Il Lupo della Steppa: analisi e significato del libro di H. Hesse

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Il giorno trascorse come appunto trascorrono i giorni”

È possibile già dalla prima affermazione de Il lupo della steppa intuire che Hermann Hesse in quei giorni non attraversava un periodo di particolare serenità spirituale, come d’altronde non è mai successo, nel periodo successivo alla Guerra Fredda.

Biograficamente parlando, è fondamentale dire che Hesse ricevette dai genitori un’educazione austera e contraria a qualunque velleità artistica. A quindici anni soffriva già di crisi depressive e nel periodo in cui frequentava il seminario tentò addirittura il suicidio: questo episodio lo segnò per tutta l’esistenza. Ricevuta la rigida educazione dall’istituto, da lui aborrita più che mai, inizia dapprima un lavoro come orologiaio, ma nel frattempo scopre la vasta biblioteca del nonno: legge Goethe, Dostoevskij, Schiller e Novalis. Si trasferisce a Basilea dove sposa una donna con la quale sarà padre di tre figli.

Fondamentale rilevanza nell’opera hessiana la ricoprono tre fenomeni: le difficoltà legate alla sfera familiare (i difficili rapporti con la moglie avente problemi mentali, la morte del padre e la malattia di uno dei tre figli), l’insofferenza della vita sedentaria che lo porteranno ad intraprendere il viaggio spirituale in India alla ricerca di se stesso, e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il problema legato alla famiglia lo condurrà in uno stato di profonda depressione e quindi alla consulta di uno psicoanalista che lo inizierà alla terapia, ma soprattutto alla studio della materia. Difatti le opere di Hesse precedentemente a quest’ultimo periodo si possono ben definire neoromantiche, immacabilmente influenzate dalle mode letterarie dell’epoca (Peter Camenzind) e per lo più critiche verso un sistema educativo scolastico estremamente repressivo, attorniato dal rumoroso eco borghese (Sotto la ruota).

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Hermann Hesse

Come detto in precendenza, la sua opera ha un capovolgimento in conseguenza allo studio della psicoanalisi, difatti Demian rappresenta un chiaro esempio di adesione a quest’ultima. I temi sono gli stessi (la distinzione manichea tra bene e male, il rifiuto della società borghese e la nostalgia dell’infanzia), ma affrontati con una nuova consapevolezza.

Successivamente è in Siddharta che prendono adito esperienze come il viaggio in India e la dimestichezza con le religioni, le filosofie e le letterature indiane e cinesi. Più di ogni altro, quest’ultimo è il romanzo della ricerca di Sè, dell’identificazione dell’Io.

Ma è ne Il Lupo della Steppa che i tentativi di ritrovamento e superamento dell’Io sono messi in risalto. Il romanzo ha una struttura inconsueta ed è suddiviso in tre diverse parti:

  1. Prefazioni del curatore
  2. Memorie del protagonista, cui segue la “Dissertazione sul lupo della steppa”
  3. Introduzione al “teatro magico”

Si tratta di una triplice prospettiva che richiama ad una sperimentazione espressionista. In realtà potrebbe anche essere inteso come una sorta di bildungsroman (romanzo di formazione) che narra le vicende di un cinquantenne, Harry Haller (il nome del protagonista ha le stesse iniziali di quelle dell’autore), scisso tra due mondi sempre diversi e contrapposti: civiltà e natura, spirito e istinto, borghesia e proletario, uomo e lupo. Attraverso questa consapevolezza che lo costringe a situazioni sgradevoli, inizia ad apprezzare il pensiero ormai maturo di dover porre fine ai dolori uccidendosi.

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Nella parte introduttiva del libro, Harry vagabonda disperato e solo tra la mura di una città tedesca non citata. Uno sconosciuto in piena notte, però, gli porge un opuscoletto che aprirà una volta rientrato in casa. Questo è intitolato: “Dissertazione sul lupo della steppa, soltanto per pazzi”, un saggio di una ventina di pagine che andrebbe letto per intero, ma che non riporto qui per ovvie ragioni di spazio. Mi limiterò ad antologizzarlo, cercando di trarre dallo scritto i punti cardine:

C’era una volta un tale di nome Harry, detto “il lupo della steppa”. Camminava con due gambe, portava degli abiti ed era un uomo, ma a rigore era un lupo. Aveva imparato parecchio di quello che possono imparare gli uomini dotati d’intelligenza, ma una cosa non aveva imparato: a essere contento di sé e della sua vita. Ciò dipendeva probabilmente dal fatto che in fondo al cuore sapeva di non essere veramente un uomo, ma un lupo venuta dalla steppa.”

