Rolling Thunder Revue: Bob Dylan e l’America secondo Martin Scorsese

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Il documentario uscito di recente su Netflix e diretto da Martin Scorsese apre con successo uno scorcio su una fase della carriera di Bob Dylan, e allo stesso tempo su un momento storico americano ben preciso. Rolling Thunder Revue è il nome del tour americano che Bob Dylan tenne tra il ’75 e il ’76, ma è soprattutto una storia con più risvolti. E vale la pena affrontarli tutti.

È appena terminata la Guerra del Vietnam. Moltissime vite sono state strappate dalla Terra come fiori, molte altre sono state praticamente lobotomizzate, e i sopravvissuti, i salvati, invece, devono fare i conti con la realtà e il senso di colpa di essere vivi, mentre i suoi compagni no. Nel mentre il paese è in fermento per il suo imminente bicentenario. Un paese che, andando in Vietnam, si è lanciato in un gioco al massacro, in una roulette rossa con i proiettili tutti in canna, un paese dove tutto è possibile, il paese delle possibilità e dei sogni, ma anche il paese di Paterson dove se sei nero, è meglio che non ti fai vedere. Andateglielo a dire a Rubin “Hurricane” Carter, che è passato in un lampo da essere lo sfidante numero 1 per il titolo dei pesi medi, ad un carcerato con la matricola 45472. Un paese talmente grande e vasto, dove sembra che non ci sia posto per gli indiani d’America, nativi in quelle terre e relegati nelle loro riserve.

Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese racconta Bob Dylan | Trailer | Netflix Italia

L’America che fa da sfondo a Rolling Thunder Revue è un vero e proprio Rombo di Tuono, o meglio un tuono rotolante. Esistono diverse leggende sulla scelta di questo nome. Nell’autunno del 1975, in vista del debutto imminente del tour, mentre Dylan e la sua band stavano provando, si scatenò un temporale, e Bob vedendo il cielo che non lascia presagire nulla di buono, e udendo dei tuoni provenire da Ovest e diretti ad Est, ebbe un intuizione, un lampo per il nome del tour. Rolling Thunder Revue: la rivista del tuono rotolante. Alcuni invece sostengono che il nome Rolling Thunder Revue sia dovuto al nome in codice alla missione del 13 febbraio 1965, data in cui iniziò il bombardamento della Cambogia, da parte degli Usa.

Bob Dylan decide di partire con i suoi compagni di viaggio. Una vera e propria brigata. C’è la violinista Scarlet Rivera, amante delle spade e dei serpenti e magnetica presenza sul palco, c’è Allen Ginsberg, uno dei più famosi esponenti della controcultura americana.

C’è anche un giovane giornalista musicale del Rolling Stone che crede che un report di questa carovana che sta girando l’America potrà farlo diventare un nuovo Hunter Thompson, Larry Sloman. Un chitarrista britannico affermato, uno dei ragni di marte alla corte di Ziggy, che sarà uno dei protagonisti del sound di Bob in quella serie di concerti. Un pesce fuor d’acqua dai lunghi capelli biondi che ossigenerà il sound di Dylan, Mick Ronson. Una cantante, un’attivista e una personalità del calibro di Joan Baez che non è stata certo a guardare il suo vecchio amico Bob partire per un’avventura del genere. Un giovane drammaturgo americano, reclutato da Bob per scrivere la sceneggiatura del filmato per il Rolling Thunder, che successivamente diventerà Sam Shepard, attore, vincitore di tanti premi, e sceneggiatore di quel capolavoro di pellicola che mi ha insegnato come Paris, non sia solo la capitale della Francia, ma anche una cittadina del Texas. E tanti altri personaggi di quel circo variegato e folle che è stato il Rolling Thunder Revue, che con la sua spontaneità, voglia di fare, eccentricità ed unicità ha segnato un vero e proprio spartiacque nella musica.

Rolling Thunder Revue mostra la magia della musica e dell’arte, dove non c’è trucco o inganno. O forse sì? Consigliato ai fan di Dylan, di Scorsese, di Jack Kerouac e della settima arte in generale, ma anche a tutti gli altri. Perché è tutto vero, o quasi.

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