Je, tu, il, elle: la via crucis profana di Chantal Akerman

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I want to break free / I want to break free from your lies / You’re so self satisfied / I don’t need you / I’ve got to break free.

2 Aprile 1984, usciva nelle radio in Inghilterra, come secondo estratto di The Works dei Queen, I want to break free. Voglio liberarmi, delle tue bugie, tu basti a te stessa, non ho bisogno di te. Cantava così – Freddy Mercury – un grido di liberazione e di sfogo il suo, intonato con quella meravigliosa voce. Personaggio eccentrico, cantante superbo, icona pop e soprattutto simbolo del mondo LGBT, speranza e modello per chi – come lui ma senza la sua stessa popolarità – aveva voglia di scrollarsi di dosso i pregiudizi e poter urlare forte di amare una persona dello stesso sesso. Esattamente dieci anni prima di lui una donna belga, Chantal Akerman – regista di professione, anziché cantante – intona, cinematograficamente parlando, la sua I want to break free.

Mettetevi comodi, spegnete la musica dei Queen che avete messo in sottofondo dopo aver letto l’introduzione dell’articolo, e leggete del viaggio di Chantal attraverso un mondo fatto di solitudine, perversione ed erotismo: oggi parliamo di Je, tu, il, elle.

In meno di un’ora e mezza è condensata la storia – in bianco e nero, e ad episodi – del particolare viaggio di Chantal, come intuibile dal titolo la divisione episodica è correlata con i pronomi personali francesi del titolo. Procediamo con ordine.

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Je. Io, io donna, io regista, io attrice. Il lungo tormento della solitudine. Chantal Akerman è sola nella sua casa: sommersa di lettere, che scrive e riscrive, legge e rilegge in un lunghissimo flusso di coscienza. Un disperato bisogno di mostrare la propria depressione in questo agglomerato di situazioni al limite dell’assurdo: mentre inizia a spogliarsi lentamente, mangia continuamente zucchero raffinato, sposta i mobili, si mostra nuda alla finestra mentre fuori nevica dolcemente, senza soluzione di continuità. Per lo spettatore sembra di essere in un loop infinito fatto di frustrazione, e le immagini contrastanti stanno come a rappresentare, metaforicamente, un girone dell’inferno dantesco che noi siamo tenuti a giudicare.

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Il. Lui, lui camionista, lui perverso. Il secondo atto del viaggio introduce un personaggio – lui (nessuno ha un nome nel film – nemmeno la protagonista – un po’ come a dettare una separazione tra l’uomo, che ha un nome ed un’identità, e questi personaggi paragonabili all’animale ed al suo istinto naturale) – quello del camionista, che Chantal incontrerà dopo essere finalmente uscita di casa ed aver fatto l’autostop. Mangiano qualche boccone, poi di nuovo sul camion: finalmente la parola, i dialoghi. Via il silenzio, ora si ascolta il rumore ruvido della strada che ben si adatta alle parole del camionista che racconta del suo matrimonio a pezzi, delle sue avventure con prostitute e del feticismo che prova nei confronti dei figli: stupore e disgusto che terminerà con la richiesta a Chantal di masturbarlo, lei esegue come se nulla fosse, noi rimaniamo increduli dalla fragilità della donna: vorremmo aiutarla, dirle che quell’uomo è un mostro, per i suoi pensieri, per i suoi gesti, ma dobbiamo limitarci a guardare.

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Elle. Lei, una donna, l’amore, l’eros. Si conclude con un ultimo incontro il viaggio di Chantal – una donna questa volta – probabilmente un’amica di vecchia data. Sono sole a casa di lei, c’è silenzio. Sguardi, gesti, cucchiai che affondano in un barattolo di Nutella e mani che affondano nella carne. Sono sul letto, ora. Si spogliano lentamente, giochi di sguardi, il ritmo della scena che avanza come il battito del cuore di chi guarda: nude, le due donne, iniziano a fare l’amore, non sesso – amore. In una delle scene di amore saffico più belle della storia del cinema, pose plastiche che si incatenano tra di loro come una scultura del Bernini in movimento. Il cinema diventa arte mentre la depressione si trasforma in liberazione: Chantal si è liberata, la sua I want to break free è finita – in contrasto con quella pittoresca e scanzonata dei Queen – il suo è stata un viaggio cupo fatto di figure sfuggenti del quale noi siamo stati testimoni oculari.

Partecipi sì, non solo come spettatori di un film ma parte integrante della particolare via crucis Akermaniana. Ho volutamente saltato un pronome, sopra.

Tu. Tu spettatore, tu voyer, tu feticista.

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