Claudio Lolli è stato davvero la voce della sua generazione: difficile ai compromessi, ha scritto pagine gloriose della canzone italiana, che non sempre l’ha capito e voluto.
Se n’è andato a 68 anni l’eterno cantautore “contro”, il musicista che odiava la banalità, il poeta controverso, lo scrittore impegnato: Claudio Lolli è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari e dei tantissimi che non hanno mai dimenticato uno dei personaggi più veri e originali della nostra scena musicale.
Il suo primo album fu Aspettando Godot, che pubblicò nel 1972 dopo essere entrato nella scuderia della EMI (grazie all’amico di sempre Francesco Guccini).
Seguirono Un uomo in crisi e Canzoni di rabbia, che mettevano a fuoco i temi cari al cantautore e si soffermavano sulla guerra, sulle contraddizioni sociali dell’Italia, sulla politica.
L’affermazione arrivò nel 1976 con Ho visto anche degli zingari felici, che miscelava un’attenta analisi degli eventi degli anni di piombo a sfumature jazz e progressive inusuali in un contesto come quello cantautorale.
Il successo dell’album si deve anche alla trasmissione delle radio libere, che proprio in quegli anni vissero il loro momento di gloria.
La carriera di Claudio Lolli proseguì negli anni ’70 con Disoccupate le strade dai sogni (l’epitaffio sul Movimento del ’77), che ebbe scarsa fortuna commerciale. In molti lo aspettavano al varco e le porte della discografia si chiusero per lui per il resto del decennio.
Tornò negli anni ’80, quando visse un’ultima parentesi di popolarità con Antipatici Antipodi, per poi allontanarsi progressivamente dalla ribalta, non abbandonando mai l’impegno politico e la musica e venendo riscoperto negli anni successivi dalla nuova generazione di musicisti.
Nel 2017 aveva ottenuto la Targa Tenco nella categoria «Miglior disco dell’anno in assoluto» con l’album Il grande freddo, realizzato grazie a una campagna crowdfunding.
La vittoria lo aveva ripagato dopo anni di assenza dalle scene, a conferma di quanto il talento non fosse mai venuto meno, ma costretto a rincorrere strade alternative per poter essere messo su disco.
La sua assenza di retorica, la sua disarmante e controproducente convinzione negli ideali che cantava, il suo essere sempre e comunque controcorrente (fregandosene delle conseguenze) sono l’eredità che si lascia dietro.
Scrisse nella sua canzone più celebre “riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza”, invito a cogliere la speranza nella libertà e nel coraggio di vivere.
Claudio Lolli era questo, l’interprete degli ideali, sogni, dubbi e utopie di una generazione. E anche di più di una.