Glow, la serie Netflix che mette le donne al centro del ring

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Se prendi quattordici donne con velleità di attrici, le affidi a un regista cocainomane e cinico, che poi le converte al colorato mondo del wrestling di metà anni ’80, otterrai Glow, la nuova serie Netflix che sta collezionando consensi di critica e pubblico.

glow

Lo show nasce dalla visione del documentario GLOW: The Story of the Gorgeous Ladies of Wrestling, in cui le due autrici Liz Flahive e Carly Mensch si erano imbattute per caso qualche anno fa e che le aveva talmente colpite da convincerle a trarne una serie Tv. La Gorgeous Ladies Of Wrestling era stata la prima federazione tutta al femminile ad arrivare sugli schermi Tv in seguito all’esplosione del wrestling di metà anni ’80 targato WWF, quello rappresentato dai vari Hulk Hogan, “Macho Man” Randy Savage, Jack “The Snake” Roberts e André “The Giant”. La promotion (che, tra alti e bassi, sarebbe andata avanti dal 1986 al 1992) non si basava su atlete professioniste, ma scelse di creare dal nulla le dodici wrestlers che sarebbero salite sul ring, selezionandole da un gruppo di oltre 500 donne che si presentarono per il casting. Le prescelte vennero poi allenate e preparate per interpretare il ruolo che avrebbero portato sul quadrato e davanti alle telecamere (la cosiddetta gimmick), sfruttando le loro doti di attrici o accentuando alcuni loro stereotipi etnici e sociali.

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Le Gorgeous Ladies Of Wrestling originali

Il Glow di Netflix (prodotto da Jenji Kohan, già responsabile di un’altra serie incentrata sulle donne come Orange Is The New Black) non si limita a narrare la genesi del primo spettacolo televisivo di wrestling femminile, ma cuce attorno alla premessa cui si ispira qualcosa di più profondo, raccontando la sfida quotidiana nell’affrontare la vita per tentare di raggiungere, se non i propri sogni, almeno qualcosa che gli si possa avvicinare. Tre sono i protagonisti principali: Ruth (la bravissima Alison Brie), attrice costantemente in cerca di un’occasione che le permetta di esprimere il suo talento e che il destino sembra sempre negarle; Debbie (Betty Gilpin), ex attrice di soap opera in cerca di una dimensione che non sia solo essere madre e moglie; Sam (Marc Maron) un regista di serie B all’ultima spiaggia e un sogno nel cassetto chiamato Mothers And Lovers, un film che spera un giorno di girare e che scoprirà essere molto simile a un successo di quegli anni.

Dopo Stranger Things, Netflix ci fa rituffare negli anni ’80 dell’edonismo sfrenato tutto lustrini della presidenza Reagan: le nostre protagoniste devono adattarsi a una disciplina prettamente maschile per andare oltre la loro emarginazione sociale e personale, in un’amara considerazione su quanto il movimento femminista degli anni ’70 sia uscito sconfitto dal confronto con il decennio dominato dal testosterone di Rocky, Rambo e Commando.

Glow è scritta benissimo, recitata meglio e soprattutto “vera”, termine che sembrerebbe poco pertinente se associato al wrestling, ma del tutto calzante in questo caso. Se vi piacciono storie in cui le donne vengono presentate come persone e non come oggetti di scena, in cui sono vulnerabili e fragili, ma anche forti e credibili, in cui si possono raccontare gli anni ’80 in un modo diverso e perché no, in cui il wrestling non viene demonizzato ogni tre minuti, ma anzi spiegato, allora Glow è la serie Tv che fa per voi. E poi c’é una colonna sonora di tutto rispetto, che passa, tra gli altri, da Patty Smith ai Roxette, dai Journey a Under Pressure di Bowie e i Queen, fino ai Tears For Fears e Billy Joel.

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Luca Divelti scrive storie di musica, cinema e tv su Rock’n’Blog e Auralcrave. Seguilo su Facebook e Twitter.

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