Questo articolo racconta il film Respiro di Emanuele Crialese in un formato che intende essere più di una semplice recensione: lo scopo è andare oltre il significato del film e fornire una analisi e una spiegazione delle idee e delle dinamiche che gli hanno dato vita.
In una piccola isola del mar Mediterraneo, vive una bellissima ninfa dai capelli imbionditi dal sole e gli occhi verde azzurro come l’acqua cristallina che la circonda. È un essere puro, a metà tra terra e acqua. Come una bambina, vive gli eventi della vita intensamente, senza vergogna, senza filtri. Il suo nome è Grazia. Ha sposato un pescatore e ha tre figli adolescenti di cui sembra essere più la sorella che la madre. Ride di gioia pura quando si bagna nuda nelle acque del suo mare, respira con tutta se stessa l’aria salina che le ricopre la pelle per tutto il giorno, lei è uno spirito selvaggio, proprio come gli elementi in cui si trova immersa. Grazia vive ai giorni nostri nell’isola di Lampedusa.
In questo luogo, d’estate, le giornate sono scandite dal ritmo semplice della vita isolana. I bambini giocano ai pirati, scorrazzano in motorino e fanno a gara di tuffi.
Grazia aspetta il suo Ulisse sul molo del porto. È innamorata del suo uomo come il primo giorno, ma questo non le impedisce di comportarsi come le pare, perciò se un giorno vuole scambiare due chiacchiere con gli altri pescatori o fare un giro in barca con dei turisti, non ci pensa due volte, non chiede permesso a nessuno. Il suo comportamento mette in imbarazzo il marito e la gente che la considera pazza. La sua ultima “follia” è quella di liberare tutti i cani randagi rinchiusi in un canile, scatenando il putiferio nel paese invaso dagli animali in fuga.
Il bisogno irrefrenabile di libertà che ha Grazia viene scambiato per pazzia da tutti gli altri, coloro che si considerano “normali”. Bisogna prendere dei provvedimenti per placare le crisi di malinconia e isteria in cui Grazia precipita ogni volta che le tarpano le ali. Le donne della sua famiglia vogliono internarla in un’istituto a Milano, via dal continente, come dicono in Sicilia. “Piuttosto mi ammazzo” – risponde lei.
Il marito e i figli cercano di consolarla come possono ma è solo il figlio più grande, con cui lei ha un’affinità speciale, che si inventa una soluzione per salvarla. Decide di nasconderla in una grotta, dall’altre parte dell’isola. L’idea di allontanarsi da quella madre indifesa per lui è insostenibile. “Devi fare come dico io e tutto andrà bene” – le dice – “ti porterò cibo, acqua e dei vestiti puliti ogni giorno. Fidati di me, non ti preoccupare”.
I due attraversano in Vespa gli angoli più impervi a picco sul mare e trovano un rifugio perfetto, visitato solo dai gabbiani. Comincia così una caccia alla donna scomparsa da parte di tutti gli abitanti che a questo punto pensano al peggio. Passano i giorni mentre lei per farsi compagnia ascolta su mangianastri la sua canzone preferita, Bambola di Patti Pravo, in attesa del figlio e delle provviste. Quando le speranze sembrano svanite e il marito è distrutto dal dolore ritrovando un pezzo di stoffa del suo vestito sulla spiaggia, succederà un evento miracoloso, riconducibile al divino.
Emanuele Crialese, regista siciliano, riesce amabilmente a raccontare ciò che conosce molto bene: tutta l’arcana bellezza dei luoghi e delle persone a sud, insieme all’idiosincrasia della modernità che arriva a scombussolare come un tifone, gli antichi equilibri di posti remoti dove sopravvive il mito, regalandoci splendide fotografie di sguardi, profumi e colori. Premiato con un encomio speciale al Festival di Cannes 2002, il film si distingue per l’interpretazione di Valeria Golino, unica vera protagonista, a incarnare una donna dallo spirito libero e irrequieto, e per l’uso dei dialoghi in vernacolo locale, nel restituire l’autenticità dei personaggi ritratti.