L’arma più forte: come il regime fascista manipolava il cinema

Il fascismo sin da subito si è presentato come sistema totalitario e in quanto tale, progressivamente, ha cercato di influenzare, condizionare, plasmare, penetrare ogni aspetto della società di quel periodo che lo ha visto protagonista, nonostante le opposizioni democratiche. Al fine di procurarsi il consenso del popolo italiano, di promuovere entusiasmo e adesione negli italiani, soprattutto in quelli delusi dalle sorti della prima guerra mondiale, il regime fascista usò ogni mezzo, dalla propaganda alla costruzione dell’ immagine del potere, dalla creazione di occasioni di partecipazione alla vita pubblica fascista alla necessità di uniformare, di identificare, magari anche con la forza, il singolo con il collettivo.

Nel 1922 Mussolini afferma pubblicamente che il cinema è “L’arma più forte dello Stato”. Il duce aveva intuito l’importanza dell’ immagine per fare presa sul popolo, per identificarlo con il regime e con se stesso, per diffondere in Italia ed esportare all’estero l’immagine vincente di un’Italia fascista. L’intento era di sfruttare la possibilità di modificare la percezione del presente parlando del passato. Gli strumenti necessari per realizzarre questa sua nuova volontà erano il cinema e i suoi operatori. La storia, non per volontà dei professionisti del settore cinematografico ma per volontà della macchina fascista, divenne uno dei soggetti più ambiti per le produzioni cinematografiche, perchè facilmente si piegava allo sviluppo di una propaganda che possiamo chiamare indiretta.

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Dal 1930 al 1943 in Italia sono stati prodotti circa 772 film; di questi sono classificabili come film di propaganda indiretta o diretta circa un centinaio, con netta prevalenza della propaganda indiretta su quella diretta. Una propaganda, quella cinematografica, sempre presente in quelle che sono state le varie fasi di cambiamenti del regime, che ripetutamente ha emulato la storia d’Italia, partendo dalla romanità, proseguendo nel Medioevo, nel Rinascimento, nel Risorgimento, fino alla Prima Guerra Mondiale.

Queste attente analisi e ricostruzioni dei fatti storici di quel periodo li troviamo in un interessante libro scritto dal regista Andrea Giuseppe Muratore dal titolo “L’arma più forte: censura e ricerca del consenso del ventennio fascista”. Un libro consigliato per poter capire come la cinematografia ha svolto un ruolo importante per la manipolazione delle masse. Vengono prese in considerazione l’utilizzo che il regime fece della macchina cinematografica per generare consenso tra la popolazione italiana, e per fare ciò fu assolutamente necessario accostarsi all’analisi di alcuni film e all’importanza del messaggio da questi generato.

Possiamo comprendere la stretta relazione che si era creata tra il regime fascista e il cinema. Utile per meglio conoscere la situazione in cui si trovava l’Italia nel periodo compreso tra gli anni ’20 e la seconda metà degli anni ’40. Anche per capire come i continui cambiamenti e le frequenti evoluzioni all’interno del regime inducessero Mussolini a cambiare, oltre che l’indirizzo del regime stesso, anche il senso della storia e di come questa dovesse essere raccontata all’interno del film.

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L’autore esamina inoltre i più importanti film dell’ epoca fascista come: Camicia Nera, regia di Giovacchino Forzano (1933); Vecchia guardia, regia di Alessandro Blasetti (1934); Scipione l’africano, regia di Carmine Gallone (1937), Ettore Fieramosca, regia di Alessandro Blasetti (1938); 1860, regia di Alessandro Blasetti (1934); L’assedio dell’ Alcazar, regia di Augusto Genina;

Studiare i film realizzati all’epoca del fascismo è quindi utile non solo ai fini della conoscenza della tecnica utilizzata per la produzione degli stessi, ma anche e soprattutto perchè i medesimi sono la testimonianza visibibile degli strumenti allora utilizzati per acquisire consenso politico.

Quello presente nel cinema fascista era comunque un mondo lontano dalla realtà, un mondo in cui correnti culturali e di pensiero venivano a trovarsi emarginate, se non addirittura perseguite, e gli artisti erano tollerati soltanto se esprimevano simpatia per l’estetica fascista o si disinteressavano della vera realtà, sfera riservata soltanto alla politica mussoliniana. Oltre a presentarsi come un sistema che produce denaro, i film prodotti rappresentavano uno strumento di consenso, di propaganda e di formazione.

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