Quando Harry uomo concepiva un bel pensiero, provava un sentimento nobile e fine o faceva una così detta buona azione, il lupo che aveva dentro digrignava i denti e sghignazzava, e gli mostrava con sanguinoso sarcasmo quanto era ridicola quella nobile teatralità sul muso d’un animale della steppa, di un lupo che sapeva benissimo quali fossero i suoi piaceri, trottare cioè solitario attraverso le steppe, riempirsi ogni tanto di sangue o dare la caccia ad una lupa.”

Esistono non pochi uomini simili a Harry; specialmente molti artisti appartengono a questa categoria. Costoro hanno in sé due anime, due nature, hanno un lato divino e uno diabolico, il sangue materno e il sangue paterno, e le loro capacità di godere e di soffrire sono così intrecciate, ostili e confuse come in Harry il lupo e l’uomo. E questi uomini la cui vita è molto irrequieta hanno talvolta dei rari momenti di felicità sentimenti così profondi e indicibilmente belli, la schiuma della beatitudine momentanea spruzza così alta e abbagliante sopra il mare del loro dolore, che quel breve baleno di felicità irradia anche su altri e li affascina. Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d’arte nelle quali un uomo che si soffre si innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità.”

Il suicida (Harry era uno di questi) non occorre che abbia uno stretto rapporto con la morte: lo si può avere anche senza essere suicidi. Ma il suicida ha questo di caratteristico: egli sente il suo Io, è indifferente se ha ragione o torto, come se un germe della natura particolarmente pericoloso, ambiguo e minacciato, si reputa sempre molto esposto e in pericolo, come stesse sopra una punta di roccia sottilissima dove basta una piccola spinta esterna o una minima debolezza interna per farlo precipitare nel vuoto.”

Secondo le sue convinzioni il lupo della steppa era al di fuori del mondo borghese poiché non aveva né una famiglia né ambizioni sociali… Oltre a ciò una segreta nostalgia lo spingeva continuamente verso il piccolo mondo borghese. Teneva ad avere le sue stravaganze e i suoi vizietti, a sentirsi originale o geniale al di là della borghesia, ma abitava e viveva, per così dire, soltanto in quelle province della vita dove ci fosse uno spirito borghese.”

Soltanto l’umorismo, la stupenda invenzione di chi si vede troncata la vocazione alle cose più grandi, l’invenzione dei tipi quasi tragici, degli infelici dotati di massima intelligenza, soltanto l’umorismo (la trovata più singolare e geniale di tutta l’umanità) compie l’impossibile, illumina e unisce tutte le zone della natura umana alle irradiazioni dei suoi prismi. Vivere nel mondo come se non fosse il mondo, rispettare la legge e stare tuttavia al di fuori della legge, possedere come se non si possedesse, rinunciare come se non fosse in rinuncia: tutte queste esigenze di un’alta saggezza di vita si possono realizzare unicamente con l’umorismo.”

Il mondo non ha né sopra né sotto. E così per farla breve, anche il “lupo della steppa” è una finzione. Se Harry si considera uomo-lupo non fa che della mitologia semplificatrice. Harry non è affatto un uomo-lupo e se abbiamo accettato apparentemente senza controllo la menzogna da lui inventata e creduta, abbiamo approfittato di un inganno che ora cercheremo di giustificare. Nessun uomo infatti, neanche il negro primitivo, neanche l’idiota è così simpaticamente semplice che si possa spiegarne la natura come la somma di due o tre elementi principali; spiegare poi un uomo così complicato come Harry con l’ingenua suddivisione in lupo e uomo è impresa disperata e puerile. Harry non consta di due esseri ma di cento, di mille. La sua vita (come quella di tutti gli uomini) non oscilla soltanto fra due poli, diciamo quelli dell’istinto e dello spirito, o quelli del santo e del gaudente, ma fra migliaia, fra innumerevoli coppie di poli.”

