Aspettando gli Arcade Fire: come diventare la band indie rock più amata dalla critica

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Come già lasciato intendere dal cantante Butler la scorsa estate e poi nuovamente accennato dal batterista Gara durante una recente intervista, la band canadese potrebbe aver quasi finito i preparativi per un altro album, previsto per questa primavera. In effetti, tutto sembra  alimentare le aspettative non solo per un nuovo disco, ma anche per un nuovo tour: un primo indizio potrebbe essere ritrovato nella conferma della loro partecipazione al Primavera Sound 2017 a Barcellona. Il nuovo singolo, d’altronde, c’è già: I Give You Power, uscito a gennaio, forse inferiore alle attese di molti ma comunque un segno che gli Arcade Fire ci sono e son vivi.

E l’idea di un quinto album in studio non può che rendere entusiasti i fan del gruppo che, in poco tempo, ha dimostrato d’essere all’altezza della scena indie rock globale. Se ci si sofferma un attimo, ci si accorge di quanta strada abbia fatto la formazione e del numero di successi a cui ha saputo dar vita. Vale la pena dunque ripartire dall’inizio, da Montréal, da quel lontano 2001 in cui Win Butler e Josh Deu cominciano a dar forma a una band chiamata Arcade Fire. A quei tempi però gli ingredienti per quel mix esplosivo che è il gruppo non ci sono ancora tutti: infatti manca Régine Chassagne, futura compagna di Butler, che arriva solo due anni dopo, per diventare un elemento fondamentale della band.

Tra i primi esperimenti e le prime produzioni, passa un anno e la formazione vede transitare diversi membri: in questa situazione non è semplice trovare il proprio sound, ma alla fine, gli Arcade arrivano a concepire un loro genere di indie, unito a una matrice di rock più deciso e composto da cori folk sorretti da un tappeto di percussioni e synth. Da lì a poco, nel 2004, esce il loro album di debutto, Funeral. Il titolo nasceva dai diversi lutti familiari vissuti dai componenti della band l’anno prima, ed ha di fatto dato l’identità a un disco considerato da molti uno degli album migliori di quel decennio. Stilisticamente, son molti a vederli come “gli U2 della nuova generazione” (e di fatto la loro visibilità esploderà proprio dopo aver aperto al Vertigo Tour degli U2 nel 2005). La critica si è sciolta quasi unanimemente, trascinanti probabilmente da un Pitchfork che gli dà un clamoroso 9.7. È l’esordio di una grande band.

Alla luce del successo di questo primo album, è chiaro che il gruppo non ha alcuna intenzione di arrestare la sua corsa e nel 2005, su consiglio della propria casa discografica, rilascia un EP intitolato Arcade Fire appunto e che contiene, tra i vari pezzi, anche alcune registrazioni dal suono più acerbo e ancora poco definito. Il 2007, invece, sarà l’anno del secondo album, e stavolta si tratta di un vero banco di prova: non è certo una novità che le band appena nate debbano poi misurarsi con la popolarità ottenuta dal loro stesso primo disco. Ma non c’è paura tra le file degli Arcade Fire: con impegno e confidenza in loro stessi, tirano fuori Neon Bible. E anche stavolta la critica apprezzerà immediatamente il nuovo gusto cupo e deciso che fa da sfondo a uno scenario in cui si accavallano temi come la guerra, il caos e la fine del mondo.

Passa altri tre anni e il successo della band canadese continua ad aumentare, tanto che il loro terzo album, The Suburbs, ottiene un’enorme diffusione commerciale e non fa altro che aggiungere nuovi fan al numero dei già devoti. Non si tratta solo di un’evoluzione musicale in sé -che punta sulla collaborazione con Markus Dravs- ma anche un rinnovo del packaging: il disco è pubblicato con ben 8 cover differenti, che sono però accomunate tra loro dallo stesso soggetto (o meglio non-soggetto) raffigurato, ovvero una zona dell’ambiente suburbano. La grande svolta nella carriera degli Arcade arriverà poco dopo, quando The Suburbs vince il premio come miglior album dell’anno ai Grammy Awards del 2010.

Infine, nel 2013 arriva Reflektor, album dal suono decisamente vario e dalle molte influenze (Cure, Rolling Stones, Beatles…) e per questo non assimilabile a nulla di prevedente né inservibile in una precisa cornice di genere. Anticipato da un video creato ad hoc da Vincent Morriset in occasione dell’uscita del singolo che dà il nome all’intero disco, questo lavoro trae ispirazione dal mito di Orfeo ed Euridice, come esplicitato dalla copertina che reca una scultura di Auguste Rodin. Ciliegina sulla torta per questo incredibile album, il fatto che al suo streaming integrale sia allegato il film Black Orpheus di Marcel Camus (1959). Il primo video ufficiale, invece, è diretto da un altro mito: Anton Corbijn.

Questo quanto successo finora. Quella degli Arcade Fire è ormai una carriera ben avviata e un’ascesa segnata dalla continua ed esasperata ricerca della perfezione artistica -dal momento che nonostante la sua bravura ampiamente riconosciuta, il gruppo non sia mai completamente soddisfatto del proprio lavoro. Il prossimo album sarà di nuovo una prova di forza, certo. Ma loro non sono mai stati tipi da farsi intimorire.

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