Il Canzoniere di Petrarca: analisi e significati del testo

Rerum Vulgarium Fragmenta, ovvero frammenti di cose volgari, è il titolo originale dell’opera che viene comunemente chiamata Canzoniere di Francesco Petrarca. Composto tra il 1336 e il 1374, assieme alla Commedia di Dante e al Decameron di Boccaccio è l’opera di letteratura italiana che ogni scuola superiore fa studiare ai propri studenti. È uno dei caposaldi della letteratura italiana in generale e, per molti di noi, uno dei testi più belli.

Ma torniamo al titolo, Frammenti di cose volgari. Le cose volgari sono i sonetti, le canzoni, i madrigali e le ballate che con i loro contenuti formano l’opera. Volgari perché parlano di amore principalmente, a volte di guerra e politica, altre volte di amicizia. Argomenti bassi, dice Petrarca, che elevava invece a seri e autorevoli argomenti quali le vite dei grandi condottieri dell’antichità o la storia delle guerre puniche. Eppure questi frammenti di cose volgari hanno fatto la sua fortuna, hanno dato gloria al poeta aretino, e ancora oggi emozionano chi, come me, di queste cose volgari ha piena la vita.

Il Canzoniere infatti è una sorta di autobiografia. 366 sonetti, uno introduttivo e il resto per simboleggiare ogni giorno dell’anno. Una storia che apparentemente si chiude ma che in realtà rimane inconclusa. La storia di un uomo che cerca di ricomporre i frammenti della propria anima, ripercorrendo le varie tappe del suo amore per una certa Laura de Noves. Un innamorato che affronta incertezze, delusioni, che combatte con la sua stessa ragione, che torna sui suoi passi, che cerca di allontanarsi dalla sua amata ma il suo pensiero lo insegue. Questo porta alcuni a pensare a Petrarca come uno dei padri della modernità, dell’uomo moderno immerso in un mondo senza certezze, che vede il proprio cuore scisso, la propria anima lacerata e la propria mente a vivere nel regno del dubbio.

Se Petrarca veramente abbia amato Laura per tutta la sua vita, o se in realtà stesse cercando di scrivere un’opera che potesse dargli la gloria che meritava, non ci interessa, o perlomeno non è questa la sede in cui parlarne. Ciò che questo articolo vuole fare è parlare di ciò per cui tutti passiamo almeno una volta nella vita, ciò che ci dà più gioia e allo stesso tempo più dolore, ciò che riesce a occupare i nostri pensieri per giornate intere, ciò di cui ci cibiamo senza mai saziarci: l’amore. O meglio, parlare dell’amore attraverso le poesie di Petrarca. L’amore infatti scinde l’io del poeta, che al contrario cerca costantemente l’unità, e lo fa attraverso questa formidabile opera. Cerca di trovare una risposta ai propri dubbi, di ricomporre i frammenti della propria anima, un po’ come cerchiamo di fare noi, più di 700 anni dopo.

Il testo e i contenuti del Canzoniere

“Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. E’ proprio così, amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare”

Queste parole appartengono alla famosa epistola dedicata a Dionigi di San Sepolcro, facente parte della raccolta delle Familiares, e basterebbero queste poche frasi a darci un’idea dei sentimenti contrastanti che dominano l’io di Petrarca. Come abbiamo detto il Canzoniere cerca di cucire questa scissione, ripercorrendo le tappe della vita del protagonista, in particolare quella costante della vita di Petrarca che è l’amore non corrisposto per Laura.

L’opera dà prima un’idea generale della storia in cui il lettore si andrà ad immergere , poi passa per varie fasi: il momento dell’innamoramento, momenti in cui Laura si mostra aspra e dura nei confronti del suo amante, parti in cui il poeta pensa felicemente al suo amore non corrisposto, parti in cui loda la donna, in cui ne piange la morte, in cui la ricorda innamorato, in cui lotta con la propria ragione per cercare di dimenticare la propria amata, fino ad arrivare a maturare il proprio amore e a rivolgerlo non più ad una donna, ad un oggetto terreno, ma alla Vergine Maria. La storia si chiude quindi con la famosa canzone alla Vergine, che dovrebbe chiudere l’opera, risolvere il conflitto interiore del narratore.

Analizzare ogni singolo momento dell’opera richiederebbe la stesura di un libro intero, perciò prenderò in considerazione solo alcuni componimenti del Canzoniere per ricostruirne la storia. La storia di un amante che, come recita l’epistola, dice “t’odierò, se posso; altrimenti t’amerò controvoglia”.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono 
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core 
in sul mio primo giovenile errore 
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, 
del vario stile in ch’io piango et ragiono 
fra le vane speranze e ‘l van dolore, 
ove sia chi per prova intenda amore, 
spero trovar pieta, nonche perdono. 
Ma ben veggio or si come al popol tutto 
favola fui gran tempo, onde sovente 
di me medesmo meco mi vergogno; 
et del mio vaneggiar vergogna e ‘l frutto, 
 e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente 
che quanto piace al mondo e breve sogno. 