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Dalla “Dissertazione” emergono quattro principi che accompagnano tutto il romanzo:

  • La concezione di lupo della steppa come essere atto a creare, a fare della propria natura e della propria vita un’opera d’arte, un movimento continuo che oscilla fra più stati d’animo, un vagabondare nel silenzio della solitudine, un’estetizzazione di ogni momento, una ricerca assidua e perpetua dell’assoluto di vivere e di morire e quindi di rimanere nell’eternità.
  • Il distacco seppur parziale dal mondo borghese. Hesse ha detestato in tutta la sua vita l’avviticchiarsi a quel mondo che, secondo lui, non è altro che un tentativo di equilibro, l’aspirazione a una via di mezzo tra gli innumerevoli estremi e poli contrapposti della natura umana. L’uomo ha la possibilità di darsi tutto allo spirito, al tentativo di avvicinarsi alla divinità. Viceversa può darsi tutto alla vita istintiva, al desiderio dei sensi. Il borghese, secondo il tedesco, cerca di vivere nel mezzo fra l’una e l’altra. “Tenta di insidiarsi nel mezzo tra gli estremi, in una zona temperata e sana, senza burrasche e temporali, e ci riesce, ma rinunciando a quell’intensità di vita e di sentimento che offre una vita rivolta all’assoluto e all’estremo. A spese dell’intensità egli ottiene dunque conservazione e sicurezza, invece che ossessione divina raccoglie tranquillità di spirito, invece che piacere agio, invece che libertà comodità. Per sua natura dunque il borghese è una creatura di debole slancio vitale, paurosa, desiderosa di evitare rinunce, facile da governare. Perciò ha sostituito al potere la maggioranza, alla violenza la legge, alla responsabilità la votazione.”
  • L’umorismo: l’invenzione più geniale e singolare di tutta l’umanità, è l’unica via di scampo per quegli uomini che rimangono legati, come Harry, all’ingegno della borghesia che spesso gli tributa grandi onori. Questa trovata rimane sempre, in qualche modo, borghese, quantunque quest’ultima (la borghesia) sia incapace di comprenderla e percepirla.
  • L’ultimo punto risente fortemente dell’approccio di Hesse, con la psicoanalisi e la filosofia di cui parlavo in precendenza. L’Io non è un’unica forma bensì uno strato multiforme di più elementi non identificabili e labili. Il suo mondo è una rappresentazione nietzschiana e schopenhauriana della realtà.

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Il racconto prende in realtà una svolta positiva quando Harry conosce una donna dai tratti ambigui: Hermine. Quest’ultima è molto simile al lupo della steppa in quanto, non solo è il femminile del nome Hermann, ma sembra essere la trasfigurazione del protagonista in una veste di semplicità, istintività, e capacità nello scorgere in Harry stesso fino al più profondo dei suoi desideri. La donna ricopre nel romanzo addirittura il ruolo del saggio: “Oggi ti dirò una cosa, un cosa che so da tempo e anche tu sai, ma forse non te la sei mai detta. Ti dirò quello che sarà di me e di te e della nostra sorte. Tu, Harry, sei stato un artista, un pensatore, un uomo pieno di gioia e di fede, sempre alla ricerca delle cose grandi ed eterne, mai contento di quelle piccole e graziose. Ma quanto più la vita ti ha svegliato e portato verso te stesso, tanto maggiore si è fatta la tua miseria, tanto più sei affondato nell’angoscia e nel dolore… Tu avevi in cuore una visione della vita, una fede, un postulato, eri pronto ad agire, a soffrire, a sacrificarti, e poi ti sei accorto a poco a poco che il mondo non chiedeva affatto gesta e sacrifici e cose simili, che la vita non è un poema sublime con personaggi eroici, bensì una buona stanza borghese dove ci si accontenta di mangiare e bere, di prendere il caffè e di fare la calza. E chi pretende quelle altre cose, le cose belle ed eroiche, il rispetto dei grandi poeti o la venerazioni dei santi, è uno sciocco, un Don Chisciotte.”

