Album: Sampha – Process

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La storia di Sampha Sisay è sicuramente uno dei più lucidi esempio di ciò che significa in epoca moderna riuscire a far germogliare il proprio talento nelle giuste modalità e con il giusto tempismo. Dal debutto in versione sperimentale su Young Turks con Sundanza (nel 2010), ai primi featuring con Jessie Ware, SBTRKT fino ad arrivare a Drake, Kanye West, Frank Ocean e recentemente anche Solange. Nel mezzo un altro EP, Duel, e tanta dedizione: un processo di crescita che dura da quando ha iniziato a suonare per la prima volta il piano a soli tre anni, nella sua casa a Morden, sobborgo di Londra.

Eloquente come il titolo dell’album Process possa considerarsi quello di sacrificio e costanza, che gli hanno permesso di ritagliarsi un importante spazio nel campo dell’r&b che abbraccia la versione soulful dell’elettronica. Il suo album di debutto arriva come un completamento di ciascuna delle sue fasi di crescita, scandagliando stavolta ancora più a fondo nell’intimità che avevamo già modo di poter notare come sua qualità di spicco. La forza di attendere è qualcosa non di poco conto nel mercato musicale odierno: Sampha ha realizzato step dopo step un arricchimento artistico che sembra completarsi alla perfezione nella sua opera di debutto, una sfida che adesso valeva la pena affrontare per chiudere un primo, lungo, cerchio.

I desideri, gli amori, i ricordi e le paure sono raccontate tutte in una cornice che si muove dalle atmosfere soul a quelle più dancefloor ricche di contaminazioni. Plastic 100° C apre il disco con l’energia di una ritmica dub affievolita dalla dolcezza delle linee vocali, Blood On Me e Kora Sings proseguono più vigorosamente in una forma breakbeat ancora magistralmente condita di armonia e intuizioni melodiche, su cui continua a spiccare la voce. (No One Knows Me) Like The Piano – singolo di lancio – torna improvvisamente sulla terra, in una struggente poesia dedicata all’infanzia e all’amore per la madre, scomparsa negli anni della realizzazione dell’album. Stessi contorni per Take Me Inside e Timmy’s Prayer, confessioni jazz e chillwave con protagonista l’incredibile trasporto che la sensibilità della voce genera. Under e Incomplete Kisses, brani dai vividi richiami anni ’80, mantengono un flow a metà tra soul e hip-hop, mentre i picchi sperimentali sono rappresentati dall’elettronica di Reverse Faults e l’ambient in What Shouldn’t I Be?, quasi un omaggio a Eno e James Blake, tra le righe.

Process tocca molte corde della nostra anima, sia attraverso i testi che nella composizione sonora, e l’ascolto ci parla in modo mai effimero di ognuna delle storie dietro la crescita di Sampha. La sua maturazione è arrivata ad un livello innegabilmente molto alto, trovando molte risposte nelle sensazioni – già trapelate in precedenza – relative alle sue capacità di distinguersi e consacrarsi ad alti livelli.

8 / 10

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