assistere muti, mettere like e condividere. Se non si vuole incorrere nel rischio di ricevere sanzioni, ovvero -metaforicamente- la visita della guardia che, come al cinema, puntava una torcia in faccia a chi faceva cagnara, imponendo il silenzio. La medesima guardia che alla fine del primo tempo vendeva i pop-corn!

Proprio grazie al disegno del rumore acceso dai media intorno al cinema apocalittico del Coronavirus, l’Italia si troverebbe oggi dinnanzi a una domanda quasi di tipo Costituzionale: è giusto continuare a tollerare il sadismo di siffatto gioco dell’oca? 

Osserviamolo in un dettaglio perverso il gioco, -il giogo- del racconto mediatico italiano Coronavirus: nell’atto forsennato di svuotare i supermercati, il popolo viene umiliato e messo in ridicolo. La notizia è: Guardate il popolo quanto è bue ed incivile! Prendiamone le distanze! Condividete che noi non siamo loro!

Ciò è senza dubbio simpatico e funzionale, tuttavia è allo stesso tempo anche pienamente oscurantistico: distrae dal ruolo -non secondario- di chi ha provocato in quella nera notte del popolo la paura e l’inciviltà, che si esprime poi nel noto spingersi come topi vivi tra gli scaffali…loro dicono che è diritto di cronaca e se il popolo è ignorante non è certo colpa loro…

Tuttavia: dove si trova esattamente il laboratorio, il balcone che ha diffuso il virus del panico, chi lo ha trasmesso il logos immaginifico attraverso cui si è oggetivamente srotolato il Coronavirus -senza alcun filtro a parte la “pulizia” del linguaggio- negli occhi dei cittadini? 

Si trova nelle redazioni del sistema mediatico il fuoco, nei faraoni (sempre in ambigua comunione drammaturgia con il governo) o negli schiavi, nel cuore umano di un ipotetico padre di famiglia che non trova più l’uscita di sicurezza dal cinema, responsabile di averlo in fondo nutrito e narcotizzato per mezzo secolo, a suon di pornografia, olocausto ed eroi? 

La notizia è che per la prima volta in Italia con questo terrificante film, si supera l’horror, si supera Asia Argento, Greta Thmberg, si supera il documentario, si supera il reality. E la storia si fa “vera” più che mai, andando a toccare il pane quotidiano di tutti. La vita e la morte, chi la dice?

Certo, il popolo è bue, se può va a sciare, ma chi ha lavorato per dare al bue le stalle degne di un bue, creando pubbliche agorà politically correct, in cui esperti si sbranano con inesperti (non sempre chiare le maschere a riguardo) dandosi vicendevolmente del fascista, in una spirale di sangue e rabbia, in un basso teatrino popolare che osa , se il caso lo richiede, anche su questioni spirituali? 

Chi ha creato gli impianti di risalita e di discesa della mente umana tenuta in scacco? L’Italia è un Paese democratico? 

Tornando al Coronavirus, proprio in riferimento al giornalistico sorvolare come droni sopra l’affaire “svuotamento dei supermercato per supposta pandemia”, il Dio media, mostra la propria inquietante auto-idolatria verticale. 

Il proprio essere Olimpo inorganico contro i mortali, contro l’orizzontalità biologica di un popolo. 

Per la semplice posizione di trovarsi in alto, l’impalcatura, per quanto schizofrenica, sembra essere anche “in alto”, ovvero oltre, la contingenza di doversi procurare cibo, ben nota pratica umana. Come se i giornalisti non mangiassero e non defecassero, come se i giornalisti non avessero paura… come se l’alto fosse anche strutturalmente diverso dal basso, come se l’alto non morisse mai, come se l’alto fosse oltre quel volgare ciclo di vita e morte, fosse dunque solo solo l’immaterialità egoica del proprio darsi…fosse quindi solo informazione e giudizio, come Dio. 

Pertanto, oggi più che mai, le mandibole deformate dall’arroganza senza limite del giornalismo italiano, il suo alito sempre più cattivo sul popolo, mostra come universalmente il potere si mantenga esclusivamente grazie all’incatenamento meccanico alle fiabe, che blocca nel profondo un intero Paese, non solo la Lombardia, facendo zona rossa non solo di Codogno, ma di ogni singola coscienza umana, blindata psichicamente sotto l’Olimpo, e resa schiava. 

10 comments

  1. Si possono esprimere gli stessi, peraltro condivisibili, contenuti in modo più semplice e diretto, meno pedante e intellettualoide!!

  2. Bell’articolo, condivido in pieno, ma scritto malissimo.
    Sì può fare molto di meglio con metà delle parole e un quinto delle metafore inutili.

  3. Completamente concorde! Il dramma è l’incapacità/impossibilità di sottrarsi a questo elettroshock permanente e, anche se ben immunizzati, il rischio di essere travolti è altissimo…

  4. Gli altri commenti spiegano bene come mai il linguaggio dei media debba essere mediocre affinché possano fare più visual… Mi dispiace davvero che la mediocrità debba essere la norma. Il clickbaiting e la povertà di contenuti sono solo dei dolcetti per persone golose. Continuiamo ad abbuffarci allora, bene così.

  5. Ridicolo. Se in alcuni punti può essere condivisibile, purtroppo, come dicono altri commenti, infarcire il pezzo con così tante ovvie metafore, lamentele, inutili tentativi di racconto della cospirazione rendono il pezzo stesso patetico.

    Poi scrivere questo pezzo cavalcando l’onda del coronavirus è ancora più patetico, perché contraddice lo spirito stesso dell’articolo.

    Io credo che la buona stampa dovrebbe essere la giusta via di mezzo, tra quei penosi articoli che come dici esaltano solo il senso di allarmismo martellandoci con titoli tragici e articoli come questo che rappresentano l’eccesso opposto.

    Equilibrio. Nella stampa, così come nella valutazione che i lettori dovrebbero fare rispetto a quello che leggono o ascoltano.

  6. Bellissimo articolo e ignora chi sostiene che dovresti scrivere in modo più semplice. Perché limitarsi a scarabocchiare se si può dipingere un quadro con le parole?

  7. E bravo, prendiamola sul personale. Guarda che è una critica sensata, questo articolo sembra un esercizio stilistico piuttosto che qualsiasi altra cosa (non dico articolo di giornale perché effettivamente i giornalisti con l’italiano non sono stati molto gentili). Non dico di scrivere saggi da prima elementare, ma nemmeno sembrare il primo della classe che prova a fare colpo sul professore di lettere.

  8. Ogni tanto bisogna anche divertirsi spolverando un po’ di figure retoriche sempre più in disuso, altrimenti si diventa totalmente piatti e semplicemente reporter.

  9. La mediocrità è questo commento. Perché ogni wannabe giornalista deve tentare di scrivere alla Carlo Emilio Gadda? Poi io ancora non ho capito cosa è questo discutere dei meccanismi oppressivi e antidemocratici dei media in linguaggio dannunziano. Ah regà, ripijatevi: se amate davvero così tanto la democrazia magari imparate a capire come scrivere senza sembrare degli arroganti pezzi di merda (senza talento, peraltro). Ché il popolo non è fatto solo di reduci di lettere e filosofia la cui unica consolazione è tirare fuori la parola logos in qualche oscuro meandro dell’internet.

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