La ragazza gli fa conoscere l’amico Pablo, che suona il sassofono nelle orchestrine, e per gli amici ha sempre un po’ di droga, da annusare o fumare. Di vera musica non s’intende e non gliene importa nulla: “Se ho in mente tutte le opere di Bach e ne so dire le cose più intelligenti, non ho fatto ancora nulla per nessuno. Ma se piglio il mio saxofono e suono uno shimmy insinuante, lo shimmy potrà essere buono o cattivo, ma certo piacerà alla gente, entrerà loro nelle gambe e nel sangue. Questo conta”.

 

Tra Hermine, appassionata ma tormentata, e Harry, pensatore, filosofo e poeta, si stipula un terribile patto: “Voglio farti innamorare di me, e quando sarai innamorato ti impartirò il mio ultimo ordine: mi ucciderai.”

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Ed ecco l’ultimo atto, quello del Teatro Magico, in cui Hesse riesce perfettamente a fondere una visione onirica e trascendentale, ad una visione della realtà comunque teoretica ed astratta.

La visita al teatro ha inizio alla fine di una serata da ballo in maschera, quando Pablo chiama Hermine ed Harry in una sala nella quale ci sono un numero incredibile di porte: “Questo è il nostro teatro e spero ci troverete molte occasioni per ridere” disse Pablo.

Qui elencate le porte che Harry man mano si ritrovò ad aprire:

  • CACCIA ALLEGRIA! Caccia grossa alle automobili.
  • AVVIAMENTO ALLA COSTRUZIONE DELLA PERSONALITÀ. Successo garantito.
  • MODO MERAVIGLIOSO PER ADDOMESTICARE IL LUPO DELLA STEPPA
  • TUTTE LE RAGAZZE PER TE
  • COME SI UCCIDE CON L’AMORE
  • HARRY GIUSTIZIATO

In ognuna di esse il protagonista si ritrova in una diversa situazione. La prima è una stanza dove è simulata una situazione bellica: automobili che si schiantano contro pedoni e uomini che sparano a velivoli. Nella seconda un uomo dà ad Harry delle carte dove su ognuna di esse è tracciato un tratto della personalità appartenente al lupo. Nella terza è descritta una scena durante la quale un uomo tiene al guanzaglio un lupo del tutto innocuo, dove appaiono una capra e una lepre, di cui il lupo non si interessa minimamente, preferisce mangiare della cioccolata; ma in una seconda scena le parti si invertono, ora è il lupo a tenere al guinzaglio l’uomo che alla vista delle due bestie tira fuori tutto il suo spirito carnivoro strappando a morsi brandelli di carne.

Nella quarta Harry incontra deliziosamente e piacevolmente tutti gli amori della sua vita, passando con essi momenti fantastici e vivi. Ma è nella quinta stanza che si compie il disegno di Hermine. Harry ha in un primo momento una discussione con Mozart, ma poi ritrova di fronte a sé un quadro di nudi che parevan vivi. Erano Pablo ed Hermine abbracciati, sicchè l’uomo tira fuori dalla tasca un coltello e uccide l’amante. Nella sesta porta la corte dirà questo: “Signori, davanti a voi sta Harry Haller, accusato e trovato colpevole di malizioso abuso del nostro teatro magico. Haller non solo ha offeso l’arte scambiando la nostra bella galleria di quadri con la così detta realtà e pugnalando una fanciulla riflessa con un pugnale riflesso, ma oltre a ciò ha manifestato l’intenzione di servirsi, senza umorismo, del nostro teatro come di un meccanismo suicida. Perciò condanniamo Haller alla pena della vita eterna e lo priviamo per dodici ore del permesso di entrare nel nostro teatro”.

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In una nota conclusiva ai suoi lettori Hesse tiene a specificare, che al di là del lupo e delle sue difficoltà, al di là del negativo, il romanzo parla per prima cosa di un universo più alto, immortale, dello spirito, dell’arte e del riso, che contrappongono al mondo del lupo un mondo di fede positiva. Che il libro non è la storia di un disperato, ma quella di un ferreo credente, che quella di Harry Haller non è una vita pronta a tramontare, bensì a guarire.

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