Donovan, uno dei più grandi artisti dei Sixties. Folksinger dalla sensibilità unica, scoprì una via alternativa a quella di Dylan con alcune canzoni dallo spirito fanciullesco, capaci di sfiorare vertigini metafisiche. Iniziatore della rivoluzione psichedelica, portò la musica e le filosofie indiane nella cultura pop influenzando Beatles, Led Zeppelin e Pink Floyd per citarne alcuni. Fu anche uno dei pochi a credere veramente ai valori positivi del Flower Power. Continuò sempre a cantare di un regno incantato, in cui l’innocenza e la fragilità possono redimere l’uomo.
Hurdy Gurdy Man, uno dei suoi capolavori, è recentemente tornato alla ribalta essendo stato scelto come sigla della seguitissima serie Sky Britannia. Una canzone dove Donovan racconta come vorrebbe il mondo (i primi brevi versi) e come questo è veramente (il resto della canzone).
Thrown like a star in my vast sleep
I opened my eyes to take a peek
To find that I was by the sea
Gazing with tranquility
“Gettato come una stella nel mio vasto sonno,” canta Donovan con voce sommessa accompagnandosi delicatamente con la chitarra acustica, “apro gli occhi per dare una sbirciatina e mi scoprire vicino al mare che guardo con tranquillità.” Bastano pochi secondi, però, per capire che questo mondo idilliaco non esiste e che non c’è tranquillità: esplode un tamburo militare, poi un esotico tamburo indiano, poi un’insinuante linea di chitarra che scivola, come un gemito di nebbia nella notte. La musica da dolce e poetica diventa distorta proprio a rappresentare il passaggio dall’ideale al reale.
“Hurdy gurdy, gurdy, gurdy, gurdy” ripete Donovan, come se fosse in trance. Una misteriosa figura questo suonatore di ghironda (hurdy gurdy vuol dire letteralmente proprio questo) che in un mondo pieno di odio e guerre continua imperterrito a voler intonare canzoni d’amore, come il Matto sulla collina (The Fool on the Hill, canzone dei Beatles del 1967 scritta principalmente da Paul McCartney): un mago che forse si comporta così perché ha tutte le risposte, mentre noi anime non illuminate possiamo solo ascoltarlo senza cogliere il suo profondo messaggio.
Un testo ispirato da Maharishi Mahesh Yogi: mistico, filosofo, guru e fondatore della meditazione trascendentale, di cui tanti artisti (Mike Love dei Beach Boys, Mia Farrow, i Beatles e tanti altri) rimasero catturati.
A mio avviso questa canzone rappresenta il miglior tentativo di Donovan di unire misticismo, poesia e corrente psichedelica. Il canto, influenzato dalla respirazione Pranayama, è un mantra ricco di vibrato, mentre il tambura (strumento musicale a corde della tradizionale indiana con una forma che assomiglia a quella di un liuto dal collo allungato) e la chitarra elettrica dipingono scenari acidissimi. Quasi una prova generale per i futuri Led Zeppelin, dato che nell’intero album suonano Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham.
Da quanto detto si capisce come la scelta di questa canzone sia perfetta per una serie che mescola magia, misticismo, guerra, odio e speranza.