La cultura musicale che fa la differenza: il caso J Dilla

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Nella storia della musica e delle arti tutte, spesso ciò che fa la differenza è lo studio.

Mi spiego meglio: Quentin Tarantino è il classico esempio di regista che ha basato la sua formazione sulla cinefilia estrema, quasi a volersi impadronire di tutto ciò che fosse stato prodotto per poterne poi usufruire a proprio piacimento. Basta compiere una ricerca a caso su Youtube per imbattersi in decine di video in cui qualche affezionato fan disseziona frame dopo frame tutte le sue pellicole per trovare quante più citazioni possibili al dorato mondo del cinema ed alla pop culture tutta. In poche parole Tarantino non sarebbe mai esistito senza una passione profonda per il suo lavoro che lo ha spinto ad uno studio immersivo del suo mezzo prediletto.

In campo musicale, un esempio lampante è senza dubbio alcuno J Dilla.

Venuto al mondo come James Dewitt Yancey, nativo della Detroit meno nobile, fin da piccolo mostra cenni piuttosto inequivocabili riguardo al suo futuro. Secondo le informazioni facilmente reperibili su Wikipedia e volendo credere alla madre, già a 2 mesi era in grado di accordarsi perfettamente con una melodia, individuandone l’altezza. Da piccolo inizia a collezionare vinili che nel corso degli anni formeranno la sua vasta collezione e che in un certo senso rimarranno il suo segno distintivo per sempre. Insieme alle ciambelle.

Partiamo dalla fine. Partiamo da Donuts.

Donuts è l’ultimo album di J Dilla, pubblicato solo 3 giorni prima della tragica e prematurissima scomparsa avvenuta il 10 Febbraio del 2006. Possiamo considerarlo il suo testamento artistico ed uno degli album che racchiude più puramente il concetto di produzione rap. Il lavoro è un bellissimo pamphlet di sample, parti strumentali e riarrangiamenti che vanno a creare un album di beats, come si addice a colui che è considerato uno dei migliori producer mai esistiti.

Per spiegarla ad un normale cittadino non avvezzo al genere, potremmo dire che è un album di “basi rap”. A cui va aggiunto l’aggettivo meravigliose. Proprio per questa natura così particolare lo si può ritenere un album masticabile anche da chi non ha una profonda passione del genere, poiché spogliato della parte vocale che è anche la caratteristica più riconoscibile e proporzionalmente più ostica del genere. Di conseguenza viene apprezzato anche da chi è abituato ad altri lidi musicali.

E questo non è un caso.

Su Youtube circola un video fantastico che esamina tutti i sample dell’album per risalire alle canzoni originali. Ed il risultato è strabiliante.

Le citazioni attingono da culture lontane anni luce. Ad esempio di fianco a brani di Beastie Boys, Run DMC ed i già più distanti (ma quasi concittadini Motown) Jackson Five troviamo una band inglese chiamata 10cc. I loro lavori vengono campionati più volte all’interno dell’album, in particolare sul pezzo di apertura dell’album, Workinonit. I sample provengono da un brano del 1974 che si chiama Worst Band in the World.

È perlomeno curioso apprezzare il tipo di trasformazioni che subisce la canzone pur essendo facilmente riconoscibile nelle sue parti principali. Ma fra le sorprese più grandi che si possono trovare, una è nascosta nel brano The Twister (Huh, What?).

A circa 18 secondi, Dilla prende in prestito una canzone di Fred Frith, un compositore di musica avant-rock, sperimentale e con una certa propensione all’improvvisazione spinta che, per forza di cose, non è necessariamente orecchiabile. Riuscite ad immaginare qualcosa di più diametralmente opposto dal background che ci si aspetterebbe da uno come J Dilla?

Si potrebbe andare avanti per ore ma servirebbe solo a provare un punto che è già ben visibile.

La sua cultura musicale sconfinata è prova di una passione ardente per la musica stessa, per l’esplorazione di essa tanto da spingersi in campi che di primo acchitto potevano sembrare avversi e sterili ma che all’artista vero non sfuggono.

Oltre a consigliare un ascolto della sua discografia dagli inizi e con gli Slum village, è possibile trovare delle sue produzioni fra i lavori di molti importanti artisti attivi fra gli anni ’90 e lo scavallamento del millennio. A Tribe Called Quest, De La Soul, Erykah Badu, The Roots; proprio questi ultimo hanno dedicato al loro amico un bell’album composto da raccolte di alcuni suoi beats rielaborati (e registrati nuovamente in studio) dagli stessi Roots. L’album si chiama Dilla Joints, ed è uno dei tanti tributi che potrete trovare su internet (e su di una apposita sezione della sua pagina Wiki in inglese). Tributi per un artista che ancora una volta avremmo voluto rimanesse in nostra compagnia un po’ più a lungo.

I dischi di J Dilla sono su Amazon.

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