Willy, il Principe di Bel-Air: così siamo cresciuti negli anni ’90

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Nel 1990 l’hip hop era ormai maturo per fare il salto decisivo ed entrare di prepotenza nel mainstream popolare della televisione statunitense. Gli artisti della musica rap stazionavano stabilmente nelle parti alte delle classifiche e da un po’ di tempo non erano più considerati solo dei fenomeni da strada, incapaci di destare interesse oltre al loro mondo di rime serrate e basi ritmiche campionate.

A metà 1989 la NBC iniziò a interessarsi al fenomeno e a pensare di mandare in onda una sit-com che potesse sfruttare il nuovo genere musicale. Per il ruolo di protagonista puntò su Will Smith, neo vincitore assieme al suo sodale Jeff Townes (Dj Jazzy Jeff & The Fresh Prince) del Grammy nella categoria Rap.

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Dj Jazzy Jeff & The Fresh Prince

L’offerta era molto interessante per il giovane MC, soprattutto perché gli permetteva di uscire da una brutta situazione economica: nel poco tempo in cui era diventato famoso era riuscito a dilapidare tutti i guadagni accumulati e si trovava in grossi guai finanziari per milioni di dollari di tasse arretrate. Anche se la possibilità di ripianare la casse disastrate (grazie al lauto ingaggio proposto dall’emittente) era un’occasione quasi irrinunciabile, Smith tentennò comunque, non volendosi legare a un sit-com che avrebbe potuto compromettere la sua carriera musicale. Alla fine il fiato sul collo dell’IRS (l’agenzia di riscossione delle tasse negli Stati Uniti) lo fece decidere per accettare la proposta della NBC: nei successivi anni il fisco si sarebbe preso il 70% dei guadagni di Will Smith, che però così evitò guai peggiori.

Il soggetto di Willy, il principe di Bel-Air (che si rifaceva a una esperienza simile vissuta dal co-produttore Benny Modina, costretto a trasferirsi giovanissimo a Beverly Hills) basava la sua trama sullo sconvolgimento creato dal giovane rapper Willy nella vita dell’agiatissima famiglia degli zii californiani, del tutto impreparati all’esuberanza del loro ospite. Il rap, come disse in seguito il supervisore musicale Quincy Jones, non era per forza la miccia che dava il via agli sviluppi della trama: gli spunti della cultura hip hop non venivano sfruttati per essere sempre il punto su cui focalizzare tutta la storia, ma servivano a creare un aggancio e un interesse soprattutto nei giovani, che si rivedevano nelle difficoltà di farsi accettare e comprendere da parte degli altri (in special modo dai genitori) del protagonista. D’altra parte uno dei pezzi che avevano reso celebre il duo Dj Jazzy Jeff & The Fresh Prince si intitolava proprio Parents Just Don’t Understand.

Il pesce fuori dall’acqua e fuori contesto che Will Smith interpreta dopo il forzato trasferimento dal ghetto di Philadelphia scatena reazioni esilaranti e situazioni paradossali, in cui lo status quo familiare dei parenti di Bel-Air viene messo a dura prova continuamente: l’assenza di qualsiasi mezza misura e adeguamento sociale da parte di Willy alla lunga riesce a scalfire la convinzione degli zii che la vita sia solo vivere nel lusso. Chiaramente negli episodi di Willy, il principe di Bel Air il linguaggio e le tematiche tipiche dell’hip hop vengono molto edulcorati, per renderli più accettabili e non alienare gli ascolti: i dirigenti della NBC desideravano qualcosa che assomigliasse il più possibile a un incrocio tra Mr. Crocodile Dundee e Beverly Hills Cop e per questo restarono abbastanza interdetti nel vedere manifesti di Malcom X nella camera del protagonista. Alla fine comunque si lasciarono convincere dagli autori.

Oltre a Dj Jeffy (che si presta a numerose comparsate negli anni), nelle sei stagioni di Willy, il principe di Bel Air i comprimari principali sono sostanzialmente i membri della famiglia Banks: il corpulento e rigido zio Philip (James Avery), la matriarca Vivian (prima Janet Hubert, poi Daphne Maxwell Reid), la svampita Hilary (Karyn Parsons), la romantica Ashley (Tatyana Ali) e soprattutto il viziato e ingenuo Carlton (Alfonso Ribeiro), quello che più di tutti subisce la presenza travolgente di Willy.

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I balletti di Carlton

Un discorso a parte merita Geoffrey (Joseph Marcell), per tanti versi il personaggio più azzeccato della serie: maggiordomo cinico e distaccato, ma sempre compreso nel suo ruolo, dopo l’arrivo di Willy finisce per lasciarsi coinvolgere dalla vitalità del ragazzo e a diventare una colonna portante della serie.

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La forza della sit-com non si basava sullo scontro culturale e sociale tra bianchi e neri (Il mio amico Arnold, I Jefferson), ma, per la prima volta, verteva sulle difficoltà di comunicazione tra la stessa gente di colore: quella della borghesia benestante e quella che aveva difficoltà a mettere insieme il pranzo e la cena. Nell’ultima puntata, proprio per voler creare un collegamento diretto tra le principali serie tv che hanno segnato l’immaginario black della tv americana, si presentano ad acquistare la villa dei Banks sia Arnold e il signor Drummond, che George e Louise Jefferson: alla fine la spunterà il collerico George, anche lui venuto dal ghetto come Willy.

La serie dopo sei stagioni diventò troppo piccola per Will Smith, che in quegli anni crebbe moltissimo in popolarità, interpretando i suoi primi film: i suoi tempi comici, la capacità d’improvvisare davanti alla camera e la naturalezza con cui recitava gli spalancarono definitivamente le porte di Hollywood, che ne fece una star. Se non ci fosse stata l’occasione d’interpretare Willy, il principe di Bel-Air, probabilmente la vita di Will Smith non avrebbe preso la stessa piega, ma anche noi non avremmo goduto di una delle serie televisive più amate di sempre. Per una volta è andata bene a tutti, non solo all’IRS.

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