Senatori indomiti dell’heavy metal: breve storia dei Metallica

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Nel 2017 i Metallica hanno conquistato il primo disco di platino certificato per la loro ultima fatica, il doppio album Hardwired… To self destruct.
La cosa non ci soprende.

E si che ne hanno fatta di strada questi che in un passato ormai remoto erano 4 giovanotti brufolosi dalla Bay Area di San Francisco.
I Metallica sono ad oggi l’attrazione principale di qualunque festival metal in giro per il mondo, quelli che chiudono SEMPRE la giornata, non li vedrete mai alle 17 di un Venerdì qualunque. Quanti altri gruppi di genere (importante sottolinearlo) possono fregiarsi di un tale privilegio?

La strada che ha portato i Metallica in vetta è stata lunga, dura e spesso ambigua: sono una di quelle entità divisive quasi per costituzione.
Il rispetto nutrito verso la formazione californiana è quasi sempre controbilanciato da una forza uguale e contraria di assoluta acredine spesso sfociante nel più becero odio.
Il pubblico fedele si è abituato ad una svizzera regolarità nell’alternanza di picchi meravigliosi e cadute profondissime che hanno inevitabilmente segnato la carriera, l’immagine e la credibilità della formazione metal fra le più significative degli ultimi decenni.

Ripercorriamo le tappe fondamentali che hanno reso i Metallica quello che sono, cioè il principale sfocio delle discussioni metallare (alcoliche).

Kill Em’ All

La cosa più bella dei Metallica sono senza dubbio alcuno le loro prime foto come band, risalenti agli anni del loro primo LP: Kill em’ All. Era il 1983, avevano poco più di 18 anni e sicuramente meno dell’età necessaria per comprare una birra. Tutti i loro sforzi per fare brutto sono miseramente disspipati: brufolozzi adolescenziali, gracilità a badilate e dubbie cinture di proiettili contribuiscono a far lavorare il cervello nella direzione del rifiuto sistematico di tutto ciò che possa esser stato partorito dai quattro fessacchiotti ritratti.

Poi metti la puntina sul nero solco per la prima volta ed un po’ ti vergogni, perché quello che senti è oro puro. L’album è rimasto nella storia come pietra miliare del Thrash e del metal tutto, con la sua grezza furia che non rinuncia mai ad aggressività e cattiveria, pur rimanendo sempre a livelli di freschezza ed originalità creativa altissimi. Per capire veramente chi sono i Metallica si dovrebbe partire da qui, dalla prima, sfolgorante, Hit the Lights.

1986, l’incidente svedese

Master of Puppets è sugli scaffali, i Metallica sono consacrati per sempre. Il tour mondiale fa tappa in Svezia e dopo il concerto i 4 membri si giocano a carte il posto del tourbus vicino al finestrino. Vince Cliff Burton, il bassista. Nella notte il pullman ha un incidente le cui cause sono ancora oggi dibattute: Cliff viene sbalzato fuori dal finestrino, per lui non c’è niente da fare. Si spegne IL bassista metal, un virtuoso dello strumento il cui genio compositivo ben si bilanciava con la spaventosa capacità tecnica. Con le dovute differenze del caso, una figura definibile come il Jaco Pastorius della musica heavy, quello che ha ridefinito l’identità dello stumento in un genere dominato da chitarrone distorte e batteria a connone. Quello che ha spinto orde di adolescenti medi a scegliere il basso come strumento prediletto dopo aver sentito tracce di riferimento come Anesthesia (Pulling Teeth). Con il senno di poi,  il più grande spartiacque della carriera dei Metallica.

Il periodo nero

Vicinissimi allo scioglimento, i californiani opteranno invece per un cambio di formazione, chiamando un nuovo scintillante bassista: Jason Newsted, fan numero uno prima ancora che bassista. Tirano fuori un importantissimo album di transizione (anche spirituale): …And Justice for All. Tanto per dimostrarsi accoglienti con il nuovo membro, è ancora argomento di dibattito la questione delle tracce di basso che sarebbero state portate, volontariamente, ad un livello quasi inudibile in fase di missaggio.

Il “piccolo” incidente non impedisce alla nuova formazione di tirare fuori brani instant classic: Blackened, One, Harvester of Sorrow. Per rendervi conto della tracotante presenza scenica dei Metallica in quel periodo recuperate il Live in Seattle del 1989. Uno tsunami. Lunghissimo.

Si percepiscono delle differenze in termini di scrittura dei brani ed in un certo senso l’album è un piccolo campanello d’allarme per quello che sarebbe accaduto negli anni immadiatamente successivi.

Perché poi arriva il Black Album (il titolo vero è Metallica, ma è chiamato così per via della copertina quasi completamente nera).