Pietà e perdono. Questo chiede Petrarca a coloro che si accingono a leggere la sua storia. L’amore per Laura è stato un errore, un errore perché lo ha distolto da cose più importanti, come la meditazione e la preghiera. Un amore che ha reso Petrarca anche lo zimbello del suo tempo. Un uomo che alla sua età continua a scrivere poesie d’amore per una donna è soltanto un lussurioso agli occhi del volgo. Insomma questo amore è un vaneggiare, un vaneggiare che porta alla vergogna, ma soprattutto, a rendersi conto che “quanto piace al mondo è breve sogno”.

È in questo verso finale che risiede un po’ tutta la contraddizione di questo amore. È un sentimento che provoca vergogna, di cui il poeta si pente, ma allo stesso tempo viene definito come un sogno, come qualcosa di nostalgico, di bello, che rima con “vergogno” ma che assuona con “suono”. Un uomo nuovo, diverso da quello innamorato regala la sua storia ai lettori, un uomo che apparentemente ha raggiunto la sua unità spirituale, ma che, come vedremo, lascia trasparire tutt’altro.

Amor con sue promesse lusingando 
mi ricondusse a la prigione antica, 
et die’ le chiavi a quella mia nemica 
ch’anchor me di me stesso tene in bando. 
Non me n’avidi, lasso, se non quando 
fui in lor forza; et or con gran fatica 
(chi ‘l credera perche giurando i’ ‘l dica?) 
in liberta ritorno sospirando. 
Et come vero pregioniero afflicto 
de le catene mie gran parte porto, 
e ‘l cor ne gli occhi et ne la fronte o scritto. 
Quando sarai del mio colore accorto, 
dirai: S’i’ guardo et giudico ben dritto, 
questi avea poco andare ad esser morto.

Laura è qui presentata come carceriera. È colei che tiene imprigionato il poeta, viene definita come nemica. Amore ha dato lei le chiavi di quella prigione in cui il poeta si affligge, in cui soffre, e da cui stanco uscirà, ma pur sempre con il nome di Laura stampato negli occhi e sulla fronte. Questo componimento appartiene alle rime cosiddette “petrose”. In cui l’amata per l’appunto si presenta dura, crudele, indifferente di fronte alle preghiere d’amore del poeta.

Petrarca dunque non presenta sempre la donna che ha le chiavi del suo cuore come una creatura stupenda, immacolata e perfetta. Laura infatti è causa e cura dei mali di Petrarca. L’amore dunque non è mai un sentimento univoco, bello o brutto, ma è sempre l’unione di due contrastanti sentimenti: l’amore per ciò che si desidera e si vorrebbe proprio, e l’odio per ciò che non vuole essere tuo e ti fugge. Shakespeare rende l’idea con altre parole: “For I have sworn thee fair and thought thee bright, Who art as black as hell, as dark as night”.

I begli occhi ond’i’ fui percosso in guisa 
ch’e’ medesmi porian saldar la piaga, 
et non gia vertu d’erbe, o d’arte maga, 
o di pietra dal mar nostro divisa, 
m’anno la via si d’altro amor precisa, 
ch’un sol dolce penser l’anima appaga; 
et se la lingua di seguirlo e vaga, 
la scorta po, non ella, esser derisa. 
Questi son que’ begli occhi che l’imprese 
del mio signor victoriose fanno 
in ogni parte, et piu sovra ‘l mio fianco; 
questi son que’ begli occhi che mi stanno 
sempre nel cor colle faville accese, 
per ch’io di lor parlando non mi stanco. 

Appartiene a quella parte in cui vengono lodate le fattezze di Laura, in questo caso gli occhi. È uno dei sonetti più belli in assoluito, non solo dell’opera ma della letteratura in generale. Lasciamo che sia il testo a parlare, a comunicare con quanta efficacia riesca a rendere la potenza dell’amore per Laura, quanto sia un “pensiero dominante” (per dirlo con le parole di un altro poeta di nome Giacomo Leopardi). Provate a pensare di essere innamorati di qualcuno che non vi corrisponde, e pensate a come quei begli occhi starebbero sempre nel vostro cuore come scintille.

Canzone 264

Dopo la canzone 70 incomincia una sorta di trasformazione nel poeta. Piano piano comincia a rendersi conto del tedio e del peso che questo sentimento gli reca, e che è necessario che egli rivolga il proprio amore altrove. Tuttavia la strada per Petrarca è ancora lunga, come testimonia questa canzone, la 264, in cui viene esposto il conflitto che ha luogo nel suo cuore e nella sua mente. Per ragioni di lunghezza metterò qui solo le parti più significative.

Che pur agogni? onde soccorso attendi? 
Misera, non intendi 
con quanto tuo disnore il tempo passa? 
Prendi partito accortamente, prendi; 
e del cor tuo divelli ogni radice 
del piacer che felice 
nol po mai fare, et respirar nol lassa. 
Se gia e gran tempo fastidita et lassa 
se’ di quel falso dolce fugitivo 
che ‘l mondo traditor puo dare altrui, 
a che ripon’ piu la speranza in lui, 
che d’ogni pace et di fermezza e privo?

