Furore di John Steinbeck, un’ode agli sconfitti: “io” contro “noi”

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The Grapes of Wrath (Furore nella traduzione italiana) è uno dei romanzi americani più letti ed importanti del ventesimo secolo. Pubblicato nel 1939, in seguito alla Grande Depressione, prende da questa le sue tematiche centrali, sviluppate attraverso le vicende della famiglia Joad, agricoltori in fuga dall’Oklahoma verso la California, alla ricerca di una nuova vita, dopo la povertà estrema in cui si sono ritrovati per una serie di concause: la suddetta crisi economica, aggravata dalla siccità, il Dust Bowl, e il progredire della tecnologia, che permette ai proprietari terrieri di ridurre la manodopera in favore dei profitti.

La storia comincia con Tom (ispirazione, tra l’altro, dell’album The Ghost of Tom Joad, di Bruce Springsteen) che torna a casa dopo quattro anni in carcere in seguito ad una rissa in cui ha ucciso un uomo. Nella strada verso casa incontra Jim Casy, ex predicatore che ha perso la fede, che comincia ad accompagnare Tom. Dopo aver trovato la casa abbandonata, i due reperiscono la famiglia a casa dello zio John, scoprendo che sono tutti in procinto di partire per la California, dove si dice ci sia lavoro per tutti. Comincia così il viaggio dei Joad, a cui si uniscono sia Tom sia Casy, su una vecchia Hudson trasformata in camion, per trasportare i vari componenti della famiglia, il cane, viveri ed utensili vari.

Il tragitto verso la California si rivela duro almeno quanto gli ultimi anni alla fattoria, tra morti, fughe e varie umiliazioni, fino all’amara scoperta che la California non offre quanto i Joad, più o meno ingenuamente, speravano.

La dialettica “io”/“noi”

Lungo tutto il romanzo, i capitoli in cui si sviluppa la storia dei Joad si alternano a scene di vita comuni a tutti gli okies (termine non riferito esclusivamente agli abitanti dell’Oklahoma, ma anche di altri Stati del sud) alla ricerca di un posto migliore, la cui universalità trascende i confini del luogo e del tempo in cui sono inscritte. Oltre ad offrire un ritratto delle condizioni delle famiglie di viaggiatori e della società americana in generale, questi capitoli permettono a Steinbeck di esternare le sue riflessioni in maniera ancora più esplicita che nel resto dell’opera.

Un esempio tra i più importanti è l’intero capitolo 14, che si apre con il presagio del cambiamento che si avverte negli stati dell’Ovest, “nervosi come cavalli prima di una tempesta”. Questo nervosismo è in realtà quello dei

grossi proprietari, inquieti nellintuire un cambiamento, incapaci di cogliere la natura del cambiamento. I grossi proprietari, agguerriti sullimmediato: lespandersi del governo, la crescente unità dei lavoratori; agguerriti sulle nuove tasse, sui piani di sviluppo; non capendo che questi sono effetti, non cause. Effetti, non cause; effetti, non cause”.

È certamente significativo che “effetti, non cause” sia ripetuto ben tre volte, specialmente considerando quelli che sono identificate come le cause:

la fame di un ventre moltiplicata per un milione; la fame di una singola anima, fame di gioia e di un minimo di sicurezza, moltiplicata per un milione; muscoli e cervello smaniosi di crescere, di lavorare, di creare, moltiplicati per un milione”.

Come già detto, i Joad, paradigma non solo degli okies, ma tutti i mezzadri in fuga (e probabilmente anche di molti altri fuggiaschi alla ricerca di una vita migliore), intraprendono il loro viaggio in quanto non più economicamente vantaggiosi per il proprietario della terra su cui vivevano e lavoravano. Il cambiamento che li porta ad abbandonare l’Oklahoma non è quindi che lo stesso cambiamento che i grossi proprietari ora avvertono: per cui, i proprietari stessi sono tra le cause di quegli effetti che temono.

Il processo che portava le famiglie a dover abbandonare le terre viene qui spiegato, in modo forse semplificato ma eloquente, attraverso la visione dei mezzadri stessi:

“Pà si è fatto prestare soldi dalla banca, e adesso la banca vuole la terra. La società immobiliare – ossia la banca quando possiede i terreni – sulla terra vuole trattori, non famiglie”.

Il sistema che portava le famiglie a perdere le terre era stato descritto nel capitolo 5, in cui, come qui, le banche vengono messe al fianco dei grandi proprietari tra le cause di questo circolo vizioso che porta i mezzadri ad una povertà irrimediabile.

Proseguendo nel quattordicesimo capitolo, il cambiamento presagito dai proprietari viene rivelato per la prima volta, e si ripresenterà continuamente fino alla fine del romanzo, essendo il fulcro della poetica di “Furore”: il “noi” contro lo “io”. La voce narrante (o forse Steinbeck stesso) si rivolge direttamente ai proprietari:

Ecco il nodo, per voi che odiate il cambiamento e temete la rivoluzione. Vi conviene tenere separati questi due uomini accoccolati, fare in modo che si odino, che si temano, che diffidino luno dellaltro. Equesto lembrione della cosa che temete. Equesto lo zigote. Perché adesso Ho perso la mia terra” è cambiato; una cellula si è scissa e dalla sua scissione  nasce la cosa che odiate: Abbiamo perso la nostra terra”. Ecco dov’è il pericolo, perché due uomini non sono soli e confusi quanto può esserlo uno. […] Equesta la cosa da bombardare. Ecosì che comincia: da ‘io’ a ‘noi’”.

Pur parlando ai proprietari, Steinbeck manda però un messaggio indiretto agli okies e agli altri sconfitti dal sistema: l’unico modo per cambiare la propria situazione è superare l’individualismo, abbandonare lo ”io”, muovendosi incontro agli altri, unendosi a loro e diventando “noi”. Continuando, Steinbeck va ancora oltre, ponendo i proprietari terrieri e le banche in diretta contrapposizione ai proletari in uno dei paragrafi più importanti di tutto “Furore”:

Se riusciste a capire questo, voi che possedete le cose che il popolo deve avere, potreste salvarvi. Se riusciste a separare le cause dagli effetti, se riusciste a capire che Paine, Marx, Jefferson e Lenin erano effetti, non cause, potreste sopravvivere. Ma questo non potete capirlo. Perché il fatto di possedere vi congela per sempre in “io”, e vi separa per sempre dal “noi”.

Per la quarta volta nel capitolo si menzionano cause ed effetti: i ricchi, possedendo ciò che il popolo dovrebbe avere e nella loro incapacità di condividerlo con esso, sono quindi la causa della sua povertà. Ed essendo l’effetto di ciò l’inevitabile lotta tra classi sociali, in cui Steinbeck auspica la sconfitta dei proprietari, questi saranno quindi anche la causa della propria caduta: se il noi vince sempre sull’io, i proprietari, incapaci di superare l’io, non potranno che soccombere.

Miguel Forti