Tim e Jeff Buckley: due stelle, una storia

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Basta dire Buckley e di solito il pensiero vola subito a Jeff. C’è, però, anche un altro illustre e geniale Buckley da considerare… uno tra i più innovativi cantanti e tra i pochi veri poeti capaci di versi rimasti immortali. Un uomo e un artista fuori dal comune tanto che lui stesso amava definirsi un “viaggiatore delle stelle”. Un’anima capace di liriche profonde, intime e allo stesso tempo semplici e dirette: Tim Buckley.

Tim e Jeff, legati nel profondo eppure costretti a sopportare, per tutta la loro esistenza, il dolore per un rapporto mai nato. Prima che essere padre e figlio, entrambi sono stati figli che hanno mancato la relazione con il proprio genitore. Tim lo aveva ma non era certo il prototipo del padre affettuoso. Da reduce della Seconda Guerra Mondiale si portava dietro tanti fantasmi e tanta aggressività che non mancava di riversare senza indugi, nelle notti offuscate dai fumi dell’alcool, sul piccolo Tim.

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Tim e Jeff Buckley

Jeff, invece, il padre non l’ha proprio avuto. Tim, infatti, abbandonò la madre quando questa rimase incinta. Non assistette nemmeno al parto. Fuggì alla volta di New York per inseguire le nuove prospettive nel mondo musicale della Grande Mela anni sessanta, o forse semplicemente per sfuggire a una responsabilità di cui non si sentiva pronto perché non era stato educato a farlo. Si pentirà per questa scelta vivendo nel rimpianto, come si evince chiaramente in tutti i suoi testi. Incontrerà suo figlio solo poco prima di andarsene per un’overdose nel 1975, a 28 anni, quando Jeff ne ha 8. Quando pochi giorni dopo si celebrò il funerale, suo figlio non era ancora Jeff, tantomeno Jeff Buckley. In famiglia lo chiamavano col secondo nome, Scottie. Il funerale non era logisticamente lontanissimo, ma lui e la madre non furono invitati.

Un mancato invito che aprirà una ferita che nulla riuscirà a sanare, neanche la grazia che Jeff cercherà disperatamente di trovare e che sceglierà emblematicamente per il titolo del suo unico album (Grace) pubblicato in vita. Riuscirà a salutare il padre solo nel ricordo, quando il 26 aprile del ‘91 parteciperà al concerto tributo alla memoria, nella chiesa di St. Ann di Brooklyn. Suonerà I Never Asked To Be Your Mountain, brano dedicato da Tim proprio al figlio e alla moglie. Raccontano che nel finale dell’esibizione a Jeff gli si ruppe la chitarra e finì di cantare a cappella, solo, senza musica. Spettrale e indimenticabile.

Tutta l’arte di Jeff Buckley e di Tim sarà il racconto di un’assenza; un istante, qualcosa che fugge inesorabilmente via. Per entrambi la musica sarà un rifugio per l’anima, un’amica per alleviare i tormenti e i rimpianti e un’alleata per riempire la solitudine.
Tim e Jeff condivisero troppo poco tempo insieme ma molto tragico destino.

Padre e figlio si troveranno legati fatalmente da una morte tragica, prematura e non priva di misteri. Tim muore di overdose da eroina. Per Jeff, invece, la morte arriva per annegamento accidentale nel Mississippi. Dopo essersi buttato completamente vestito, cantando Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, un’onda anomala generata da un’imbarcazione di passaggio l’ha inghiottito.

Due artisti che hanno vissuto la vita con il bisogno disperato e penalizzante di essere amati. La loro ricerca è stata costantemente alimentata dal bisogno d’amore. Un bisogno che si respira ovunque, leggendo i loro testi.

Due pezzi emblematici raccontano, a nostro avviso, più di altri, la loro sensibilità.

Per Tim, Phantasmagoria In Two.

La Fantasmagoria era una forma di teatro che usava una versione modificata della lanterna magica per proiettare immagini fantastiche su muri, fumo e altro. Nel brano Tim trasporta simbolicamente quella magia teatrale nei sentimenti. La magia di un rapporto, di un amore. Un amore che, dato il suo vissuto, può essere inteso come amore non solo di coppia ma familiare e universale.

Tutti cerchiamo l’amore, la condivisione… purtroppo pochi riescono a raggiungere questa dimensione e così ci ritroviamo divisi, frantumati nelle emozioni, con il risultato di rimanere imprigionati in una terribile solitudine che allontana il sogno della “Phantasmagoria In Two”.

Le immagini del video (lo trovate sopra) descrivono pienamente il messaggio e lo stato d’animo di Tim, il rimpianto per quel calore familiare, per quell’amore che aveva tra le mani e dal quale scelse di allontanarsi per tutte le paure, fragilità e debolezze.

Riguardo a Jeff, vi proponiamo una delle sue tante interpretazioni magistrali. Avremmo potuto scegliere un brano originale ma la sua versione di We All Fall In Love Sometimes, classico di Elton John, è commovente e si avvertono forti i sentimenti, la trama emotiva delineata dalla necessità di dire e dall’urgenza di spiegare le ragioni della solitudine e delle incomprensioni generate dalla vita.

Due stelle nel firmamento musicale. Una storia unica.

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