Coffee and Cigarettes: il grande cinema surreale di Jim Jarmusch

Quand’è che siamo diventati così ignobilmente salutisti, tra alimentazioni a limite della sopportazione umana, tofu anche per i nostri animali domestici e soprattutto l’addio ai nostri cari “vizietti”? Per quanto sia accertato che facciano male, forse ci rendevano più umani rispetto ai nuovi concetti del politicamente corretto, che fanno covare sotto la sabbia rabbia e frustrazione.

È di questo che in fondo parla il film di Jim Jarmusch: il piacere di gustarsi una sigaretta ed un caffè parlando del più e del meno con un’aurea di surrealità che sfonda quasi le pareti dell’onirismo.

Il progetto ha avuto una gestazione di quasi venti anni, ma già dagli albori, con il contributo geniale di Roberto Benigni, sviluppò ulteriormente l’idea. In seguito il comico italiano parteciperà ad un altro film del regista di Akron: Daunbailò, altra opera di nicchia che riscosse all’epoca un buon successo.

Coffee and Cigarettes Official Trailer #1 - Steven Wright Movie (2003) HD

In un bianco e nero delle origini per il cineasta americano, il film ottiene maggiore densità e coscienza avveduta, tracciando delle linee esistenziali non indifferenti. Lo stile “indie” del regista, che se oggi non fosse così tanto un termine stra-abusato risulterebbe come un complimento, si evince anche dalla colonna sonora, con brani dei suoi grandi amici Iggy Pop e Tom Waits. I due musicisti sono anche protagonisti di un episodio, Somewhere in California, conversando amabilmente di Gianni e Pinotto e musica, e fruttandogli anche una Palma d’Oro al Festival di Cannes.

L’incomunicabilità in alcune conversazioni fa riflettere sulla nostra società, che vive e rivive dei fasti del passato, ricordando la Parigi degli anni Venti o la New York degli anni Settanta, tra il mitico Studio 54 e la Factory di Andy Warhol. Lo spettatore, anche se tenuto quasi ai margini dalla pellicola, percepisce una collettività stranita e senza una direzione d’arrivo, quasi come il prologo de L’Odio di Mathieu Kassovitz, dove Hubert parla di problemi di cadute ed atterraggi, mettendo nuovamente a nudo una umanità che non guarda più di tanto al futuro, avendone paura e pescando a piene mani dal presente senza il ben che minimo scrupolo.

La serie di cortometraggi (ben undici) che compongono questa opera stralunata ma non priva di fascino sono quasi paragonabili ad un concept album o addirittura ad un’opera letteraria. Jarmush, infatti, ci dona quei piccoli sapori di una conversazione con uno sconosciuto parlando apparentemente del niente, dove in fondo ci riconosciamo quasi tutti, dalle piccole angherie verbali alle domande esistenziali. La differenza la fanno come sempre i personaggi però, richiamando la fumosità dell’esistenza ed alcuni illogici comportamenti della natura umana, comprendendo un potpourri di attori di prim’ordine, congiuntamente ad alcuni musicisti, che oltre ad i sopracitati includono Jack White e Meg White dei White Stripes e RZA e GZA, precursori di un certo tipo di hip hop agli inizi degli anni Novanta con il collettivo Wu-Tang Clan. Come non citare Steve Buscemi, che già allora da cameriere non riceveva mance, ed in futuro “tarantinamente” parlando neanche proverà a concederle, oppure un nevrotico Bill Murray che cerca di non essere riconosciuto, facendola da padrone nel cinema alternativo americano.

L’esperimento è certamente riuscito, perché è proprio l’apparente semplicità delle storie ad intrigare un certo tipo di pubblico, pregustando l’odore di un caffè appena fatto o di una sigaretta fumata con calma e parsimonia. La camera del regista, con la sua inquadratura fissa, sa cosa cercare nei frammenti di parole, del tempo che in sordina ci scorre sulle spalle. Il tipo di opera che un’astante può aspettarsi da questa pellicola, possiede un gusto di fare cinema apparentemente omesso e scomparso, che sopravvive però con tenacia ed arguzia, rispecchiando, nonostante la miriade di social, e strumenti che con questo aggettivo non hanno nulla a che fare, una voglia pura da parte delle persone di incontri e scambi con il prossimo, tamponando l’ansia tutta moderna dell’avvenire.

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