Game Of Thrones: ecco perché l’abbiamo amata così tanto

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No, non troverete in quest’articolo annose questioni circa il finale di Game of Thrones, né teorie cervellotiche, finali alternativi o sconfinati proclami sulla fine ideale o più appropriata no. Anche se è vero, ogni fan di Game of Thrones conserva gelosamente nella propria mente il canovaccio di un finale migliore, lo ha confezionato con meticolosa cura tenendolo al riparo da quello “ufficiale” fornito dalla serie tv di David Benioff e D.B. Weiss, costruendo un destino migliore per i personaggi amati, vituperati e accarezzati per quasi un decennio.

I tempi, l’evoluzione e i destini di molti personaggi avrebbero meritato magari scelte diverse, ma se siamo stati tutti a cercare la quadratura del cerchio per una settimana, a farci venire le occhiaie svegliandoci alle tre di notte o a perdere il sonno pensando alla fretta con cui alcune situazioni sono state gestite,  è evidente che ci troviamo al cospetto di un colosso mediatico, di un qualcosa di imponente che ha saputo avviluppare in maniera serpentina i nostri pensieri e il nostro tempo, facendoci invaghire di questa serie con una carnalità e un desiderio terreno che sconfina nei fili più remoti di noi stessi.

Game of Thrones ha avuto un consenso planetario, raggiungendo la popolarità e un crisma di “autorevolezza” davvero sorprendenti. Nonostante tutto, questa serie rimane il più grande affresco umano e realistico mai realizzato negli ultimi decenni. Se si decidesse di tracciare una mappatura del sublime e del torbido che albergano nell’animo umano, dall’angelico al demoniaco, verrebbe naturale usare come riferimento il sottobosco dei personaggi di Game of Thrones.

Ora che la nostra guardia è finita, domandiamoci perché l’abbiamo amata così tanto, per salutare una serie che ci ha tenuto compagnia per più di un lustro. Valar Morghulis!


Non è una serie fantasy strictu sensu

Opening Credits | Game of Thrones | Season 8 (HBO)

Anche i novizi del fantasy, i più scettici o coloro che a questo genere non sono mai stati avvezzi, hanno provato sulla loro pelle quell’infatuazione inconfondibile tipica di Game of Thrones, che somiglia tanto agli ormoni impazziti di un quindicenne alla prima cotta.

Ok, lasciamo passare i draghi, qualche morto che non è proprio morto o qualche resurrezione sparsa, ma Game of Thrones è una serie di un realismo bruciante, tanto da far male come un’ustione pericolosissima. I personaggi sono tratteggiati con un chiaroscuro da far impallidire il più abile disegnatore, non sono stilizzati o abbozzati, nelle prime stagioni vi è una chirurgia impressionante nella costruzione delle personalità dei personaggi, come se un bisturi affilato vivisezionasse le loro evoluzioni e ce le mostrasse, come al cospetto della più spietata delle autopsie. Vi è uno scavo interiore degno di uno speleologo, che indaga la purezza e il torbido, l’angelico e la fognatura, e le scene più rarefatte e spirituali convivono tranquillamente con momenti di sesso esplicito, brutale e violento. Vi è quasi una poetica dantesca, infernale, nell’accostamento dei personaggi, nelle loro cadute negli Inferi e nelle loro espiazioni.


È un vero e proprio affresco del Realismo

Ogni personaggio porta in dote un carico di realismo che ingloba tutto il percorso umano dai primordi ad oggi, e chiunque può immedesimarsi con le albe, le notti e gli umori narrati magistralmente nella serie. Qualsiasi sentimento, dal più puro e cristallino al più tetro, basso e animalesco, è indagato e riproposto con tòpoi, tipi umani e figure intrise di humanitas e pietas virgiliane. Basti pensare al percorso di redenzione di un Theon Greyjoy, mutilato e torturato fino a diventare Reek, mutilato persino nel nome e nell’identità, che soffre enormemente per i suoi errori e passerà la vita a cercare di espiarli, o a Tyrion Lannister che paga per tutta la vita la “colpa” di essere un nano e che trova nella dialettica e nell’acume gli strumenti di riscatto, e potremmo citare l’arco narrativo di tutto la folta compagine dei personaggi di R.R. Martin, per non parlare di tutte le evoluzioni, le involuzioni, le cadute e le ascese presenti nel precipizio umano di Westeros ed Essos. 

Ogni personaggio porta con sé una porzione di spudorato realismo, e il fantasy diviene davvero un’etichetta troppo blanda e riduttiva per racchiudere tutto. Ogni sentimento umano viene sfumato, reso con contorni sudici e melmosi e poi rischiarato, in modo da far immedesimare lo spettatore, che non si sente giudicato o sotto processo nemmeno per i suoi istinti più bassi, ma vibra di una compassione che può essere provata soltanto al cospetto dei classici.


