I Diari della Motocicletta: il viaggio di Che Guevara nel Sudamerica

“Anche un viaggio lungo mille miglia inizia con un singolo passo”

È questa l’opinione che lo scrittore e filosofo cinese del Primo secolo dopo Cristo Lao Tzu diede agli spostamenti umani, che con scarsi mezzi ed in molti casi a piedi, attraversavano interi continenti. Ma può un viaggio rappresentare anche una presa di coscienza dell’uomo sulle sue reali necessità?

È proprio quello che accade a due amici argentini detti Mial e Fuser, e che corrispondono ai nomi di Alberto Granado ed Ernesto “Che” Guevara. I due, dopo aver studiato l’itinerario che li porterà ad attraversare diversi stati del Continente latino, partono da una piccola cittadina nei pressi di Córdoba in sella alla ormai leggendaria “La Poderosa II” (una Norton 500 del ’39), che purtroppo li abbandonerà nella città cilena di Temuco, dopo un brutto incidente in cui i due avventurieri rimasero miracolosamente illesi, e dopo vari rattoppi con il filo di ferro. Proprio da questa esperienza probabilmente Ernesto comincerà ad acquisire più consapevolezza della situazione disastrata di alcuni paesi dell’America latina, dalle condizioni inumane dei minatori cileni, sfruttati per neanche un dollaro al giorno, al Venezuela di cui tanto oggi si parla, non conoscendo le alterne fortune di molti Paesi del Continente anche per via del cugino ingombrante del Nord.

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Il regista del film, che prende spunto da Latinoamericana, uno dei diari del futuro rivoluzionario argentino, è Walter Salles. Il Cineasta brasiliano, famosissimo per le sue opere a forte contenuto sociale ed impegnato, è giunto alle cronache già alla fine degli anni Novanta con Central do Brasil, che gli consegna l’Orso d’oro al prestigioso festival berlinese. Con il film del Duemilaquattro Salles si concentra sulla storia di un uomo che è entrato di forza nell’immaginario collettivo come indomito combattente e salvatore di popoli oppressi. Lui però non si sofferma affatto su questo, mantenendo il film su altre sfaccettature del carattere di Ernesto, evitando tutti i possibili tipi di propaganda, anche se oggettivamente la storia con dati precisi e scritti è inconfutabile, essendo per l’appunto ancora materia viva e non lontana centinaia di migliaia di anni.

Il film si sofferma molto, con questa fotografia un po’ rétro e dai colori impastati, sulle scorribande dei due amici, dalle risse nei bar (in cui i due rischiano di rimanere coinvolti per una donna sposata) alle danze sfrenate di Alberto, vero donnaiolo che non esita più volte a chiedere i soldi che la fidanzata aveva dato ad Ernesto per comprare al loro arrivo a Miami “qualcosa di Yankee”, come scherzosamente dice per irritare il suo compagno di viaggio. Il Che, come sempre nella sua dannata integrità morale (anche queste parole di Alberto), donerà la piccola somma ad una coppia indigente di minatori cileni, che in una fredda notte andina condividerà con loro il caldo di un fuoco all’aperto.

Il film nel suo equilibrio dona allo spettatore una nuova visione anche nei confronti dello stesso continente latino, ammaliante e dalle mille sfaccettature, custode di culture antichissime, quasi cancellate purtroppo dalle varie dominazioni europee ma che sanno attrarre anche per via degli animi dei rispettivi popoli. La produzione del film è di tutto rispetto, con un Robert Redford che per una volta si toglie i panni dell’attore/regista e col nostro Gianni Minà, giornalista ed autore di innumerevoli documentari e scritti sull’America Latina, ma anche amico intimo di molte personalità artistiche e politiche del Ventesimo secolo.

Una delle esperienze del duo che certamente impressiona per la naturalezza in cui si cimentano è quella del lebbrosario di San Pablo in Perù, dove vengono accolti con calorosa amicizia dal dottor Bresciani, e dove si prodigano immediatamente per gli ammalati (non dimentichiamo che Alberto è laureato in farmacologia e scienze naturali ed Ernesto sta per diventare anch’egli medico, specializzandosi poi in allergologia). La colonia però ha una particolarità non indifferente: è divisa in due da un fiume, da una parte vive il personale medico e dall’altra i malati, e anche questo per il Che rappresenta la divisione di classi, tra l’élite benestante ed il popolo, costretto a lavorare per la prima citata, accontentandosi del poco che la vita gli offre.

Tutto ciò gli ispira un discorso epico per il suo ventiquattresimo compleanno:

“Vorrei aggiungere qualcosa che esula un po’ dal tema di questo brindisi. Anche se può sembrare presunzione eleggersi ambasciatori di una causa tanto nobile e importante, crediamo tuttavia che questo viaggio ha rafforzato la nostra convinzione che la divisione del Sudamerica in diverse nazioni è falsa, è illusoria e completamente fittizia. Costituiamo un’unica razza meticcia dal Messico, fino allo stretto di Magellano. Quindi, nel tentativo di liberarmi dalle strettoie dei confini nazionali, io brindo al Perù, e all’America unita.”

Con questo i due amici si congederanno dalla nazione andina per giungere alla loro destinazione finale, la penisola della Guajira in Venezuela, dove Mial accetterà un impiego nell’ospedale di Caracas. Lì i due si salutano, col Che diretto per quasi un mese a Miami per poi fare ritorno a casa e concludere gli studi. Gael García Bernal, attore messicano di grande talento (non si contano oramai le innumerevoli collaborazioni con grandi registi come ad esempio Michel Gondry e Jim Jarmusch), riesce pienamente con la sua interpretazione a vestire i panni del giovane futuro rivoluzionario, in cui si intravedono già i primi germogli di un sentimento destinato per forza di cose ad esplodere. In questo è supportato dall’interpretazione di un Alberto scanzonato e donnaiolo che porta il nome di Rodrigo de la Serna, ironia della sorte, lo stesso cognome della mamma del rivoluzionario.

L’esperienza di vita, vista come viaggio non è di certo un tema nuovo, in qualsiasi ambito lo si voglia inserire, l’avvincente storia dei due amici è un incrocio tra un racconto di Gabriel García Márquez e Jack Kerouac: un distillato di vita all’ennesima potenza, ricordando forse la gioventù ad alcuni e fornendo nuova linfa a chi si affaccia per la prima volta ad approfondire scelte che volenti o nolenti hanno segnato intere generazioni.

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