La Nave dei Folli, il quadro di Hieronymus Bosch che arrivò a Foucault

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Nel 1494 Hieronymus Bosch dava alla luce, olio su tela, il dipinto La nave dei folli. Creazione non solo pittorica, ma anche opera letteraria – in uscita dello stesso anno del quadro – del tedesco Sebastian Brant.

La nave dei folli ha rappresentato una delle poche opere romanzesche che prese realmente vita nel corso della realtà e della storia, rivestendo una specifica funzione all’interno del contesto storico-culturale a partire dall’Alto Medioevo. Bosch, a suo tempo, aveva già alluso al fatto che – secondo determinate regole identificative di un contesto sociale come quello in cui lui agiva e creava le sue opere – le diversità subivano già un trattamento specifico. Bosch stesso, nella rappresentazione della nave, evidenziava la denuncia mossa alla decadenza prodotta dai vizi e dagli eccessi dell’uomo e alla follia di quest’ultimo.

L’imbarcazione che trasporta i personaggi grotteschi riportati rappresentano Stato e Chiesa, le due istituzioni che avevano potere decisionale sull’esistenza dell’individuo.  I folli, sono posti dall’autore sopra una nave che viaggia verso il nulla e in preda alle manipolazioni da parte dell’insorgere dell’insicurezza.  La follia diventa lo strumento implicito attraverso il quale rieducare il sistema sociale e attraverso la pittura si configura come una rappresentazione della diversità.

Hieronymus Bosch, La Nave dei Folli, 1490–1500

L’opera di Bosch aveva influenzato e ispirato non soltanto Brant dell’omonima opera o l’Erasmo da Rotterdam per la stesura del suo Elogio della follia (1511), che vedeva nella follia la perpetuazione del genere umano, ma anche un autore più recente che operò nel Novecento nell’ambito delle scienze umane attraverso l’approccio post-strutturalista, Michel Foucault. Quest’ultimo, all’interno della decostruzione delle dinamiche relazionali nelle strutture di potere, si è occupato del posto che nella società, attraverso lo scorrere della storia, ricopriva la follia e di quale trattamento essa subiva sul giudizio del contesto sociale ricevente.

La nave dei folli, conosciuta anche come Narrenschiff nella cultura europea attraverso Brant, è diventata un paradigma al fine di comprendere – in un contesto storico come l’alto Medioevo in cui la lebbra stava scomparendo – come un fenomeno sociale e culturale come quello della follia venisse percepito e trattato dalla società ricevente. Nella percezione in questione si pratica il linguaggio dell’esclusione, della marginalizzazione del diverso, del trattamento “specifico”. Michel Foucault, nella sua opera fondamentale,  La storia della follia nell’età classica (1961) dice:

“Alla fine del Medioevo la lebbra sparisce dal mondo occidentale. A partire dall’Alto Medioevo fino al termine delle Crociate, i lebbrosari avevano moltiplicato le loro città maledette su tutta la superficie dell’Europa. Ormai da un secolo il potere regio aveva iniziato a controllare e a riorganizzare l’immensa fortuna rappresentata dai beni fondiari dei lebbrosari. Queste prescrizioni sono applicate dapprima a Parigi, dove il parlamento trasferisce i provenienti in questione alle istituzioni dell’Hôpital général”.

Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, 1961 – La copertina della versione inglese

Il Narrenschiff diventa dunque un paradigma dentro il quale circoscrivere l’intenzione del non curarsi più di determinati individui, definiti come “folli” dal sistema sociale. Foucault descrive in maniera particolareggiata come – nel passaggio da un’epoca all’altra  – la nave venisse utilizzata dalla municipalità delle città al fine di liberare il corpo sociale da individui che con la nuova condizione di folle avessero il medesimo trattamento di esclusione di coloro che precedentemente, in quanto lebbrosi, venivano ugualmente esclusi poiché percepiti come diversi. Allo stesso tempo, egli evidenzia il messaggio implicito del come esso rappresenti una maniera di pensare l’idea e il concetto di follia per quel tempo.

Nel Rinascimento i folli venivano caricati su delle navi e mandati attraverso i fiumi dell’Europa verso le varie città che ne costituivano la geografia, in preda all’ineluttabilità di una condizione imposta. Bosch rappresenta questa mancanza di umanità da parte del corpo sociale e decisionale, in un periodo in cui ancora non si era dipanato totalmente la logica del grande internamento di cui Foucault parla in epoca strutturalista. Infatti, nel quadro, l’albero della nave riporta una bandiera con sopra disegnata una mezza luna, che per i critici porta il significato di speranza. Una speranza che non poteva certamente essere presente in uno storico e analista delle relazioni di potere come Foucault, il quale scorgeva nel trattamento del folle e nel grande internamento elementi segnici che rimandano alla repressione sociale.

Però, in Storia della follia nell’età classica (1961), Foucault sostiene come non sia possibile leggere il Narreschiff unicamente come un qualcosa che ha – per un’utilità sociale – il fine del preservare il corpo dei cittadini. Cosa che potrebbe capitare, invece, fermandosi di fronte all’interpretazione e analisi unicamente del quadro di Bosch. Esso assume un significato rituale che rappresenta il passaggio ipotetico da una condizione iniziale – che vede il folle peregrinare incontrastato per le mura delle città – ad una condizione altra che sarà la dimensione della nuova città che accoglie e ri-tratta l’individuo.

La nave dei folli rappresenta dunque, quella concretizzazione pratica e materiale di quell’universo correttivo di cui ne tesse le radici Foucault, ovvero quel mondo che pratica un costume che si basa su una “eliminazione” del diverso. Nel momento in cui il folle, a bordo di una nave, peregrina verso mete ignote, si ritrova in una ineluttabile e repressiva condizione dell’esistenza, in cui il soggetto scompare e la realtà oggettivante ne prende il posto. Una realtà che oggettiva il destino di quegli individui, i quali, vittime della follia, rientrano nella medesima categoria dei morti, ovvero di coloro che non possono essere giudicati razionalmente.

La nave dei folli è tutto questo in una cultura lontana dalla nostra, un segno di un mondo che – ancor prima che la medicina nel Settecento si appropriasse totalmente della follia – vedeva il folle come un essere da manipolare nell’atroce autolegittimazione da parte del corpo sociale di fronte alla millantata salvaguardia della sanità dei cosiddetti “civili”. Le radici di ciò che fu il grande internamento e le nascite delle rispettive cliniche e dei rispettivi carceri, fino a giungere al Panopticon di Bentham, sono da localizzare nel contesto storico analizzato da Foucault, un contesto che gettò le basi culturali per la separazione totale e assoluta dal diverso e per il dipanarsi di un concetto di disuguaglianza fondato sul disumano.

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