I Caravan, il prog rock di Canterbury e le origini di Waterloo Lily

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A 16 anni ero nel pieno della mia formazione musicale. Dopo aver vissuto la mia personalissima Beatlemania, mentre tutti i miei coetanei erano in delirio per gli eroi del grunge (Kurt Cobain ed Eddie Vedder su tutti), si abbandonavano allo sconforto totale sulle note dei Radiohead di Thom Yorke oppure prendevano posizione nella guerra tra Oasis e Blur, il sottoscritto, sempre in ritardo, scopriva le gioie del progressive rock. Poco alla volta, cd dopo cd, cominciai a collezionare acquistandole in rigoroso ordine cronologico le discografie di Genesis (quelli dell’era Peter Gabriel), King Crimson, Jethro Tull, Pink Floyd, Camel, Gentle Giant, Yes e tanti altri. Non disdegnavo d’altra parte il glorioso prog italiano: il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi, le Orme… unica regola: che fossero dischi usciti nel glorioso quinquennio 1969-1974. Dopo quelli dei Beatles, tutti questi album diventarono il secondo pilastro che ha plasmato i miei gusti in fatto di musica.

Se però devo scegliere il gruppo che ho amato maggiormente in quegli anni, non avrei esitazioni e farei sicuramente il nome dei Caravan.

Nacquero nel 1968 dalle ceneri dei gloriosi Wilde Flowers, la band seminale della scena di Canterbury, quel sottogenere del progressive che nacque nella contea del Kent a metà anni ’60.

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Nei ranghi dei Wilde Flowers si può dire che passarono tutti: Robert Wyatt, i fratelli Brian e Hugh Hopper, Kevin Ayers…  La band non pubblicò alcun disco, esistono soltanto alcune registrazioni quasi amatoriali pubblicate qualche anno fa, ma partorì due gruppi destinati ad un successo ben maggiore: i Soft Machine e appunto i Caravan, che nacquero nel 1968 con una lineup molto simile all’ultima incarnazione dei Wilde Flowers: Pye Hastings (chitarra e voce), Richard Sinclair (basso e voce), Dave Sinclair (organo), Richard Coughlan (batteria).

Ci sono due album che spiccano nella loro discografia, pubblicati rispettivamente nel 1971 e nel 1972. Il primo è In the Land of Grey and Pink, considerato unanimemente il loro capolavoro.

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Il Grigio e il Rosa del titolo sono i colori del cielo del Kent, quelli che Richard Sinclair ammirava al tramonto nel villaggio di Graveney, nelle pause delle prove ai tempi dei loro esordi.

Amo la copertina, che mostra un paesaggio ispirato ai mondi di Tolkien: è opera di una certa Anne Marie Anderson, di cui però su internet non si trovano notizie. Joe McGillicuddy si occupò dell’artwork di questo album con la sua ROC Advertising, e si avvalse in più occasioni dell’apporto di Anne Marie Anderson: la talentuosa illustratrice purtroppo morì per un’overdose a soli 24 anni.

In the Land of Grey and Pink contiene una suite di 22 minuti che occupa l’intero lato B (Nine Feet Underground, intitolata così perché Dave Sinclair la compose quando viveva in un seminterrato) e altri brani eccellenti, come Golf Girl e Winter Wine. Ascoltare per credere…

L’anno successivo uscì Waterloo Lily. Al posto di Dave Sinclair, che lascia per entrare nei Matching Mole di Robert Wyatt, alle tastiere arriva Steve Miller, che porta un tocco di jazz e di improvvisazione che rimanda ai Traffic e in qualche passaggio al Miles Davis di Bitches Brew. Il volume del basso di Richard Sinclair sale notevolmente ed è una gioia per le orecchie seguire le linee melodiche che disegna (ascoltate ad esempio Nothing At All). Intervengono come ospiti Lol Coxhill e Jimmy Hastings, il fratello maggiore di Pye, che regalano assoli di immensa bellezza. Con “Waterloo Lily” i Caravan perdono un po’ della grazia sognante dell’album precedente, diventano più ruvidi e aggressivi ma il livello rimane altissimo.

The Love in Your Eye è il brano più lungo del disco: parte melodioso e tranquillo, per poi esplodere in una forsennata cavalcata, con al centro un magnifico assolo di flauto di Jimmy Hastings. Il canale YouTube della band ha una versione live di questo pezzo con la formazione successiva a quella dell’album (durata lo spazio di pochi mesi), con Derek Austin all’organo e Stuart Evans al basso.

La canzone che da il titolo all’abum, Waterloo Lily, ha un testo intrigante e racconta di una prostituta londinese decisamente in carne, che lavora dalle parti di  Piccadilly.

“Waterloo Lily’s got enough to turn us all on
Got a bra to fit a car
A port upon her back you warm your feet on

A corset keeps her in
So when you pull a string it lets it all out
Lily Waterloo, Piccadilly blue”

Per la copertina del disco, invece, fu scelta un’incisione di William Hogarth, proveniente dal ciclo intitolato A Rake’s Progress: un racconto morale che descrive in otto dipinti eseguiti nel 1733 la storia di Tom Rakewell, un giovanotto che eredita una fortuna alla morte del padre e che la perde in pochi anni, percorrendo la pericolosa strada del vizio. Soane comprò la serie di quadri ad un’asta di Christie’s nel 1802.

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È il terzo dipinto quello che i Caravan hanno deciso di adottare per Waterloo Lily. Tom Rakewell è in un bordello, la Rose Tavern di Covent Garden che sarà smantellata nel 1776, ed è evidentemente ubriaco. Le prostitute hanno delle macchie nere sul viso, a coprire le piaghe causate dalla sifilide. Due di loro, approfittando dello stato dell’uomo, lo stanno derubando dell’orologio che segna le 3 di notte. Dietro di loro una donna di colore. Accanto a loro un’altra prostituta sputa del gin all’indirizzo di una compagna, mentre una coppia amoreggia incurante. Sullo sfondo una donna sta dando fuoco ad una grande carta geografica che reca la scritta “Totus Mundus”. Alle pareti le immagini di imperatori romani, tutti con il volto strappato eccetto quello di Nerone. Una cantante, incinta, intona una ballata sconcia e volgare. Insieme a lei c’è il cameriere del locale, famoso a quanto pare per la forza delle sue costole, che spesso metteva alla prova facendoci passare sopra le ruote di una carrozza. In primo piano si sta spogliando una donna, che a breve si esibirà: alla luce di una candela ballerà nuda su un grande piatto posto al centro del tavolo. È lei la Lily dei Caravan.

Interpellato sulla genesi di questa copertina, Joe McGillicuddy non ricorda di chi fu l’idea, se fu sua o della band. Ricorda però che ricavò l’immagine da un libro d’arte che possedeva. Purtroppo non è stato in grado di ritrovarlo, dopo tanto tempo. Chissà se un giorno spunterà fuori dalla sua soffitta…

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