Low Roar: un album in cui perdersi e ritrovarsi

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Trovare un album che non stanchi mai, che possa essere ascoltato 24 ore su 24 e che sia perfetto sotto ogni suo aspetto, è molto difficile. Una discografia impeccabile, coerente all’idea iniziale e per nulla scontata, sembra praticamente impossibile. Magari prima del 1967 era più semplice, ma sicuramente dopo l’uscita di The Velvet Underground & Nico – nel campo della sperimentazione –  le aspettative si sono alzate, e sfidiamo chiunque a dire il contrario.

Low Roar è un progetto solista nato nel 2011 in Islanda, per opera di Ryan Karazija, un musicista di origine californiane precedentemente membro di una band indie rock. Nello stesso anno di fondazione pubblica il suo primo album come solista: Low Roar (2011). Un album dalle sonorità particolari, in cui si possono ancora intravedere le influenze precedenti, quelle dell’indie rock mescolate alla musica elettronica e all’electro ambient. La sperimentazione e la voce come contorno sono la base di questo progetto, per 55 minuti ci sembrerà di stare insieme a Ryan, nella sua abitazione islandese, in sua compagnia ma allo stesso tempo da soli, perché è questo quello che provò quando si ritrovò dall’altra parte del mondo, senza punti di riferimento, senza l’unica ancora per chi intraprende un cambiamento così significativo: la lingua.

Low Roar - Give Up

Give Up (abbandonare), Just Habit (solo abitudine), Nobody Else (nessun altro), questi sono i titoli dei tre brani scelti per introdurre la sua autobiografia musicale. Il suo lasciapassare per ottenere 55 minuti di compagnia, quella di chi ascolta, e allo stesso tempo una testimonianza in cui racconta quanto aiuti la musica  a superare determinati momenti, e quanto allo stesso tempo questi momenti siano indispensabili per far pace con se stessi e per riflettere sulle proprie scelte.

Un piccolo dolce ruggito per alleggerire le nostre giornate.

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