Their Mortal Remains, a Roma la mostra definitiva per Floydiani D.O.C.

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È stato uno degli eventi più importanti dello scorso anno in quell’anello di congiuntura tra arte e musica che coinvolge milioni di appassionati: è la mostra Their Mortal Remains, un’esposizione dedicata ai leggendari Pink Floyd, che ha avuto luogo fino allo scorso settembre al Victoria and Albert Museum di Londra. Una mostra che ha ricevuto grandi consensi da chiunque c’è stato, e che dal 19 Gennaio 2018 sarà al MACRO di Roma, per quella che rappresenterà la prestigiosa tappa italiana di un’esposizione così importante.

L’anno scorso Auralcrave aveva valicato i confini nostrani e si era spinta a Londra per assistere alla mostra e raccontarvela, anticipandovi alcune delle emozioni che proverete quest’anno a Roma. Quello che segue è il racconto di quella esperienza.

Appena entrati, ancora prima di poter arrivare alla queue per l’accesso all’ala in cui è ospitata l’esposizione, ci ritroviamo davanti una vecchia amica: la console di registrazione di Abbey Road che avevamo trattato in questo nostro articolo qualche tempo fa. In tutta la sua magnificenza vintage accoglie noi, Floydiani giunti in pellegrinaggio da tutto il mondo ancora una volta uniti nel culto della band inglese.

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Mentre aspettiamo in fila prendiamo coscienza dell’eterogeneità del pubblico. Le generazioni ci sono tutte, e sono tutte scalpitanti per entrare. D’altronde la mostra è stata annunciata da mesi, così come la vendita dei biglietti, che in effetti vanno prenotati con un largo anticipo e si dividono in fasce orarie in modo da poter regoalre meglio i flussi dei visitatori e permettere a tutti di godere appieno delle installazioni.

Finalmente ci siamo. Arriviamo al banco di fronte all’entrata e ci vengono consegnate delle cuffie, di fatto uguali alle audioguide nostrane ma con una fondamentale differenza: non vanno in alcun modo toccate, camminando all’interno delle stanze si sintonizzerano da sole su ciò che dovremo sentire.

Questo che può sembrare un piccolo particolare inutile basta ad elettrizzarci.

Ci muoviamo a passo veloce verso la prima stanza ed inforchiamo le cuffie: immediatamente veniamo sfiorati da alcuni sample quali Us and Them, Echoes, tutti mischiati con il vento proveniente dall’apertura dell’album Meddle. Un bellissimo effetto che catapulta immediatamente nel mood che sarà poi costante per tutta la mostra.

Da qui in poi la storia dei Pink Floyd viene sviscerata dai primissimi esordi fino al giorno d’oggi, e per farlo avrete esposti centinaia di cimeli, testimonianze, memorabilia.

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Moltissime chicche come le lettere che un giovane e denutrito David Gilmour mandava ai suoi genitori spiegando loro di essere appena entrato in un complesso un tantino psichedelico cercando al tempo stesso di placare le loro apprensioni. Strumenti, mini-documentari, interviste, schede tecniche, curiosità: la somma di tutte queste caratteristiche contribuisce a creare una splendida sensazione di immersione totale nel mondo Pink Floyd, un po’ come assistere dal vivo ad uno dei loro concerti mozzafiato.

Più in generale l’organizzazione della mostra in sé si è dimostrata azzeccata per evitare che tutto diventasse unicamente una noiosa esposizione di pezzi storici; gli oggetti sono solo una parte del percorso e sembrano quasi prendere vita mentre dalle cuffie si viene avvolti da meravigliosi tappeti sonori o da accurate spiegazioni di chi quegli oggetti li ha usati.

Per fare un esempio: è esposta la sequenza di diapositive con cui hanno scattato la cover di Wish You Were Here, in casi normali una curiosità che ci avrebbe fatto sorridere o poco più. Il fatto è che mentre state lì ad osservarle, in cuffia avete dei sample estratti direttamente dall’album che accompagnano l’intervista dello stuntman (l’uomo che prende fuoco nella copertina) e del fotografo/artista/scienziatopazzo Storm Thorgerson che raccontano tutte le peripezìe per realizzarla. Si coglie l’essenza dell’oggetto in sé, realizzando anche che la leggendaria copertina esiste soprattutto grazie alla testardaggine folle di un fotografo inglese.

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Ottima anche l’idea di contestualizzare i periodi storici tramite delle classiche cabine telefoniche inglesi riempite di cimeli tipici di alcune annate.

C’è di che restare stupiti, non c’è dubbio.

Nella stanza che abbiamo ribatezzato “quella dell’apparecchiatura”, cioè dove vengono conservati tutti i mostruosi apparecchi utilizzati dal gruppo in studio e dal vivo è anche possibile, tramite alcune mini console, mixare Money a proprio piacimento.

Abbassate il registratore di cassa ed alzate i sax: anche tu potrai essere proprio come un giovane Alan Parson.

Verso la fine potrete apprezzare una meravigliosa ricostruzione della fabbrica di Battersea (dove i maiali volano indisturbati fra le alte ciminiere) e, sorpresa, i due bei faccioni della copertina di The Division Bell, in tutto il loro mastodontico splendore austero.

Sospettiamo fossero le originali, essendoci scritto sopra “Proprietà del signor Pink Floyd” e non “Replica”.

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Quando tutto sembra essere finito, ecco che si accede all’ultima stanza. Qui sarà possibile ascoltare, in uno schermo a 360° e con un impianto audio a dir poco sublime, due pezzi estratti da due momenti topici della carriera dei Floyd. Arnold Layne, a rimembrare i loro inizi, e Comfortably Numb, eseguita dal vivo al Live 8, l’ultima esibizione ufficiale del gruppo con la formazione originale. Purtroppo irripetibile.

Lo ammettiamo, l’occhietto è diventato un po’ lucido a questo punto.

Fortunatamente (o forse no), il gift shop alla fine della mostra ci ha drasticamente fatto riprendere contatto con la realtà, svegliandoci da un piccolo sogno che tutto sommato avremmo voluto vedere durare ancora un po’. Ma questo, d’altro canto, va contro la sua stessa definizione.

 

Their Mortal Remains sarà al MACRO di Roma a partire dal 19 Gennaio all’1 Luglio 2018. Per tutte le informazioni e l’acquisto dei biglietti, questa è la pagina ufficiale.

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