La musica di Tamino, incrocio perfetto tra oriente e occidente

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Ci sono ascolti e scoperte che durano pochi secondi prima di scomparire per sempre dai ricordi e dalla nostra vita. Non lasciano alcuna traccia. La musica di Tamino, invece, scava un solco che difficilmente riuscirete a dimenticare. Musica e liriche intense, avvolgenti, oniriche.

Habibi, ad esempio, il singolo di lancio del suo EP, è pura poesia. Dentro c’è l’intensità di Matthew Bellamy di New Born, qualche eco lontana di Thom Yorke, il lirismo di Jeff Buckley e poi c’è l’originalità che solo i grandi artisti riescono a trasmettere e che pochi hanno il coraggio di cercare.

C’è oriente e occidente fusi insieme nella sua musica, come raramente capita di ascoltare. Questo artista mezzo egiziano e mezzo belga, che vive tra il Belgio ed Amsterdam, è capace di farci perdere tra le sue lunghe note vocali, di disegnare per noi mondi vicini, familiari e al tempo stesso misteriosi e lontani. Ogni nota, ogni parola aprono a sentimenti e atmosfere avvolgenti.

Tamino Moharam Fouad è cresciuto a pane e amore per l’arte. Nomen omen, visto che sua madre lo chiamò come l’eroe di una celebre opera di Mozart, Il Flauto Magico.

E poi, con un nonno come Moharam Fouad, un attore e cantante famoso nel mondo arabo, dagli anni ’50 agli anni ’80, la commistione era prevedibile, inevitabile quasi. Come racconta Tamino a Folkradio:

“Mia madre suonava la sua musica in giro per casa, ero particolarmente preso dalle sue registrazioni dal vivo con l’orchestra. C’era un certo tipo di emozione pura nel suo modo di cantare, e nella musica araba in generale, che è per lo più assente dalla musica occidentale. Anche quando le melodie sono un po’ approssimative, c’è sempre qualcosa di reale, qualcosa di sincero  nella voce, molto meno calcolata rispetto alla maggior parte della musica occidentale.”

Tamino ha preso questa magia, questo mistero e l’ha mescolato alla melodia e ai suoni occidentali. Schiacciate Play per credere, se volete provare a dondolare nel buio e perdervi.

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