“Sandokan”; Marlon Brando”, il Cecato”, “Saddam”, tutti soprannomi di personaggi poco raccomandabili, con cui non è consigliabile avere a che fare.
Nel 2003, un giovane regista pugliese, Alessandro Piva, ci ha raccontato una bellissima favola urbana, riuscendo a descrivere in maniera lucidamente realistica quel mondo malavitoso di quartiere, abitato da individui capaci di gesti di incondizionata generosità ed efferata violenza in egual misura, sullo sfondo di un microcosmo dominato dalla sola legge della sopravvivenza, in nome della tipica e italianissima arte di arrangiarsi.
Mio Cognato, la sua seconda opera cinematografica, è un road movie in salsa barese, con tutti gli elementi per un film di genere ben riuscito, nello stile di una tragicommedia parecchio divertente, che non manca di far riflettere lo spettatore.
Piva affianca ai deliziosi protagonisti Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio, una schiera di attori di teatro vernacolare ed altri interpreti non professionisti, presi letteralmente dalla strada, a rappresentare tutto il piacevole e rumoroso folklore del sottobosco metropolitano di espedienti sempre in bilico con la formale giustizia. La vera colonna portante dell’intero film è Sergio Rubini, azzeccato mattatore della “baresità” sviluppata attraverso atteggiamenti, smorfie ed uno slang irresistibili.
“Mangiate, strafocatevi e pregate gli anni a me e alla mia famiglia!”
Così Toni, meglio conosciuto come O’ Professore, agente assicurativo pieno di intrallazzi, brinda coi suoi ospiti alla festa di battesimo per il figlio più piccolo. L’occasione felice viene però interrotta da un evento spiacevole, a suo cognato Vito hanno appena rubato l’automobile, proprio sotto al ristorante che da’ su una meravigliosa vista sul porto, e al suo posto vi è stato lasciato un oggetto inspiegabilmente inquietante. Un simbolo in codice che consiglia di risolvere l’accaduto lasciando la polizia fuori dalla questione, quasi un avvertimento su circostanze future. Vito, al contrario del marito di sua sorella, è un ragazzo ingenuo ed impacciato che vive in provincia, ed è ignaro di certe “pratiche” fai da te, perciò, dopo i primi tentennamenti, si convince a cercare l’auto insieme al cognato.
Questa ricerca sarà un vero e proprio viaggio iniziatico per i quartieri della città, alla scoperta di un mondo sconosciuto prima di allora, ma attraente come una calamita. Succede tutto nell’arco di una notte, una notte dove ci si imbatte in bar fumosi che nascondono bische clandestine dietro finti armadi, nonni che preparano la salsa di pomodoro con la stessa meticolosità con cui caricano una pistola, giovani amanti in attesa del loro amore segreto, la techno house a palla dentro a un’ambulanza lanciata in corsa solo per accompagnare un amico a casa, birre sorseggiate davanti a luminarie dedicate ai santi, uno stadio che pare un gigantesco disco volante parcheggiato sulla terra, presenze animalesche che passeggiano indisturbate dove non dovrebbero, la luce ipnotica di un faro sul mare Adriatico, testimone involontario di situazioni piccanti, donne appetitose come cornetti alla crema, pugni assestati con tutto l’amore di un legame familiare. Il sacro ed il profano di un luogo a Sud che esprime la sua bellezza proprio negli evidenti contrasti, mescolati dentro un connubio surrealista di progresso e tradizione.
Il mattino dopo Vito ha imparato a vivere, è più felice e anche più maturo. Rompere le regole non è poi così male, anzi è stato proprio uno spasso. Davvero sorprendente la prova attoriale del bravissimo Dino Loiacono, conosciuto dai più per il suo ruolo ne Le Battagliere, qui nella parte del padrino intoccabile. Questo dimostra come il cinema italiano contemporaneo, non abbia niente da invidiare ai caratteristi hollywoodiani ben più noti. Dopotutto questo genere lo abbiamo inventato noi, con Vittorio De Sica e Pier Paolo Pasolini e si continua oggi nella loro preziosa lezione.
L’epilogo finale ci lascia a bocca aperta nello sconcerto. Possibile che sia finita veramente così? Certo è che ne è valsa la pena vederlo.