Considerazioni inattuali: la nostalgia del passato e l’incapacità creativa musicale di oggi

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Il mondo musicale è oggi più che mai lacerato, presentando due possibili orizzonti di vendita:

  1. Quello commerciale: un cammino arduo e complesso, sempre macchinato dai talent, dalle industrie discografiche e da una specifica richiesta.
  2. Quello che potremmo chiamare “nostalgico”. Più avanti spiegheremo dettagliatamente cosa questo significhi.

Tralasceremo il primo punto, di cui si parla già abbastanza, spesso senza concludere nulla, concentrandoci invece sul secondo caso. Quello dei “nostalgici” è un filone che riguarda quasi tutti coloro che provano un profondo disgusto per la musica contemporanea, preferendo piuttosto quella che va dagli anni ’50-’60, fino alla fine degli anni ’90.

Se siete convinti che dietro questo “target” non ci sia un business, vi sbagliate di grosso. Esempio calzante: il 26 maggio 2017 uscirà un box-cofanetto di Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band dei Beatles, il miglior album della storia secondo Rolling Stone (che abbiamo doverosamente celebrato proprio di recente), in una versione nuova, arricchita con mix stereo e diversi take dei vari brani, così come “arricchito” è il prezzo, che è fermentato fino ad arrivare a circa 150 euro. Come anche la ristampa del mega-cofanetto dei primi Pink Floyd che vi avevamo già segnalato, e mille altri casi che non stiamo qua a citarvi Avete colto il punto.

Ma non fermiamoci qui. Il problema fondamentale è che questo disgusto per la musica contemporanea non produca alcuna reazione positiva. A tal riguardo è utile prendere come riferimento uno scritto del filosofo (e musicista) Friedrich Nietzsche: “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” [1]. In questo saggio Nietzsche scrive a proposito dell’uso improprio della storia, che può essere di tre forme. Tra queste tre, fondamentale per il nostro discorso è quella monumentale, ovvero quella di coloro che non vedono nella natura presente nulla di utilizzabile.

La visione della musica dei nostalgici è del tutto anti-storica: non immaginano la musica come una sorta di lungo percorso in linea retta, in continuo divenire, ma piuttosto come un luogo oscuro dal quale emergono determinate isole, mentre il resto merita sprofondare negli abissi.

Così determinati generi musicali, legati ad un determinato tempo storico (il rock, il metal, ad esempio) sono degni di essere chiamati musica, mentre il nuovo (il rap, il dubstep) sono qualcosa che non può essere minimamente paragonato e deve essere relegato in spazi separati, come se tra questi non ci fosse alcun filo conduttore.

Ancor peggio se questo modo di porsi è espresso da musicisti o insegnanti di musica: questi non vogliono che la grandezza nasca, vogliono immobilizzare il tuo sguardo verso il passato, perché la grandezza è già esistita ed è lì. Dato questo attaccamento all’arte monumentale, di cui ha parlato Nietzsche, tutto ciò che è all’avanguardia e legato al presente sarà oggetto di critiche.

È un caso che oggi siano così diffuse le cover e le tribute band? Gran parte dei locali italiani richiede band che imitino per filo e per segno band legate al passato: dall’aspetto esteriore, alle pose, il modo di cantare e suonare. Immedesimarsi in una rock star rende il tutto più semplice: si è qualcuno che è già “grande”, immediatamente riconoscibili, si ha già l’ammirazione di chi ascolta, la gente canta già e si muove ascoltando i pezzi. Non bisogna fronteggiare e conquistare un pubblico che non sa chi tu sia, cosa tu abbia da dire; un pubblico che ti guarda con aria sospettosa, rischiando di fallire completamente e ritrovarsi in un incubo, dopo aver mostrato una parte interiore, profonda e intima.

Evidente è che questa imitazione uccida letteralmente il compito dell’arte: esprimere sé stessi. Gli artisti che decidono di intraprendere il cammino della creazione e presentazione ad un pubblico di musica propria si ritrovano isolati e persi in un deserto immenso senza vie d’uscita.

I locali non lasciano loro spazio, perché con le cover e tribute band riescono a soddisfare gli appetiti dei “nostalgici”. Allo stesso tempo però, la critica dei nostalgici (è arrivato il momento di togliere le virgolette: i nostalgici non sono una essenza astratta) alla musica contemporanea non si trasforma mai in qualcosa di nuovo e positivo.

Questo eccesso è degenere perché non alimenta, ma “mummifica la vita” [2], è capace solo di conservare e non generare.

La grandezza passata deve essere una guida per esprimere sé stessi in una nuova spinta creativa: se la grandezza è stata possibile, lo sarà ancora e a noi tocca il compito di lottare per tornare a essere grandi.

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[1] Friedrich Nietzsche, Sull’Utilità e il danno della storia per la vita, Milano, Adelphi, 2001.
[2] Friedrich Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, op. cit., p. 27.

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