Il suicidio nell’era dei social: il caso Anthony Bourdain

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Anthony Bourdain: chef, scrittore, viaggiatore instancabile, cittadino del mondo. Una vita da bon vivant a cui è stata apposta la parola fine troppo presto, con un suicidio inaspettato in una camera d’albergo a Kaysersberg, in Francia, a 61 anni. Su di lui è stato scritto molto, e il seguente articolo non vuole essere l’ennesimo approfondimento sulla sua carriera, quanto uno spunto di riflessione.

Nel video, tratto da un episodio di Parts Unknown, il programma della CNN che documentava i viaggi divulgativi di Anthony Bourdain, si consuma il rito usuale della convivialità gastronomica e delle chiacchiere che vanno in profondità, in questo caso con un “maledetto” della musica rock, il cantante Mark Lanegan. Perche anche Bourdain era, a modo suo, un “maledetto”, un rocker ai fornelli dal passato difficile.

I viaggi di Anthony Bourdain non sono rassicuranti, politically correct, come possono esserlo quelli di altri viaggiatori seriali come Michael Palin o Michael Portillo. In molte scene di Parts Unknown emerge un velato alone di malinconia, a esaltare la qualità contemplativa del viaggio, quei momenti di riflessione e le insicurezze che investono tutti gli animi inquieti che trascorrono gran parte della loro vita in movimento, in transizione. Nello specifico, in questo episodio ambientato a Seattle, vediamo Bourdain che rolla uno spinello e se lo gode in silenzio osservando lo Stretto di Puget, sulle note perfette di Strange Religion di Lanegan. E sul finale, ancor più d’effetto, lo chef è seduto al bancone di un bar a bersi una birra, da solo, con la nonchalance di chi lo ha fatto tante volte, di chi ha bevuto in parecchi bar assorto nei suoi pensieri disincantati.

Certo, è pur sempre un programma televisivo, scritto anche molto bene, ma la ragione per la quale in tanti nel mondo hanno reagito così male al suicidio di Bourdain è che grazie ai suoi documentari si è imparato molto, e noi spettatori eravamo dei privilegiati, in un certo senso. La sua vita, quasi trecento giorni all’anno in viaggio. È stato come farne parte.

Ad accrescere questo senso di inclusione, anche la presenza di Anthony Bourdain sui social network, specialmente su Instagram. Tante foto di piatti prelibati, di scenari mozzafiato e incontri importanti. E poi le Storie, quei video che si auto-eliminano nel giro di ventiquattro ore, in cui si condividono attimi delle proprie giornate. Gli attimi di Bourdain consistevano molto spesso in camere d’albergo, corse in taxi, paesaggi in movimento. E qualche volta strade affollate, lui che camminava tra la gente di qualche metropoli, con un sottofondo musicale ben studiato.

Traspariva forse una sorta di amarezza latente, un’ombra di solitudine: un controsenso, nel caso di un personaggio in vista come lui. Oppure no? Non sapremo mai cosa passa per la testa di chi decide di porre fine alla propria esistenza. Tuttavia, in tanti fanno congetture, sparano sentenze. Esplorando più a fondo i meandri della rete, ci si imbatte in misteriosi account che tentano di spiegare al mondo il motivo del suicidio di Anthony Bourdain, sempre sul filo del voyeurismo. Spesso con un accanimento tale da risultare irreale, come se queste persone fossero state amici o parenti stretti dello chef, come se si fossero trovate nella sua stessa stanza in Francia nel momento del triste epilogo. Una vita privata che non è più tale: o meglio, diventa proiezione di quello che gli utenti social pensano ed esprimono.

La morte sui social diventa una piazza pubblica dove tutti possono osservare il cadavere: l’ultima foto scattata da Bourdain su Instagram a un piatto di carne, che rimarrà lì per sempre a suggellare la sua esistenza; i commenti di chi lo ricorda, di chi è incredulo, di chi insulta Asia Argento (che è stata la sua inseparabile partner in questi ultimi anni). Ci sono questioni che dovrebbero riguardare esclusivamente la vita privata delle parti coinvolte. L’orrore della vicenda non ha a che fare con il modo in cui una persona elabora un lutto (Asia Argento che decide di confermare la sua presenza a X Factor due giorni dopo la morte del compagno), o con le foto che insinuano qualcosa di cui nessuno potrà mai conoscere i retroscena (sempre la Argento paparazzata insieme a un altro uomo). L’orrore è quel demone che Bourdain non è riuscito a sconfiggere. Ed è anche la morbosità di tanti individui, il voler ridurre la morte a un triste passatempo, associandola ai post pubblicati e poi cancellati su Instagram, ai follow e agli unfollow, alla caccia al commento compromettente. Una sorta di giallo dozzinale scritto su pagine virtuali.

Rimane, purtroppo, il vuoto incolmabile lasciato da una persona libera, open-minded per davvero.

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