Mostra che non c’è distinzione tra Bene e Male

“Al gioco del trono si vince o si muore”, sentenzia Cersei Lannister nella prima stagione. I confini tra bene e male in Game of Thrones si lambiscono disperatamente, mostrando che anche la più nobile e pura delle idee (in teoria), il più delle volte si concretizzi in una disfatta. Daenerys Targaryen, la fanciulla che ha sofferto ad Essos, senza una famiglia, venduta come una schiava, violentata, data in sposo a un uomo che non conosceva e poi riemersa dalle ceneri di una pira funeraria con tre draghi avvinghiati al suo corpo nudo, aveva tutte le carte in regola per spezzare quella ruota che consumava il mondo, col suo roteare d’asse arrugginito. Con lei abbiamo sofferto nel deserto, abbiamo liberato schiavi e conquistato città, impressionati e influenzati dalla sua stessa stella polare, che era quella fiducia salda in se stessa e in nulla più. Ma lo stesso roteare di quella ruota che voleva spaccare, ha finito poi per insinuarsi nel suo cervello ormai consunto dall’ossessione del potere, logorato da quel trono divenuto ormai feticcio da distruggere e scomparso tra le fauci di fuoco di Drogon. Quanta melanconia, pietà e compassione di fronte alla parabola discendente di un personaggio che più di tutti ha saputo portare su di sé le cicatrici del bene e del male, mostrando come quella moneta dei Targaryen fosse la stessa faccia delle buone intenzioni e del male più puro.

Anche i rapporti familiari, in Game of Thrones, sono contraddistinti da questa inesauribile dicotomia: spesso la famiglia può diventare coacervo di sesso, incesti, di rapporti insani, oppure di non accettazione dei propri figli (uno su tutti, Tywin Lannister con Tyrion).

Ma spesso, anche se raramente, la famiglia è anche teatro di rapporti puri e profondi. Come dimenticare le parole di Sansa Stark, che al culmine della sua evoluzione da sciocca ragazzetta a Lady di Winterfell (poi Queen in the North) dirà che quando la neve cade e i venti gelidi soffiano, il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive? Gli Stark, come un branco di metalupi, si proteggono e si leccano le ferite a vicenda, in una catarsi familiare in cui si preservano tutti insieme, dal più debole al più forte. Il Male è esplorato in Game of Thrones in ogni sua accezione, da quello più evidente e palese della guerra a quello machiavellico, invisibile e macchinoso degli intrighi di potere, e qui è doveroso citare Littlefinger e il suo caos che è una scala, maestro indiscusso del gioco dei troni e del doppiogiochismo. Vi è rivalità, competizione in famiglia (vi ricordano qualcosa Catelyn e Lysa Tully?), e anche i rapporti che dovrebbero essere improntati alla trasparenza e alla limpidezza, nascondono sbavature sporche e fangose.


È un miscuglio di generi diversi

Fantasy medievale, soap opera (quasi, nell’ultima stagione ci siamo andati vicini, e anche nella settima!), e persino tragedia classica. Si raggiungono vette che ricordano il cannibalismo della tragedia classica, con Arya Stark, eroina dai mille volti e distruttrice del Night King, che con l’inganno riesce a far mangiare il corpo dei suoi figli a Walder Frey, colpevole di aver architettato le Nozze Rosse nella terza stagione. Come non pensare alla storia di Tieste, vittima della vendetta del fratello Atreo? Questi, fingendo di volersi riappacificare con lui, lo invita ad un sontuoso banchetto. Peccato che la portata principale siano i figli di Tieste che si ciba delle loro carni, completamente ignaro.


Ti permette di viaggiare comodamente seduto sul divano

Dalle immagini della Barriera con i Guardiani della Notte, fino ai lussureggianti paesaggi di Essos, dalla purezza delle acque di Alto Giardino fino al Castello Nero o ad Approdo del Re o Roccia del Drago: la geografia inventata da R.R. Martin è stupefacente, capace di proiettare lo spettatore dall’Islanda alla Spagna, da Malta fino agli accampamenti dei Dothraki. La purezza delle nevi cristalline e gelide, dei ghiacciai e delle radure selvagge, si fonde perfettamente col fuoco delle sabbie e con la vegetazione delle foreste.


Ha una spettacolare colonna sonora

Best of Game of Thrones Soundtrack: Seasons 1-6

Avete in mente la colonna sonora iniziale? Esistono poche serie tv dalla colonna sonora così maestosa, epica e monumentale, capace di farti sentore addosso quel sapore medievale e antico e di proiettarti in un mondo fantastico. Ogni pezzo, composto da Ramin Djawadi, aderisce perfettamente alle cuciture della scena e del personaggio del momento: iconica è The Rains of Castamere, motivo ammaliante e inquietante delle Nozze Rosse, oppure Light of the Seven, che accompagna in modo sadico e stuzzicante l’esplosione del tempio di Baelor a opera di Cersei nella sesta stagione, o il climax di The Night King nella famosa 8 x 3 dell’ottava stagione.

Una menzione particolare anche a Jenny of Oldstones, intarsio prezioso e memorabile, che accompagna lo spettatore verso la fine di Game of Thrones, quasi come a cullarlo con un ultimo lamento di carillon capace di ridestarlo da un sonno durato un decennio. Quel carillon ti avverte che i protagonisti della serie così come li conoscevamo sono ormai sul punto di dissolversi nelle ceneri di un’età infantile che viene sgretolata, e il risveglio verso l’età adulta è distruttivo ma necessario, quasi come in un rito d’iniziazione. 

Verso un Inverno che viene stroncato, forse troppo in fretta e repentinamente, ma la morte della Morte è l’unica cosa capace di liberare quella ruota dal suo asse cigolante.

Ma del resto, ciò che è morto non muoia mai.

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