Il pensiero rimprovera alla mente il suo atteggiamento di accidia, la sua mancanza di volontà di andare avanti e il suo continuare a insistere per un amore che non si realizzerà mai. Dice: sciogli ogni radice che mai potrà darti felicità e che ti toglie il respiro. Laura ormai è stanca e infastidita da queste tue insistenze, non riporre la tua speranza in amore, privo di ogni pace e fermezza.

Da l’altra parte un pensier dolce et agro, 
con faticosa et dilectevol salma 
sedendosi entro l’alma, 
preme ‘l cor di desio, di speme il pasce; 
che sol per fama gloriosa et alma 
non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro, 
s’i’ son pallido o magro; 
et s’io l’occido piu forte rinasce. 

Eppure, nonostante i tentativi, è pur sempre un pensiero dolce. In questa strofa si possono osservare, verso per verso, i contrasti che il poeta vive. Il pensiero è dolce ed aspro, la figura di Laura è “faticosa” e dilettevole, spinge il cuore col desiderio e lo nutre con la speranza. E Petrarca intanto si ghiaccia, e al contempo si infiamma, impallidisce e dimagrisce e più tenta di sconfiggere il sentimento più questo cresce.

Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno, 
quanti press’a lui nascon par ch’adugge; 
e parte il tempo fugge 
che, scrivendo d’altrui, di me non calme; 
e ‘l lume de’ begli occhi che mi strugge 
soavemente al suo caldo sereno, 
mi ritien con un freno 
contra chui nullo ingegno o forza valme

Il tempo scorrre e Petrarca continua a scrivere di altri, ha completamente perduto se stesso. Sta trascurando il suo vero compito di poeta, il suo voler diventare un grande poeta. La consapevolezza c’è, ma la luce degli occhi dell’amata frenano il poeta, che non ha armi per contrattaccare.

Ne so che spatio mi si desse il cielo 
quando novellamente io venni in terra 
a soffrir l’aspra guerra 
che ‘ncontra me medesmo seppi ordire; 
ne posso il giorno che la vita serra 
antiveder per lo corporeo velo; 
ma variarsi il pelo 
veggio, et dentro cangiarsi ogni desire. 

Questa guerra sta distruggendo Petrarca, l’amante ora è in balia della lotta tra ragione e desiderio, fra volontà di cambiare e impossibilità di farlo. E intanto il tempo scorre, il colore dei suoi capelli cambia, e con esso, vede cambiare dentro di sé “ogni desire”.

L’amore secondo Petrarca

Interrompiamo qui l’analisi dei testi del canzoniere, senza arrivare all’effettiva conversione e maturazione del poeta perché crediamo che sia lasciando la narrazione sospesa che si riesce a comprendere effettivamente quanto i significati dell’opera siano attuali e quanto ancora oggi noi stessi siamo vicini a Petrarca. Nel parlare di sentimento amoroso infatti, tutti noi, chi più chi meno, chi prima chi dopo, ci troviamo di fronte a delle incertezze, delle scelte, delle lotte. Anzi, forse l’uomo del ventunesimo secolo è proprio colui che più di tutti si trova ad avere l’animo scisso, l’io messo in dubbio da continue lotte interiori. Se pensiamo poi all’amore legato al concetto di identità, oggi quest’ultimo si fa sempre più rarefatto ed è sempre più messo in discussione. Attraverso i social network creiamo un’infinità di immagini diverse di noi, tanto che poi alla fine il nostro avatar diventa una sorta di altra persona con le nostre fattezze.

Cosa c’entra questo con quanto detto fin’ora? C’entra perché per Petrarca l’amore è un sentimento lacerante che frantuma il suo animo e la sua identità, e successivamente egli sente il bisogno di volgere lo sguardo all’indietro per ricomporre questi frammenti e per ritrovare l’unità perduta. Così oggi noi abbiamo perso il nostro concetto di identità, o meglio, ci creiamo molteplici identità, con la differenza che non siamo in grado di guardarci all’indietro per dire veramente chi siamo. Ovviamente, come diceva Rimbaud, “io è un altro” e alla domanda “chi sono?” non esisterà mai risposta. Tuttavia, nel nostro mondo di consumi, di apparenze, di amori occasionali e usa e getta, di siti ed app di incontri, i rapporti umani sono sempre più flebili, più deboli, e così lo è il rapporto che abbiamo con noi stessi.

Per Petrarca l’amore è un’esperienza alienante, lacerante, sofferente. Continuamente lotta tra il desiderio e la repulsione, tra la rassegnazione e la speranza. Da un lato cerca l’unità dell’io, dall’altro si nutre di questa passione disgregante. È consapevole del fatto che non dovrebbe lasciarsi sopraffare dai turbamenti interiori ma allo stesso tempo sceglie di lasciarsi trasportare da questi ultimi.

Noi vediamo Petrarca tutti i giorni, quando prendiamo l’autobus, quando siamo in biblioteca, quando usciamo la sera con gli amici, e soprattutto quando ci guardiamo allo specchio. Ognuno di noi, quando si innamora vive questa condizione. E se c’è chi tra voi non si riconosce in questo tipo di innamorato, allora ha ragione Baumann quando dice che che le emozioni passano, e che i sentimenti vanno coltivati.

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