E se tutto (noi compresi) fosse un computer?

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C’è una teoria che prende piede gradualmente sempre più negli ultimi anni, supportata da personalità sempre più autorevoli e avvalorata da saggi e scritti tecnici sempre più completi. Uno dei tanti scritti a riguardo, forse il più intrigante, è questo articolo scritto da Paul Austin Murphy, scrittore e filosofo, edito sulla rivista inglese Philosophy Now. L’analisi di Murphy – che potete leggere qui – muovendosi tra matematica e fisica, ci restituisce una prospettiva tanto affascinante quanto fantascientifica, la domanda retorica che si pone è: e se tutto (noi compresi) fosse un computer?

Partendo dalla definizione di computer – per Murphy tanto vaga quanto ampia – scopriamo che parecchi studiosi nel campo dell’Intelligenza Artificiale considerano le molecole come dei computer. Più precisamente: “Sostengono che le molecole siano sistemi fisici chiusi che eseguono un calcolo. Vale a dire, le molecole elaborano delle informazioni: ricevono input, lavorano sull’input ricevuto e quindi producono output.”  A tal proposito viene d’aiuto a Murphy una rappresentazione del DNA come Macchina di Turing. Com’è composta approssimativamente la Macchina di Turing?

turing

Innanzitutto dalla presenza di un nastro suddiviso in celle dove ognuna di esse è in grado di contenere un simbolo da un insieme finito di alfabeti. Una testina in grado di spostarsi da sinistra a destra attraverso il nastro così da leggere gli alfabeti, un registro di stato che memorizza lo stato della macchina e infine una tabella di istruzioni che in base allo stato della macchina e all’alfabeto sulla cella dove la testina sta leggendo, esegue una serie di azioni predeterminate. Se compariamo questi elementi alle cellule biologiche possiamo metterle in relazione alla macchina di Turing:

Nastro <=> DNA
Testina <=> Ribosomi
Registro di Stato <=> RNA
Stato <=> Amminoacidi
Tabella di istruzioni <=> Tabella di codifica codoni del DNA
Nastro di output <=> Proteine
(Per informazioni più dettagliate è possibile consultare l’articolo di Anand Mallaya sull’argomento a questo indirizzo)

Giungiamo dunque così alla teoria del pancomputazionalismo, teoria filosofica secondo la quale tutti i processi fisici della natura sono forme di calcolo. Ed è qui che il tutto diventa ancora più affascinante: se questa teoria secondo cui l’evoluzione dell’universo è un calcolo allora Dio sarà sicuramente un programmatore di computer.

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Per Murphy dunque, bisogna porsi un ulteriore problema riguardante la vaghezza delle parole: cosa possiamo definire computer e cosa no? La soluzione – in parte – è l’ammettere che il cervello sia un computer, datosi il fatto che realizza calcoli. Tuttavia: “Non è importante che una mente sia tale da eseguire calcoli. Oppure può essere importante anche se solo nel senso che ogni mente umana può eseguire lo stesso tipo di operazioni che un PC può fare.” o ancora come lo definisce il filosofo americano Hilary Putnam: “qualsiasi sistema aperto ordinario realizza qualsiasi automa astratto e finito”. 

Il filosofo statunitense John Searle, autore tra le altre cose dell’esperimento mentale della Stanza Cinese, atto a smentire la tesi che i computer siano delle vere e proprie menti in grado di pensare come l’essere umano, scrive a riguardo nel suo saggio Il Mistero della Conoscenza: “La finestra di fronte a me è un computer molto semplice. Finestra aperta = 1, Finestra chiusa = 0. Cioè, se accettiamo la definizione di Turing secondo cui a qualsiasi cosa al quale è possibile assegnare uno 0 e un 1 è un computer, allora la finestra è un computer semplice e banale.”

Abbiamo dunque due tipi di sostenitori: chi sostiene che il cervello, talvolta, si comporti come un computer e chi sostiene che il cervello umano sia letteralmente un computer. La prima di queste due teorie è sostanzialmente perseguibile: d’altronde il processo di elaborazione dei neuroni del cervello è parallelamente simile agli input elaborati dai logic gates di un microchip. Murphy dunque si pone ulteriori domande: quanto sono simili i cervelli umani e i computer quando si tratta di elaborare compiti complessi? Da dove viene l’idea che il cervello sia un computer?

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Bisogna analizzare i collegamenti tra modelli matematici, cervello e computer, andando ad invadere il terreno degli studiosi dell’intelligenza artificiale, secondo Murphy ansiosi di dirci: “che i fisici hanno creato modelli accurati di tutti gli aspetti della realtà fisica e che questi modelli sono necessariamente di natura matematica”. Conseguenzialmente questi modelli sono calcolabili, dunque un computer può modellare e calcolare l’intera realtà fisica, incluso il cervello. In definitiva dunque, una volta descritti matematicamente tutti i meccanismi del cervello, un computer ne potrebbe modellare i processi cerebrali: questo renderebbe il cervello un computer. Altri studiosi invece parlano di simulazione anziché di modellamento.

Murphy elabora quindi una logica conseguenziale di entrambi gli approcci:

  1. Tutti gli oggetti fisici possono essere simulati o modellati matematicamente
  2. Il cervello è un oggetto o un sistema fisico
  3. Dunque può essere simulato o modellato matematicamente
  4. Il cervello è un computer

La chiave di volta è la frase di John Searle citata poco sopra: la finestra che prende come esempio è calcolabile digitalmente e alcuni sottoinsiemi del suo comportamento sono il comportamento di un computer: ma ciò non la rende un computer! Procedendo di questo passo – e definendo qualsiasi elemento fisico computer – finiremo per essere risucchiati in un vortice senza fine, dopotutto un computer per essere tale elaborare input per creare output e non deve essere semplicemente calcolabile.

Riconoscere che ogni cosa è un computer può portare a dedurre che ogni cosa è programmabile. Persino noi. Da questo presupposto hanno origine molte delle teorie che sostengono che stiamo vivendo in una simulazione. Una delle speculazioni più complete o sorprendenti è quella del filosofo Nick Bostrom, che fondamentalmente si riassume in questi termini:

  • Se crediamo che l’umanità non sarà mai interessata o in grado di dar vita a realtà simulate complete (ipotesi pessimistica), allora la probabilità che viviamo in una simulazione è vicina a zero.
  • Se invece crediamo che il progresso tecnologico un giorno ci renderà in grado di creare realtà simulate, allora un giorno ci saranno innumerevoli realtà simulate, assolutamente indistinguibili da quella reale.
  • In uno scenario in cui esistono innumerevoli realtà simulate e una sola realtà “originale”, la probabilità che noi viviamo in una delle simulate è numericamente vicina al 100% (ossia quasi certa).

L’analisi di queste teorie ci apre nuovi punti di vista, e probabilmente non siamo ancora completamente pronti alle implicazioni. In un mondo dove l’intelligenza artificiale sta prendendo il sopravvento, è ancora necessario aggrapparsi allo strumento di conoscenza più sicuro e reale: la nostra mente.

 

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