Tutti conoscono Nothing Else Matters, quasi tutti Enter Sandman e Sad But True. 25 milioni di copie vendute (secondo Wikipedia, ma anche se fossero qualcuna in meno andrebbe bene lo stesso). Un vero e proprio botto, un vero e proprio cross road fra i fan della prima ora ed i nuovi adepti. Perché se è vero che l’album è stato ben accolto dalla critica, molti dei metallari più true hanno percepito la generale ammorbidita dei suoni per favorire un poco di più la radiofonicità dei pezzi come un tradimento senza alcuna possibilità di appello. Tour enormi, concerti memorabili come il Monsters of Rock di Mosca, storico concerto simbolo del disgelo sovietico dove suonarono anche i giovani Pantera ed i già leggendari AC/DC di fronte ad un milione (stimato) di persone. Ecstasy of Gold di Morricone in apertura, Enter Sandman e si parte a far crollare gli ultimi precari brandelli di muro.

Lars Ulrich suona con tale foga da aprirsi un dito con la diretta conseguenza di sporcare il rullante di sangue.
Una foto lo ritrae con un dito fasciato, la pelle del tamburo in mano e la scritta “Bleeding for Moscow”.
Alla faccia dell’attitudine metal perduta.

Greedy

E’ il 2000. I Metallica veleggiano da anni campando più o meno di rendita e tutti i loro prodotti degli anni ’90 hanno rinforzato la loro dimensione radiofonica. Poi un giorno si accorgono dell’esistenza di Napster e decidono che non sia il caso di rimanere fermi a guardare.

I Metallica fanno causa a Napster.

Agli occhi di tutti gli adolescenti passano dall’altro lato della barricata, diventano i cattivi.

Se il Black Album e le opinabili produzioni successive avevano unicamente urtato la suscettibilità di qualche fan un po’ troppo integralista, ora l’opinione pubblica (quella più giovane, quindi l’origine della maggior parte delle vendite) è tutta dalla parte di Napster.
Hetfield risponde in maniera piuttosto diplomatica spiegando a tutti il motivo per cui i loro fan iniziano ad avercela con loro: “ Because they’re lazy bastards and they want everything for free.” Una vera e propria rivisitazione del noto concetto “buttare merda nel ventilatore acceso”.

Anni dopo ed a mente fredda Hetfield riprenderà il tema durante una puntata del celebre podcast americano Joe Rogan Experience, ricordando come più o meno tutto il music business avvertisse la minaccia di Napster, ma nessuno mostrava l’ardente desiderio di spalleggiare pubblicamente i Metallica e di essere associati inevitabilmente alla formzione che più di tutte rispecchiava l’avidità delle band milionarie. Con un pizzico di ipocrisìa, chiaramente.

Senatori mai paghi

Come da tradizione, gli anni recenti del gruppo sono una costellazione di piccole risalite e tonfi rumorosi.
Perché se ad un album come Death Magnetic (2008) che a voler essere imparziali è possibile attribuire il ruolo di timido ritorno alle origini, corrisponde un lavoro straziante come Lulu (2011). Album realizzato in collaborazione con Lou Reed, stroncato da chiunque abbia un paio di orecchie funzionanti e che ahinoi rappresenta l’ultima opera registrata dal geniale musicista Newyorchese.

Le ultime iniziative sono cose come Metallica by request dove i fan potevano scegliere tramite una votazione online la scaletta del concerto mesi prima che questo avesse luogo (che corrisponde ad un diteci quallo che dobbiamo fare, basta che cacciate i soldi) e spot promozionali come Metallica with COCACOLA ZERO live in Anctartica, cioè un bel concerto in Antartide con il solito manipolo di “pochi fortunatissimi fans!”. Tutti discreti indicatori della mancanza di idee veramente innovative dei senatori del metal.Pretendere da una formazione sempre fuori dal seminato dopo tutti questi anni continui livelli di novità e freschezza è forse chiedere troppo?

Quello che rimane, alla fine, sono pezzi come Spit out of the Bone. Tracce che pur avendo un suono saturo e tendente all’ipertrofico (ma non in senso buono) provocano un vago magone nostalgico perchè richiamano alla mente tutti quei riff che a mano a mano ci hanno fatto inevitabilmente cadere nella rete di questa sorta di mostruosa band.
È un po’ come la sindrome Rolling Stones: sapere che stiano ancora registrando album e facendo tour ti fa venire l’orticaria, ma un pensiero per il biglietto del concerto ce lo fai sempre perchè in fondo non ti dispiacerebbe risentire tutti quel corollario di capolavori e gira che ti rigira ti convinci pure che l’ultimo album non sia proprio da buttare.

Il video fa abbastanza pena, ma in fondo ce lo aspettavamo.

Ma niente panico, perchè per fortuna (ma anche purtroppo) il passato non si cancella. Basteranno le splendide note di Fade to Black appena udite di passaggio sotto una finestra aperta in una qualsiasi mattinata lavorativa per farci sentire di nuovo in quel piccolo mondo relegato ad un tempo troppo lontano che quasi si prova vergogna a riportare alla luce.

E non esistono errori che possano cambiare cose di questo tipo, grazie al cielo.

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